Niente voti. Niente compiti. Questa scuola funzionerà?
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- Categoria: Scuola ed educazione
- Pubblicato Venerdì, 14 Ottobre 2016 20:32
- Scritto da Roberto Calogiuri
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Trieste – Che la scuola sia giunta a un punto critico, è una realtà che non si può nascondere.
La reazione sociale, politica e tecnica scatenata dalla legge 107/2015, detta “La buona scuola”, è un esempio di come una gran parte della popolazione che gravita attorno al mondo dell’istruzione sia fortemente critica nei confronti di questa soluzione.
Tuttavia esiste anche un altro tipo di risposta alla scuola attuale che, evidentemente, non è vista come la soluzione al problema didattico, educativo e pedagogico ma, piuttosto, come un problema da risolvere, un meccanismo da correggere e da adeguare ai tempi, ai gusti, ai capricci di chi una scuola come quella statale italiana proprio non la gradisce.
C’è chi salta a piè pari la questione e ricorre all’istruzione parentale, ossia alla scelta di educare i propri figli in casa propria. Può essere una soluzione, visto che è sancita dalla costituzione secondo il principio che l’istruzione è obbligatoria ma non è obbligatorio frequentare la scuola pubblica (qui il nostro servizio).
Ma se non si vuole togliere ai propri figli una sana socializzazione, allora va bene anche la frequentazione della scuola, purché riformata, purgata da quegli elementi che la rendono sgradevole e sgradita, forse ai genitori più che ai figli.
È così che si è infiammata la recente polemica sui compiti che vengono assegnati per le vacanze o, non da meno, su quelli assegnati a casa da svolgere durante il pomeriggio. Usanza che è percepita come una limitazione della libertà individuale e, quasi come tutte le questioni, ha infiammato una serie di polemiche sui media.
La miccia è stata innescata dalla lettera di un papà di Varese che scrive una lettera agli insegnanti del figlio che inizia con le parole “…Vorrei informarvi che come ogni anno mio figlio non ha svolto i compiti estivi”. Tanto è bastato a scatenare il bombardamento di pro e contro.
Ma il problema non sono tanto i compiti domestici o le consegne per le vacanze, e le schiere di esperti che si pronunciano a favore o contro sono ben nutrite da ambo le parti. Il problema è che la scuola non è più vista come una fonte pedagogica autorevole e un modello da seguire ma come un servizio che si può criticare e migliorare quando non come un nemico da combattere e neutralizzare.
I motivi sono tanti. Non si può nemmeno affermare che la scuola così com’è sia un’istituzione perfetta.
È per questo che, caso strano, ancora a Varese, è nato un progetto avanzato da 90 genitori che hanno chiesto al sindaco di proporre al Miur una sperimentazione.
Questo tipo di scuola dovrebbe iniziare con il “circle time”, un inglesismo che indica un cerchio in cui durante la prima ora si raccontano le proprie emozioni. In 40 ore divise per 5 giorni si dovrebbero svolgere lezioni in “cooperazione”, su tavoloni invece che banchi, senza noiose e dirigistiche lezioni frontali ma in un rapporto di reciprocità, con metà del tempo all’aperto familiarizzando anche con animali da cortile, niente voti ma “valutazioni compartecipate”, niente rigorose scansioni orarie ma flessibilità didattica.
I dubbi verso questo tipo di educazione riguardano la possibilità che una scuola così articolata possa preparare a una realtà competitiva ed esigente come quella attuale. Ma non sembra essere una preoccupazione dei genitori di Varese, perché il tutto dovrebbe partire nel settembre 2017.
A Berlino c’è già una scuola del genere. Si chiama Evangelische Schule Berlin Zentrum. Lì, dice la sua preside, i ragazzi non vedono l’ora di cominciare le lezioni. In Italia, di progetti simili si parla dal 2009. Ci sarà un motivo per cui non sono decollati in grande stile.
Anche se non bisogna dimenticare che la parola “scuola” deriva dal termine “scholé”che in greco vuol dire tempo libero, riposo, ozio, quiete.
Non sarà che, come al solito, gli antichi ci indicano la via?
Roberto Calogiuri