Volontarie penitenziarie del FVG accanto ai detenuti durante le feste di Natale e Capodanno
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- Pubblicato Sabato, 17 Gennaio 2015 16:16
- Scritto da don Alberto De Nadai
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Gorizia - Quando gli studenti degli istituti Cankar e Gregorcic di Gorizia e quelli dell’Istituto Einaudi-Marconi di Staranzano, nell’ambito dell’iniziativa “A scuola di libertà” promossa dalla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia e dal Miur, svoltasi il 17 e il 18 novembre 2014, hanno chiesto a noi volontari penitenziari come si svolge la giornata all’interno del carcere di Gorizia, la risposta non è stata delle più facili.
Si fa sempre fatica a descrivere il “nulla” che spesso caratterizza la detenzione. Le volontarie della “Zattera” che settimanalmente entrano in Istituto per la distribuzione del vestiario, venute a conoscenza che nel carcere di via Barzellini erano sospese le attività culturali nel periodo natalizio, hanno programmato momenti di aggregazione e di socialità. Così hanno così potuto vivere alcuni momenti della quotidianità dei carcerati: e capire cosa vuol dire un trasferimento, la perdita della semilibertà, la liberazione.
In questi ultimi tempi si parla tanto della necessità di una riforma della Giustizia per non incorrere nelle “sanzioni europee”. L’Italia deve dimostrare di essere civile a 360 gradi non per le “sanzioni”, ma per i diritti dei detenuti e dei loro familiari.
Nella primavera del 2010 il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) ha disposto alcune misure vincolanti per la Direzione, tra queste: «L’apertura delle celle nel corso di tutta la giornata». Nel carcere di Gorizia finalmente è stata applicata la circolare ministeriale a metà dell’anno 2014. È importante però che quelle ore di “apertura” non siano ore vuote di passeggi in corridoio, ma siano ore piene di contenuti.
Da qui hanno preso avvio le proposte natalizie delle volontarie penitenziarie in collaborazione con il Personale. «Ogni anno quando arrivano le feste natalizie — diceva un vecchio detenuto — tocchiamo con mano quanto triste sia passare in galera quelle giornate; nel “mondo libero”, fuori, si riuniscono le famiglie per passare momenti di gioia o, per lo meno, di ricerca di un po’ di serenità».
La socialità
L’unico luogo possibile per l’aggregazione e la socialità è l’aula scolastica. Bisognava addobbarla con il presepio, per la celebrazione della Messa, per il pranzo comunitario natalizio, per la tombola di fine anno. «Mi tremavano le mani dall’emozione mentre preparavo la sala… ero felice come una Pasqua…», così la testimonianza di un detenuto.
Quelle azioni fatte insieme fuori dalla cella hanno potuto dare un senso a una parentesi dell’esistenza dentro quelle pareti spoglie e lugubri, dove i sentimenti sembrano chiusi a chiave e blindati: la vita emotiva del detenuto è soltanto compressa, mascherata, svilita.
Si leggeva nei volti tanta felicità durante il pranzo natalizio: pranzo preparato con le loro mani e consumato tutti insieme. La serenità e il comportamento adeguato dei detenuti hanno favorito la possibilità di ottenere un nuovo permesso anche per il pranzo comunitario di fine anno.
Anche Gesù è stato carcerato
Il ruolo degli uomini di Chiesa nella storia è sempre dalla parte degli ultimi, dei perdenti, dei peccatori. Anche Pietro, capo della Chiesa e rappresentante in terra di Cristo, ha rinnegato Gesù per ben tre volte eppure è stato perdonato, perché è un principio cristiano quello che la gente possa cambiare.
L’Arcivescovo Carlo Redaelli ha voluto condividere la gioia del messaggio natalizio: al mattino della Vigilia con i Detenuti, la Direzione, il Personale e i volontari del Rinnovamento dello Spirito concelebrando l’Eucarestia con don Paolo Zuttion e don Alberto De Nadai, lasciando un “segno” a beneficio dei più poveri tra i reclusi. E, alla sera, partecipando nel Parco della Rimembranza, alla Veglia della Comunità Cristiana di base dal titolo: “Ricordati che eri straniero”.
