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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Alternanza scuola lavoro. Non solo un caso di coscienza

Trieste – A sentire le parole “alternanza scuola-lavoro” si è tentati di dire: finalmente! I giovani sapranno cosa vuol dire lavorare, stancarsi, guadagnarsi il pane col sudore della fronte etc. etc.

Nella fattispecie si tratta dell’obbligo di 400 ore per gli istituti tecnici e 200 ore per i licei, per un totale di circa 600.000 studenti da mandare a “scuola di lavoro” presso le imprese – pubbliche o private - che si rendano disponibili ad accoglierli nel mondo dei mestieri.

Alcuni salutano questa novità della legge 107 (ma era già contemplata in un decreto legislativo del 2005) come un benefico tocca e sana pedagogico, come l’integrazione didattica che ci voleva per aggiustare la scuola ai tempi moderni e come la salvezza dalla terribile crisi dell’occupazione in Italia.

A guardarla da vicino, non appare come la soluzione auspicata dal governo Renzi e dalla sua ministra Giannini per “incrementare le opportunità di lavoro e le capacità di orientamento degli studenti” come recita la legge al comma 33.

La situazione è difficile da disegnare, essendo che il tessuto produttivo e distributivo italiano è molto vario e disomogeneo. Infatti è intuibile che la Lombardia offrirà una scelta di percorsi di alternanza diversi dalla Sicilia o dal Friuli Venezia Giulia, con differenze anche all’interno della stessa regione.  È ovvio quindi che gli studenti triestini o goriziani avranno opportunità diverse da quelli udinesi o pordenonesi.

All’interno del percorso, quindi, la varietà di occasioni è dettata dall’appartenenza dello studente al territorio e, quindi, del tutto casuale. La prova è che ci sono esperienze di alternanza opposte per gradimento,adeguatezza e retribuzione, visibili anche a occhio nudo e dettate dal caso.

Per esempio, studenti soddisfatti di andare al Corriere della Sera di Milano, a Palazzo Grassi di Venezia o alla Caritas di Roma. Altri che passano dal liceo classico, per tre giorni, in una raffineria, oppure in un albergo milanese, in aziende tessili, a una Asl come surrogati di assistenti sociali… Esperienze che gli studenti tendono a “eludere”, e spesso con l’appoggio dei genitori.

Per constatare la disparità è sufficiente fare una semplice ricerca per provincie sul Registro Unico delle imprese che offrono tali possibilità. E già qui si parte con una chiara disparità geo-economica di occasioni che generano una competizione (spesso acuta) tra scuole della stessa provincia e una corsa a stipulare convenzioni con le aziende più appetibili che offrirebbero ai dirigenti scolastici l’opportunità di mettersi in regola con la legge.

Ma a che prezzo? E qui si aggiungono altre complicazioni.

Gli studenti, attraverso le loro associazioni, fanno conoscere la scomoda verità che “la legge 107 non va a implementare esperienze di alternanza scuola lavoro realmente formative e attinenti al loro percorso di studi”  e “che spesso si fa l’alternanza scuola lavoro in aziende che non hanno le competenze per insegnare e in percorsi formativi che non hanno attinenza con il percorso di studi intrapreso”.

Ciò che si vuole gli studenti acquisiscano, non sono  profonde conoscenze critiche ma semplici e superficiali “competenze”  che ne facciano dei lavoratori obbedienti e flessibili per “mobilità” e compenso, in linea con la preparazione nozionistica introdotta e indotta dal sistema dei test Invalsi e, purtroppo, dal moderno sistema concorrenziale e liberistico.

Difficile è mascherare tutto questo da progetto didattico pedagogico culturale e sovrastorico, pur con la retorica pomposa impiegata dalla ministra Giannini - che cita le botteghe rinascimentali paragonandole alle Coop - coadiuvata dai potenti mezzi mediatici del Miur (qui il video di presentazione de “I campioni dell’alternanza).  Difficile, quando dalla parte opposta una nota della CGIL sostiene che al Sud – e non solo - c’è il rischio che l’alternanza si trasformi in un serbatoio di lavoro gratuito.

