Fa tappa per la 12 volta “Questa volta in metti scena… la donna” al Liceo Nordio di Trieste
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- Pubblicato Martedì, 22 Novembre 2016 22:33
- Scritto da redazione ilfriuliveneziagiulia
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Trieste - Ultima tappa, domani 23 novembre al Liceo artistico Nordio di Trieste, degli stage “Mettiamoci all' Opera”, nell'ambito del progetto “Questa Volta metti in scena la Donna” giunto alla 12' edizione e che prevede tra l'altro anche un concorso e diverse esposizioni in Italia e Slovenia.
“Mettiamoci all'Opera” - tre laboratori in tre città diverse, propedeutici allo sviluppo del tema del concorso - ha visto come visiting professor diverse figure professionali, stage gratuiti e rivolti alle scuole superiori.
Si è iniziato al Liceo artistico Sello di Udine che ha visto come visiting professor Luigina Tusini, artista che ha firmato diverse scenografia, ultima per lo spettacolo inaugurale del Teatro Contatto di Udine, per la regia di Rita Maffei, a cui ha fatto seguito al Ginnasio italiano di Capodistria G.R.Carli la scultrice slovena Katja Smerdu.
L'ultimo stage di Trieste, vedrà sedere in cattedra una giovanissima ma solo anagraficamente, l'illustratrice Elisa Gandolfo, che proprio di recente ha esposto in una mostra collettiva sul Fumetto. Dopo la Scuola Internazionale di Comics di Padova, diverse collaborazioni - le sue illustrazioni sono diventate scenografie per uno spettacolo al Rossetti, ha realizzato i disegni per un cortometraggio premiato poi a Bologna – e ricco il bagaglio di esperienze che verrà offerto agli studenti sia dello stesso liceo che ospita lo stage che di altre scuole che interverranno.
“Questa Volta metti in scena..la Donna” diretta da Lorena Matic, è organizzato dall'Associazione culturale Opera Viva, con la collaborazione del Comune di Duino Aurisina, il Comune città di Capodistria, le Obalne Galerije Piran, la Comunità autogestita degli Italiani Tartini Pirano, il Fai delegazione di Trieste e Media Partner TV Capodistria.
Scade a dicembre il termine per la consegna degli elaborati partecipanti al concorso – bando reperibile presso le segreterie scolastiche. A gennaio si conosceranno i vincitori scelti dalla giuria, a cui faranno seguito diverse esposizioni.
Per info: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.; www.assocoperaviva.it; facebook OPERA VIVA Trieste Twitter @AssocOperaViva
Registro elettronico. Bellezza e tristezza della scuola digitale
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- Pubblicato Domenica, 20 Novembre 2016 18:20
- Scritto da Roberto Calogiuri
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Chi ha visto Wargames, correva l'anno 1983, ricorderà che Matthew Broderick entrava nel supercomputer del sistema di difesa aerospaziale del Nord America rischiando di scatenare la guerra termonucleare globale totale! Ma prima si era fatto le ossa violando il registro elettronico della sua scuola. Ovviamente per capovolgere i giudizi negativi dei suoi insegnanti.
Trent’anni dopo (è circa questo il ritardo tecnologico dell’Italia rispetto gli USA) accade anche in Italia, per la soddisfazione dei giovani hacker nostrani.
Esultano alcuni siti di studenti. Perché, essi hanno notato, ora si può fare ciò che l’inchiostro della biro sui registri cartacei rendeva impossibile. Scripta manent. Invece quello che si digita può essere cancellato e sostituito, senza lasciare traccia
Per un attimo di distrazione del docente. Oppure perché l’insegnante, ancora poco esperto, delega uno studente smanettone a introdurre voti e assenze. Oppure perché, come l’eroe di Wargames, un alunno riesce a violare in qualche modo il sistema. Accade a Gorizia, Modena, Bologna, Vicenza… Fin dal 2013. Non si sa se sfruttando metodi “low tech”, o individuando i punti deboli del software oppure i punti deboli del docente che nativo digitale non è. (Skuola.net stima che il 35% degli studenti italiani inseriscano i voti al posto degli insegnanti)
Da quando è entrato in vigore il decreto legge 95/2012, il sistema si è aggiornato e velocizzato, ma ha esposto il fianco della vulnerabilità. Iscrizioni, pagelle, comunicazioni e registri devono essere on line per applicare - recita il decreto convertito poi in legge - le “Disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica”, ossia per il risparmio della spesa sociale. Ed è anche il primo passo verso la dematerializzazione delle procedure amministrative.
Al risparmio economico corrispondono necessariamente due conseguenze: una è la riduzione del personale che, in tempi pre-elettronici, svolgeva queste mansioni. La seconda contempla la razionalizzazione di noiose pratiche burocratiche, copiature, calcoli delle medie, inserimenti manuali di voti, comunicazioni con le famiglie etc. etc.