In via Barzellini ci sono due stranieri, tutti gli altri sono italiani.
Gli auguri di Buon Anno
Durante il pranzo di fine anno è stato consegnato a ogni commensale un biglietto di auguri con busta affrancata, da inviare ai familiari: azione questa per ridurre i danni prodotti dal carcere sull’amore, sugli affetti, per sentirsi ancora vivi nel cuore equilibrando con questa forma episodica i sentimenti, perché ogni essere umano vuole amare ed essere amato.
Scrivere quel biglietto è stato molto importante perché si è data loro la possibilità di “lavorare” sui propri vissuti emotivi trovando in quell’occasione lo spazio, il tempo e le modalità per imparare a comprenderli e a riflettere sulle proprie responsabilità.
Quando la pena di uno nega i diritti dell’altro
Com’è possibile accettare certe situazioni quando al pranzo di fine anno mancavano due persone che ti avevano dato una mano nel preparare la sala ed erano presenti al pranzo natalizio? «Sono stati trasferiti», hanno risposto alle nostre richieste. «Il trasferimento ti viene buttato lì improvvisamente sulla tua vita e su quella dei tuoi cari».
Il furgone blindato era pronto in via Barzellini 8 con le porte aperte per accoglierti e portarti… «Sarebbe inutile sprecare fiato per chiedere la destinazione o avvertire i tuoi… non ti verrà mai detto».
L’art. 27 della Costituzione recita: «La responsabilità penale è personale». Eppure per ogni soggetto che viene condannato in nome del popolo italiano c’è parte di quello stesso popolo che, pur non avendo commesso nessun reato, viene anch’esso condannato. È il popolo dei familiari dei detenuti che paga anche quando il loro congiunto viene trasferito in un istituto lontano dal loro luogo di residenza, creando ulteriori problemi e disagi.
Ci sono piccoli fatti che raccontano più di tante denunce
Anche nel carcere di Gorizia ci sono alcune situazioni di degrado, i motivi sono tanti e tra questi soprattutto la miseria. In carcere finiscono sempre più spesso le persone ricche di povertà e l’Amministrazione penitenziaria ha sempre meno soldi anche per la distribuzione dei prodotti per l’igiene. Per questo motivo, dopo il pranzo comunitario del 31 dicembre, terminato il gioco della tombola, abbiamo distribuito a tutti un sacchetto contenente: due carte e buste affrancate, uno spazzolino da denti con dentifricio, un bagnoschiuma e fazzoletti di carta: per una giusta rivendicazione del diritto alla dignità, rispettando così la Costituzione Italiana che dice: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità».
Le carceri piene di uomini vuoti di speranza
Il mercato del lavoro offre molto poco o quasi niente ad un pregiudicato. Il 31 dicembre gli è scaduto il contratto di lavoro che gli permetteva di usufruire della semilibertà prevista dall’articolo 21 dell’Ordinamento Carcerario: uscire la mattina dal carcere per il lavoro e rientrare alla sera invidiato da tanti detenuti. Ma non aveva terminato di scontare la pena. Per questo il primo gennaio 2015 ha dovuto essere rinchiuso in III sezione con gli altri reclusi. Situazione difficile da accettare: è come dover ricominciare tutto da zero.
Libero
«L’ho incontrato la mattina del 2 gennaio 2015 in Corso Italia con il borsone a tracolla e con la mano nella mano della ragazza: andava felice a prendere il treno… L’avevo visto quasi assente il giorno della tombola dell’ultimo dell’anno: i numeri della cartella gli sfuggivano dallo sguardo». Alla mia osservazione mi ha chiesto: «Quando uscirò, venerdì prossimo, troverò qualcuno ad aspettarmi?». Quando gli è stato aperto l’ultimo cancello ha trovato ad aspettarlo una persona che gli vuole bene.