Difficile. Anzi impossibile se si aggiunge che gli studenti moderni sono sensibili a tematiche ambientali, ecologiste, sociali e umanitarie per cui risulta arduo immaginare che possano aderire alle filosofie aziendali di multinazionali come McDonald o Zara, due tra le maggiori aziende che offrono i percorsi.

È per questo che gli studenti non vogliono prestare la loro opera presso “quelle aziende ed enti che peccano in quanto a tutela dell’ambiente, investimenti in formazione e rispetto per i lavoratori, in cui ci costringono a fare l’alternanza scuola lavoro.”

Per uno studente, collaborare- seppure per 200 o 400 ore - con un’azienda implicata nello sfruttamento del lavoro minorile o dei lavoratori in Bangladesh, nella deforestazione dell’Amazzonia o nello sfruttamento intensivo di allevamenti animali e nella loro macellazione, o nella somministrazione di cibi non salutari, potrebbe rappresentare un caso di coscienza e di consapevolezza politica.

Recentemente, in un liceo triestino, una parte di studenti si è rifiutata di partecipare a una “lezione e discussione” tenuta da una multinazionale della ristorazione dimostrando la propria contrarietà con un sit in.  Non hanno voluto credere alla circolare del dirigente che evidenziava la “rilevanza e prestigio dell’Azienda invitata”.

Le aziende multinazionali che propongono i percorsi di alternanza lo fanno certi della loro penetrazione capillare e lo fanno con la stessa retorica acuta della ministra Giannini ma vi aggiugono una competenza comunicativa affilata e precisa come un bisturi. È la legge del marketing.

Ma qualunque sia l’azienda che propone i percorsi di alternanza scuola-lavoro, la domanda critica che questi casi pongono è se l’obiettivo didattico e pedagogico di questa legge, se il fine di ridurre la disoccupazione giovanile possano consistere ed esaurirsi nell’acquisizione di soft skills, di competenze trasversali, di customer care ovvero – in parole povere – nel saper accogliere e assistere un cliente, o intrattenere dei bambini a una festa di compleanno, o aiutare a fare un ordine elettronico, delle fotocopie, un volantino.

In questi casi di alternanza scuola-lavoro sarà prevista l’obiezione di coscienza?

[Roberto Calogiuri @robcalogiuri]

Scuola. Regionale o nazionale. Punto di non ritorno?

Trieste - Nella scuola c’è qualcosa che non va. È sotto gli occhi di tutti. Se non altro perché, a esasperare la crisi del settore – almeno per la soddisfare il palato dell’opinione pubblica - ci sono le critiche alla preparazione grammaticale degli alunni che frequentano l’università. E non solo.

Il circolo vizioso è chiuso dall’ultimo concorso per reclutare nuovi maestri e maestre in Veneto. Il 53% non ha superato l’esame. Vuol dire che 1.604 aspiranti hanno dimostrato una preparazione grammaticale insufficiente a insegnare l’abc ai bimbi delle elementari. Troppi strafalcioni di italiano, dicono i commissari.

Conclusione arcinota: la scuola è in sofferenza. E sofferenza doppia in Friuli Venezia Giulia. Perché alla questione nazionale si somma quella regionale: qualche giorno fa, la presidente del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, ha incontrato a Roma il ministro dell'Istruzione Valeria Fedeli.

Serracchiani ha esposto al ministro le preoccupazioni per il prossimo anno scolastico: con il primo marzo rimarrà vacante la carica di dirigente dell’Ufficio scolastico regionale con ovvie conseguenze sull’efficienza dei servizi. Poi ci sono la carenza nell’organico del personale ATA e, viceversa, il sovrannumero del personale di segreteria che la dematerializzazione sta rendendo superfluo o sovraccaricato di lavoro.

Un altro problema è quello della carenza di dirigenti scolastici (presidi).