A parte la previsione di risparmio sui posti di lavoro degli applicati di segreteria, il registro elettronico – che prevede la comunicazione in tempo reale ai genitori dell’andamento di un alunno (voti e assenze) - mette anche al riparo la scuola dalla sgradevole eventualità dei ricorsi contro le bocciature “viziate” dal mancato avviso dello scarso rendimento.
Tutto filerebbe liscio. Non fosse per il fatto che, come accade spesso in Italia, le leggi e i provvedimenti avanzati non sempre tengono conto dello stato di fatto delle infrastrutture, che non sempre reggono il passo. L’Italia, si sa, è il luogo in cui le scuole sono ospitate in edifici d’epoca.
A fronte di un provvedimento che – impossibile negarlo – qualche merito ce l’ha, è il modo in cui esso è realizzato che può destare critiche e perplessità.
Per funzionare a dovere, il registro elettronico deve prevedere una rete (con o senza cavo) e i necessari dispositivi (computer, tablet ...) che devono essere forniti dall’amministrazione, ovvero dalla scuola in cui il docente presta servizio.
Ma non sempre è così.
Vi sono sedi scolastiche che provvedono a tutto, e altre che non lo fanno. E allora accade che razionalizzazione e dematerializzazione siano dovute alla disponibilità e buon cuore dei docenti che usano la propria rete dati dove la scuola non la fornisca o si portano da casa i dispositivi che l’amministrazione non mette a disposizione del personale.
Ma non basta. Vi sono dirigenti che emanano paradossali e contraddittori ordini di servizio che contengono l’obbligo di aggiornare il registro elettronico senza provvedere a installare e rendere operativa la rete internet.
Il che mette il docente di fronte a un dilemma irragionevole: dovrà usare i propri dispositivi (e a proprie spese), oppure differire la compilazione del registro di classe e del registro personale in un secondo momento: a casa, oppure in un ambiente della scuola dove sia possibile trovare un computer connesso alla rete.
Tutto, ovviamente, per evitare sanzioni disciplinari.
Ma facendo così si ledono due norme. Una contrattuale: si costringe un insegnante a compilare un registro cartaceo (che deve procurarsi a proprie spese, dato che la scuola non lo fornisce più) e quindi a un doppio lavoro, più un carico di lavoro extra non contemplato dal contratto nazionale e che, necessariamente, occupa una parte di tempo libero per un’incombenza non retribuita.
La seconda, penale: poiché il registro personale è un atto pubblico, la sua compilazione deve avvenire contestualmente alla lezione, ossia in classe e durante l’ora in questione. Differendo a trascrizione dei dati, il docente è soggetto agli articoli che riguardano il falso materiale e il falso ideologico (artt. 476 e 479 V Sezione Penale della Corte di Cassazione: 12726/2000; 6138/2001; 714/2010).
In molte scuole i presidi hanno mandato lettere di censura a insegnanti che si rifiutano di ottemperare a ordini di servizio per mancanza degli strumenti essenziali.
Alla fine, ancora per qualche, tempo la dematerializzazione è destinata a scontrarsi con la materia, ovvero con l’assenza di infrastrutture. Alla quale, come molto spesso accade nella scuola, si vuole porre rimedio abusando o approfittando della disponibilità dei docenti o della loro scarsa reattività verso le imposizioni contraddittorie.
[Roberto Calogiuri]
Il punto sulla scuola. Trasformazione o deriva?
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- Pubblicato Giovedì, 10 Novembre 2016 17:16
- Scritto da Roberto Calogiuri
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Trieste – Nei momenti critici, vale la legge dello scaricabarile. E nessuno fa eccezioni.
Alla fine di settembre, il premier Matteo Renzi disse: “Non tutte le ciambelle riescono con il buco. Se fossimo stati più bravi a gestire questa vicenda sarei stato più contento”. Si riferiva al disastro della mobilità dei docenti, dei “deportati” per i sostenitori o "capre" per gli oppositori (qui l’articolo), provocato dagli algoritmi del Miur retto dalla ministra Giannini.
Ma l’osservazione del premier potrebbe adattarsi, oltre che agli algoritmi impazziti, anche alle contestazioni e le polemiche per bonus docenti, premi al posto della carriera (qui l’articolo), valutazione, formazione, alternanza scuola lavoro, insegnanti potenziati, supplentite non "guarita". E poi per l’inizio d’anno stentato e faticoso e per i contratti fermi da anni. Insomma, per una riforma che non può decollare.
A meno di un mese dal referendum costituzionale, la ministra dell’Istruzione propone una riforma dell’esame di maturità (qui l’articolo) ed estende a 100 istituti superiori la sperimentazione del liceo breve (quello in 4 anni anziché 5).
Renzi – dunque - non poteva evitare, a pochi giorni dal referendum costituzionale in cui “si gioca la faccia”, di ventilare un’ipotesi di cambiamento della legge 107/2015 definita dal governo “La buona scuola” (qui l’articolo) (come ha fatto, del resto, con la legge elettorale).
Evidentemente non si può nascondere che tanto “buona” questa scuola non è, constatata la quantità di imprevisti incontrati e l’ondata di proteste suscitata ancor prima che fosse emanata.