Che significato hanno per voi detenuti e per i vostri familiari le feste di Natale e Capodanno in carcere?
«Per noi sono state grandi giornate. Certamente ci hanno fatto riflettere e capire che cosa ci siamo persi per seguire quell’istinto che ci ha portato lontani dalla realtà. I nostri errori non solo hanno condizionato la nostra vita, ma anche quella delle nostre famiglie, facendo soffrire chi ci ama a prescindere da quello che siamo».
Sarebbe opportuno che le Associazioni di volontariato, la scuola e le Cooperative del territorio siano chiamate intorno ad un tavolo per parlare con la Direzione di come dare «un senso al tempo recluso».
I ringraziamenti vanno alla Direzione, alla Polizia Penitenziaria perché il Natale è sacro per tutti e non è facile accettare di rinunciare a un po’ delle proprie feste per un’iniziativa come questa.
A cura del Garante dei detenuti per la provincia di Gorizia don Alberto De Nadai e delle volontarie penitenziarie
La Conferenza Volontariato Giustizia Fvg aderisce alla campagna "Per qualche metro e un po' di amore in più"
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- Pubblicato Lunedì, 22 Dicembre 2014 11:41
- Scritto da Corinna Opara
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Trieste - Per il periodo natalizio Conferenza Volontariato Giustizia Fvg propone i contenuti della campagna "Per qualche metro e un po' di amore in più", lanciata dalla Redazione di "Ristretti Orizzonti" della Casa di reclusione di Padova e della quale riportiamo i contenuti del Manifesto qui sotto. Per sottoscrivere alla petizione basta andare sul sito: http://firmiamo.it/per-qualche-metro-e-un-po--di-amore-in-piu
La Conferenza Volontariato Giustizia Fvg nel "Manifesto per un po’ di amore in più nelle carceri" prende spunto dai punti di riferimento per le innovazioni da realizzare attraverso le Regole Penitenziarie Europee, approvate dal Comitato dei Ministri dei 46 Stati europei l’11 gennaio 2006:
- Le restrizioni imposte alle persone private della libertà devono essere ridotte allo stretto necessario e devono essere proporzionali agli obiettivi legittimi per i quali sono state imposte.
- La vita in carcere deve essere il più vicino possibile agli aspetti positivi della vita nella società libera.
Serve una nuova legge per “salvare gli affetti” delle persone detenute. L’Ordinamento Penitenziario sta per compiere quarant’anni, ed è allora importante che sia più applicato nelle parti che restano innovative e rinnovato in quelle più “invecchiate”. E la parte riguardante gli affetti è decisamente“vecchia”. Ecco le nostre proposte, che sono anche un investimento sulla sicurezza, perché riavvicinano le persone detenute alle famiglie, restituendo a queste ultime il ruolo di mediare le tensioni facilitando il reinserimento nella società dei loro cari.
1. “Liberalizzare” le telefonate per tutti i detenuti, a telefoni fissi o cellulari senza distinzioni. A tal fine è necessario introdurre, come è già stato fatto in alcune carceri, il sistema della scheda telefonica, che produce enormi vantaggi eliminando le domandine e riducendo il lavoro del personale addetto a tale servizio. E forse telefonare più liberamente ai propri cari, mantenere contatti più stretti quando si sta male e si sente il bisogno del calore della famiglia, ma anche quando a star male è un famigliare, potrebbe davvero costituire un argine all’aggressività determinata dalle condizioni di detenzione e una forma di prevenzione dei suicidi.
2. Consentire i colloqui riservati, che dovrebbero consistere in almeno 24 ore ogni mese da trascorrere con la famiglia senza il controllo visivo. Devono altresì essere cumulabili per chi non fa colloquio con i familiari almeno ogni due mesi.
3. Aumentare le ore dei colloqui ordinari, dalle sei ore attuali, a dodici ore mensili, per rinsaldare le relazioni, che sono poi alla base del reinserimento nella società.