Il concorso è atteso invano da un paio d’anni. Ogni mese se ne annuncia l'imminente pubblicazione... Il ministero, per legge, ricorre al sistema della reggenza e non solo per le scuole “sottodimensionate”: sarebbe a dire che, non essendoci presidi a sufficienza, un dirigente (ma anche un responsabile dei servizi amministrativi) può essere nominato a dirigere più scuole.

Sul fenomeno, la letteratura inmateria – ma anche l’esperienza comune - proclama che il preside “assume in tal modo un ruolo puramente amministrativo e burocratico, svilito nella portata educativa e nelle relazioni nei confronti di docenti, discenti e famiglie”.

Ciò è quanto si rischia. Nella nostra regione, in  particolare, in ben un terzo circa degli istituti. Per la precisione nel 30,4% delle scuole. Tanti sono gli istituti senza guida, contro una media nazionale del 16%. Per una volta, i sindacati condividono le medesime preoccupazioni di Serracchiani. Anzi, si attendono un peggioramento dovuto ai prossimi pensionamenti.

A ciò si deve aggiungere l’importante nodo dei test Invalsi che investono l’ideologia-guida di questo modo di intendere la scuola e l’educazione e, fortemente connesso, il meccanismo dell’alternanza scuola-lavoro contro il quale molti studenti hanno manifestato dubbi e avversione, non fosse altro per il legame con le spesso sgradite società multinazionali.

La sofferenza regionale è aggravata dalla situazione nazionale: oltre alle proteste mai sopite contro la legge 107 e i suoi corollari, come il bonus docenti, la valutazione del merito, la perdita del potere d’acquisto degli stipendi. Ora interviene la riforma Madia sulla pubblica amministrazione.

Sebbene manchi l’ultimo passaggio in parlamento affinché diventi legge, l’articolo 55 bis del decreto legislativo contiene quanto previsto e temuto durante l’estate scorsa a proposito dei superpoteri del preside sceriffo: il dirigente – se tutto sarà approvato – potrebbe avere la facoltà di sospendere per 10 giorni un docente, oltre a stabilire gli aumenti del compenso accessorio dei docenti e chiamare i nuovi insegnanti a proprio giudizio. Inoltre rimane aperta la ferita del precariato.

Inutile sottolineare che i sindacati si preparano alla mobilitazione. Com’è accaduto finora, una gran parte di docenti, famiglie, studenti e forze politiche si è dichiarata contraria a questo modo di intendere la scuola. Invano. Perché il processo non si ferma e le otto deleghe della legge 107 sono discusse in parlamento in questi giorni.

Il ministro Fedeli non deflette dalla via indicata da Giannini e Renzi e, se può, rimarca la direzione sostenendo che la legge 107 ha fatto molto per il precariato con l’assorbimento di molti docenti. Ma questo urta decisamente con il problema del “potenziamento” degli insegnanti che è sotto gli occhi di tutti.

Vale a dire con tutti quegli insegnanti assunti per motivi elettorali e che si ritrovano a girare i pollici negli istituti assegnati e non possono essere impegnanti in attività didattiche perché nulla hanno a che vedere con l’indirizzo degli studi.

Per ora, 8 marzo e 17 marzo sono le date delle prossime mobilitazioni anche contro Invalsi e alternanza scuola lavoro.

[Roberto Calogiuri]

Anno scolastico 2016-2017: per i sindacati la Buona Scuola non ha risolto emergenza in FVG

Anno scolastico 2016-2017: per i sindacati la Buona Scuola non ha risolto emergenza in FVG

Trieste - Per i sindacati il 2016-2017 ha rappresentato il primo importante banco di prova della legge sulla Buona Scuola, che in buona sostanza non ha risolto - quando non ha addirittura aggravato - la situazione in FVG.

È quanto emerso all’audizione dei segretari regionali di Snals-Confsal Giovanni Zanuttini, Flc Cgil Adriano Zonta, Cisl Scuola Donato Lamorte e Uil Scuola Ugo Previti, convocati il 22 febbraio dalla VI Commissione consiliare, presieduta da Franco Codega (Pd), per parlare dell’organico nelle scuole del Friuli Venezia Giulia, della situazione degli uffici scuola regionali e dei problemi del trasferimento di competenze in materia di istruzione derivanti dall’abolizione delle Province.

