Insegnanti in via di estinzione? Invalsi e democrazia a scuola
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- Categoria: Scuola ed educazione
- Pubblicato Giovedì, 17 Luglio 2014 18:49
- Scritto da Roberto Calogiuri
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TRIESTE – La scuola si prepara a una svolta. Ma non quella annunciata dai tiraemolla ministeriali: diminuzione delle ferie e aumento da 18 a 24 ore settimanali di servizio per gli insegnanti. Poi non più. E poi invece il rilancio: facciamo 36 ore settimanali e scuole aperte fino alle dieci di sera. E poi ancora retromarcia. Ora è tutto fermo in attesa di qualche nuovo progetto che agiti corpo insegnante, alunni e relative famiglie.
E ancora: i precari, i pensionamenti, il potere d’acquisto degli stipendi, i concorsi, il liceo breve e gli insegnanti in sovrannumero, gli esami di maturità e la valutazione disomogenea, le supplenze e, infine, quello che dovrebbe imprimere la sterzata: l’imposizione dell’Invalsi con la conseguente valutazione – ma ancora non è definitivo – degli insegnanti o degli istituti.
C’è da chiedersi perché la scuola pubblica con i suoi docenti siano esposti a questa serie di proposizioni progettuali unilaterali che sembrano tattiche logoranti per fiaccare l’opposizione e ridurla a più miti pretese. C’è da chiedersi perché l’esercito degli insegnanti (sono più del doppio dell’armata napoleonica ma con molto meno potere “negoziale”) sia trattato dal proprio governo in questo modo. E a che cosa possa portare questa tendenza non solo per la scuola ma anche per la società cui essa è legata a doppio filo, alunni e famiglie prima di tutto.
Di cosa ci sia dietro i testi Invalsi abbiamo già detto (qui il collegamento al servizio) ma c’è qualcos’altro che si dovrebbe considerare e che sottende il medesimo problema: il credito che gli insegnanti hanno non in seno al consorzio civile (quello è noto) ma presso quei medesimi organismi economici che hanno voluto e vogliono l’uniformazione della cultura scolastica e la sua sottomissione ai criteri del mercato globale.
Se dovesse avere un senso opporsi ai test Invalsi, non si può trascurare la matrice economica che li ha prodotti: fin dalla metà degli anni ’80 gli industriali europei considerano gli insegnanti incompetenti in materia di economia e di industria. Qualche anno dopo, a Maastricht, si decide che la formazione deve diventare un affare industriale. Sono gli anni in cui la Lehman Brothers decide di investire nel settore scolastico.
Affermando che l’istruzione consiste nello stimolare l’apprendimento e non nel ricevere un insegnamento e che, nella sostanza, l’apprendimento informatico avviene nelle famiglie ben prima che nella scuola, ecco che gli insegnanti non sono più importanti e determinanti come si credeva.
Se si aggiunge che in una scuola così articolata i corsi diventano i prodotti e gli studenti diventano i potenziali clienti, si capisce come - fin dal ’96 - l’Ocse consideri gli insegnanti una “classe residuale”, un ordine professionale e sociale in via di estinzione o di superamento. E di conseguenza appare più chiaro il motivo per cui gli insegnanti siano scarsamente considerati nelle trattative contrattuali e le nuove immissioni in ruolo così faticose e macchinose.
Appare chiaro anche perchè le scuole dovrebbero rimanere aperte fino alle ventidue: grazie alle lavagne interattive multimediali e ai tablet forniti a titolo gratuito dalle corporazioni della telecomunicazione, la scuola pubblica diventerebbe una specie di super-ricreatorio con funzione di controllo sociale senza badare alla qualità. E, strada facendo, creerebbe una riserva sempre fresca di buoni clienti informatici: perché è questo il segmento dell’istruzione in cui i giovani sono più influenzabili nelle scelte consumistiche.
Per il medesimo motivo, invece, c’è chi ritiene che questo dovrebbe essere il segmento dell’istruzione in cui si forniscono agli alunni gli strumenti di indagine critica che favoriscano originalità di giudizio. E non coscienze uniformate come tendono a produrre le batterie omogenee di test, preparati all’esterno ed estranei a ogni peculiarità didattica. La loro somministrazione, in questo profilo, serve soltanto a modificare - sul breve periodo – i piani didattici tradizionali che resistono e contrastano il progetto uniformatore.
Questa serie di interventi inappellabili, in cui la possibilità di opposizione è pressocchè nulla o ignorata dai dirigenti oppure paralizzata dai decreti ministeriali, rinforza l’impressione di trovarsi già da qualche tempo in un regime autoritario.
Di più: consolida quel dubbio su cui già da tempo si interroga la filosofia politica, vale a dire il dubbio che la democrazia abbia esaurito la sua funzione etimologica e storica e si avvii a riconoscere il proprio fallimento di fronte a eventi dovuti a leggi economiche e finanziare di dimensioni planetarie.
L’imposizione dell’Invalsi e del sistema liberista che lo ha prodotto, a dispetto del movimento sociale professionale e intellettuale che vi si oppone anche dalla base, potrebbero significare la sospensione del rispetto per le differenze, per la sovranità popolare e per la rappresentatitività di chi è stato delegato a governare.
[Roberto Calogiuri
In apertura: manifestazione anti Invalsi a Trieste (Foto di Roberto Calogiuri)