4. Aggiungere agli attuali 45 giorni di permessi premio 30 giorni nell’arco dell’anno da trascorrere con la famiglia.
5. Ampliare, per chi non può ancora accedere ai permessi premio, l’utilizzo dei permessi di necessità, ex art. 30 l. n. 354/75 OP, intendendo per “gravi motivi” eventi significativi per la vita affettiva e i percorsi di reinserimento delle persone.
Ma servono anche interventi immediati. L’Amministrazione penitenziaria, nel suo impegno per “umanizzare le carceri”, può da subito intervenire con proposte di “umanizzazione” anche per l’accoglienza alle famiglie, per le quali basta una circolare ministeriale, non serve cambiare la legge:
· in considerazione del fatto che sei ore di colloqui al mese sono veramente una miseria, e nell’attesa che venga cambiata la legge in materia, dovrebbe essere permesso sempre di cumulare le ore per chi ha la famiglia lontana e fa pochi colloqui e dovrebbero essere concessi con regolarità alcuni colloqui “lunghi” con la possibilità di pranzare con i propri cari, possibilmente anche la domenica;
· dovrebbero essere permessi sempre i colloqui con le terze persone;
· dovrebbero essere concesse a tutti i detenuti, senza distinzioni per reati, due telefonate supplementari al mese. Questo si può fare da subito, con l’attuale normativa, nell’attesa di una nuova legge che “liberalizzi” le telefonate, come già avviene in molti Paesi;
· dovrebbero essere allestite delle postazioni per permettere ai detenuti, in particolare quelli che hanno le famiglie lontane, di fare colloqui via Skype con i loro cari;
· dovrebbero essere migliorati i locali adibiti ai colloqui, e all’attesa dei colloqui, con una attenzione maggiore alle esigenze che possono avere i famigliari, in particolare anziani e bambini (servirebbero in tutte le carceri pensiline, strutture provviste di servizi igienici, spazi per i bambini);
· dovrebbero essere rese più chiare le regole che riguardano il rapporto dei famigliari con la persona detenuta, uniformando per esempio le liste di quello che è consentito spedire o consegnare a colloquio, che dovrebbero essere rese più ampie possibile.
Infine, serve una diversa attenzione e una maggiore trasparenza sui
trasferimenti, che dovrebbero essere ridotti al minimo nel rispetto dei principi della massima vicinanza alle famiglie e della possibilità di costruire reali percorsi di reinserimento sul territorio.
Cordenons: inaugurata Oasi 2, casa di accoglienza per persone in uscita dal carcere
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- Pubblicato Domenica, 23 Novembre 2014 17:58
- Scritto da Corinna Opara
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Pordenone - Il 15 e 16 novembre scorsi l'associazione “Carcere e comunità” di Pordenone ha organizzato una serie di iniziative, tra le quali il momento di incontro-testimonianza di due signore giunte dalla Toscana, Claudia Francardi e Irene Sisi, l’una vedova del carabiniere Antonio Santarelli, l’altra madre di Matteo che lo uccise, per imparare come praticare la giustizia riconciliativa.
Anche su questa scia è stato quindi inauguratao il progetto Oasi 2, la Casa di Accoglienza in via Seduzza 1, situata a Cordenons (Pn). Una casa destinata ad accogliere persone che, a fine detenzione, non possono usufruire né di famiglia, né di casa, né di lavoro per un minimo sostegno. Un problema che coinvolge non pochi detenuti, i quali rischiano di finire nuovamente, una volta liberi ma senza alcun punto di riferimento, in situazioni “borderline” che potrebbero ricondurli un'altra volta in carcere.
In questo contesto l'Oasi 2 si propone di offrire ospitalità per un periodo stimato tra i sei e i dodici mesi, in modo tale che queste persone abbiano la possibilità di reinserirsi nel tessuto sociale e familiare.