Da qui la critica alla ministra Giannini di cui dovrebbe essere le responsabilità di una legge, vale la pena ricordarlo, formata da un solo articolo e 207 commi, e di cui devono essere varati ancora molti decreti attuativi.
Nel frattempo si mettono le toppe ai buchi. Come, per esempio, tentare di abbreviare i tempi dell’istruzione superiore oppure alleggerire l’esame di stato. La riforma dovrebbe riguardare anche l’eliminazione delle bocciature alle elementari e una riduzione di quelle alle medie inferiori. Se non è stato detto, tra poco si pronuncerà la formula magica che tutto accomoda e giustifica (o dovrebbe), ossia “è l’Europa che lo vuole”.
Eppure in mezzo a questi cambiamenti di rotta, fughe in avanti e marce indietro, viene da chiedersi verso dove stia andando la scuola italiana. E perché.
Questo andamento tortuoso e tormentato deriva dal fatto che la legge 107/2015 – frettolosa e superficiale nella forma e nella sostanza - non può prevedere i dettagli di una realtà complessa e articolata come quella della scuola. Moltissimi aspetti – anche fondamentali - sono lasciati alla soluzione dei singoli istituti in forza della legge sull’autonomia, con l’effetto di avere una quantità sproporzionata di interpretazioni dello stesso comma e soluzioni distanti anche entro lo stesso territorio, quando non nel medesimo quartiere.
Ma la direzione principale, ancora una volta, è quella che deriva dalle linee politiche europee cui l’Italia deve sottostare. Dal 1987 sono state varate le leggi di delegazione europea in forza delle quali l’Italia accoglie, nel proprio ordinamento interno, le norme giuridiche prodotte dall’Unione Europea automaticamente, senza passare dall'approvazione popolare.
Se si considerano le linee principali della legge 107 e gli ultimi aggiustamenti appena esposti, emergono i soliti principi dettati dai protocolli europei da Maastricht a Lisbona: ossia la prevalenza delle competenze sulle conoscenze da cui discende una serie di effetti pericolosi per la libertà di insegnamento e dell’apprendimento, come: l’introduzione di concetti e strategie aziendalisti nell’istruzione (efficacia ed efficienza), l’ introduzione nella didattica di automatismi digitali assorbiti già in famiglia, riduzione delle retribuzioni per il personale scolastico, l’abitudine - per gli studenti – a un lavoro declassato e non retribuito sottoforma di tirocinio, l’abitudine a una educazione “informale” e “non formale”, la dequalificazione dell’ambiente scolastico, non solo quello materiale. È di poche ore fa la notizia che assistere a un’intervista pubblica del premier a Pescara può produrre credito formativo.
Nonostante tutto, forse non è abbastanza noto che ormai le scuole si muovono per ottenere la certificazione di qualità ISO 9001:2000 sulla base di efficacia ed efficienza (ossia raggiungimento degli obiettivi in relazione alla minore spesa possibile) per la certificazione di qualità del sistema di gestione.
Il meccanismo principale attraverso il quale avviene tutto ciò e inarrestabile (perché divenuto obbligatorio col decreto “semplificazioni” del governo Monti): è l’Invalsi con i suoi test.
Del sistema Invalsi abbiamo già detto (qui l’articolo). È un sistema che diviene sempre più incalzante e sempre più scoperto negli intenti di svalutare la scuola come luogo di conoscenza e attitudine critica, di deprimere e dequalificare la presenza dei docenti a semplici “prestatori di servizi educativi”.
Il tutto avviene non solo riducendo l’esame di stato e il curriculum quinquennale, ma tentando di abituare alunni e famiglie a una pratica nozionistica e acritica del sapere trasmesso a scuola.
La prova è nella ventilata applicazione al quarto anno di liceo del test Invalsi, quindi nell’ultimo anno del “liceo breve”, come sigillo conclusivo degli studi superiori.
Quello che si vorrà dagli studenti della nuova maturità sarà quanto è riportato in un rapporto OCSE-PISA* del 2009 e recepito da Invalsi: “ Com’è ormai diffusamente noto, l’obiettivo non è quindi quello di valutare l’acquisizione dei contenuti curriculari” ma di indirizzare “i curriculi scolastici dei differenti paesi sempre più orientati sulla capacità degli studenti di utilizzare e non soltanto possedere conoscenze”.
La legge 107 ha autorizzato una spesa di 8 milioni di euro all’anno, tra 2016 e 2019, per favorire la rilevazione di questo tipo di apprendimento verso il quale, al momento, si muove la scuola italiana. Una scuola in cui gli insegnanti furono già considerati dall'Ocse nel 1996 come una "classe residuale" (qui l'articolo)
[Roberto Calogiuri]
*OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) è l’agenzia transnazionale che ispira l’Invalsi e promuove indagini comparative sull’apprendimento degli studenti dei paesi membri dell’UE. PISA sta per Programma per la valutazione internazionale dell'allievo (Programme for International Student Assessment)
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