Potenziamento: in numerosi casi, e sin dall'inizio dell'anno scolastico, le scuole hanno dovuto prendere atto della non corrispondenza tra le tipologie di docenti che avevano richiesto e quelle che sono state assegnate. Inoltre, l'organico potenziato non è stato assegnato alle scuole dell'infanzia e l'assegnazione prevista per gli istituti del primo ciclo era insufficiente.

Trasferimenti: Zanuttini, Zonta, Lamorte e Previti hanno fanno notare le enormi difficoltà e le numerose irregolarità, che sono state contestate a livello nazionale e solo in parte risolte.
I sindacati ritengono che la legge sulla scuola sia stata un fallimento, non riuscendo a realizzare nel 2016-17 un'ordinata ripresa delle attività scolastiche, che hanno registrato ritardi e disfunzioni di gran lunga superiori a quelle degli anni scorsi.

Insegnanti di sostegno: non mancano le persone, che oltretutto troverebbero subito lavoro - hanno detto i rappresentanti sindacali -, ma il riconoscimento degli specializzati: l'Università di Udine, preposta a farlo, dovrebbe accelerare il processo della loro formazione, ma dovrebbe essere coinvolta in questo anche l'Università di Trieste.

Personale di servizio: per Cgil, Cisl, Uil e Snals un profilo professionale completamente trascurato dalla legge sulla Buona scuola è quello del personale amministrativo, tecnico e ausiliario (personale Ata) e sostengono la necessità di assumere nuovo personale.

La questione dei dirigenti: le scuole rimaste prive di dirigente scolastico titolare in FVG a inizio anno scolastico erano 52. A parte 5 scuole prive dei requisiti per avere un dirigente titolare, 47 erano gli istituti scolastici da affidare in reggenza. La maggior parte di queste scuole si trova nelle province di Gorizia, Pordenone e Udine. Mentre a livello nazionale la percentuale di scuole scoperte è del 16%, nella nostra regione è del 30,4%.

L'istituto della reggenza, nato per far fronte a situazioni eccezionali, oggi è utilizzato per fronte a una carenza di dirigenti scolastici che in FVG ha assunto caratteri emergenziali, destinata ad aggravarsi nel prossimo anno causa i prevedibili ulteriori pensionamenti, mentre ancora si aspetta il concorso.

Anche per il profilo professionale dei direttori dei Servizi generali e amministrativi, è stata evidenziata la forte possibilità di una situazione a rischio, legata al fatto che i pensionamenti del prossimo anno aggravano ulteriormente la situazione dell'organico di questa figura professionale, unica per ogni istituzione scolastica.

Per sopperire alla carenza di organico, che in FVG è intorno al 25%, si ricorre da anni a personale amministrativo di ruolo resosi disponibile, al quale però non è data la possibilità di accedere, mediante un concorso riservato indetto a livello nazionale, al profilo professionale che da anni svolge.

Sulla situazione dell'Ufficio scolastico regionale, Snals, Cgil, Cisl e Uil hanno fatto presente che, al momento, il titolare dell'Ufficio ricopre contemporaneamente il ruolo di reggente dei tre Uffici territoriali di Gorizia, Pordenone e Udine.

Quanto agli uffici periferici, si è registrato un enorme calo del personale nel corso degli anni. Per quanto attiene le reggenze, in FVG la situazione è più grave che altrove in Italia.

Siamo vicini a un punto di non ritorno - è stato rimarcato -. Il personale dirigenziale sulla carta dovrebbe vantare in tutto 13 unità, invece sono 6. Il personale non dirigente (funzionari ed esecutivi) sempre sulla carta dovrebbe contare 135 dipendenti, invece alla fine dell'anno, dopo i vari pensionamenti, saranno poco più di 70. A Udine, ad esempio, nel 2011 erano 33 unità, oggi sono 19; Pordenone ne aveva 31, oggi 15.
 

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