Un progetto che prevede in contemporanea l'intervento, la collaborazione e l'accompagnamento degli operatori dell'Uepe (Ufficio esecuzione penale esterna), degli educatori del carcere, degli assistenti sociali del Comune di appartenenza e dell'associazione “Carcere e comunità”. Ogni Comune coinvolto è chiamato a provvedere con un contributo di 200 euro mensili per le spese generali di gestione della Casa, fino a che gli interessati non saranno in grado di “camminare da soli” raggiungendo una prima autonomia economica.
Naturalmente il progetto non sarà predisposto solo dai professionisti e fornito bell’e fatto, ma sarà costruito passo passo con gli obiettivi cari all’interessato e nella consapevolezza delle difficoltà di partenza e con la ragionevole speranza di quanto sarà possibile maturare nell’arco di un anno di tempo a disposizione.
Una forma di autosostentamento, inoltre, sarà favorita a ciascuna persona con borse lavoro da svolgere per conto della Cooperativa sociale “Oasi”.
Ed è proprio da quest'ultima che la struttura prende il nome: ad essa appartiene infatti l'edificio, rimasto vuoto dopo il suo trasferimento a Pordenone, e offerto gentilmente in comodato d'uso. Il complesso si compone di una casa su due piani dotati di camere da letto e bagni, degli spazi comuni del pianterreno, di un bel cortile e di un grande spazio di terreno coltivabile; può ospitare fino a otto persone.
Accanto, anche un prefabbricato dove svolgere attività per la vita comune e dove gli ospiti potranno anche incontrare e trascorrere il tempo con conoscenti, amici e un gruppo di volontari. Tra gli obiettivi del progetto Oasi 2, infatti, vi è pure quello di vivere un'esperienza di familiarità, dando il tempo e la possibilità di ricostruirsi quei legami sociali che sono alla base della nostra quotidianità.
Le prime tre persone che occuperanno l'Oasi 2 abiteranno la casa entro la prima quindicina di dicembre ormai prossimo. Giorno e notte ci sarà sempre qualcuno che, volontario, condividerà la vita di famiglia.
Per garantire l'efficienza del progetto, esso prevede che ogni percorso venga attivato, per ogni persona individuata, prima della sua uscita dal carcere: questo per avere modo di conoscerla e stabilire i contatti e le relazioni necessarie con tutti i soggetti istituzionali coinvolti.
Il tutto nella massima sobrietà: “Ci era stato proposto un finanziamento ben più alto da quello richiesto - spiega Mario Sartor, tra gli ideatori e coordinatori del progetto -, ma visto anche il periodo di crisi, si è concordato di fare una scelta sobria nelle spese di gestione e di vitto e alloggio.
Si spera che i risultati di questa esperienza portino ben presto all'apertura di un'OASI 3, di un'OASI 4 e via via di un sempre maggior numero di case per rispondere a più esigenze possibili”.
Don Piergiorgio Rigolo, cappellano della Casa circondariale di Pordenone, è l’ideatore ed il responsabile dell’iniziativa: fin dall’inizio riconosceva l’importanza del criterio della complementarietà e della collaborazione con la Cooperativa Oasi di Sandro Castellari a Pordenone, la Casa di Emmaus di d. Galiano Lenardon ad Azzano Decimo, la Casa di Accoglienza di Mario Sartor a Praturlone, la Caritas Diocesana, le Caritas ed i volontari del territorio.
Si è guardato e si guarderà alle iniziative già in atto in Regione, quali il Centro di Accoglienza “E. Balducci” di don Pierluigi Di Piazza a Zugliano, la Comunità di S. Martino al Campo di d. Mario Vatta a Trieste, la Comunità Arcobaleno di d. Alberto De Nadai a Gorizia.
L’iniziativa è anche un’opera segno per il territorio e per la diocesi, è patrocinata dal Vescovo Giuseppe Pellegrini, e assunta come impegno della Diocesi di Concordia-Pordenone.
Corinna Opara
Conferenza volontariato giustizia Fvg
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