A Udine, possibilità di studiare la criminologia
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- Pubblicato Mercoledì, 09 Novembre 2016 20:34
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Cambia ancora l'esame di maturità. In meglio o in peggio?
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- Pubblicato Giovedì, 27 Ottobre 2016 14:56
- Scritto da Roberto Calogiuri
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Trieste – Si prepara il nuovo esame di stato, ovvero la maturità, ed è una storia infinita.
I governi e il Ministero dell’Istruzione non trovano pace nel modificare l’uscita degli studenti dalle scuole superiori, di farlo andare al passo con i tempi. La difficoltà è palese perché le tessere del mosaico sono sempre le stesse, con pochissime novità. Quello che cambia è il modo di distribuirle.
Accadrà dal 2018 ma se ne parla ora, nel momento caldo che precede il referendum costituzionale del 4 dicembre.
I punti: rimangono le due prove scritte tradizionali valide per tutti, niente più tesina interdisciplinare, niente terza prova, commissioni formate esclusivamente da docenti interni. Fondamentali saranno i progetti scuola lavoro che diventeranno il cardine dell’accumulo dei crediti. Il famigerato test Invalsi sarà anticipato alla fine del quarto anno.
Niente di definitivo, sottolineano al Miur. Si tratta di una legge delega in materia di valutazione “che è ancora oggetto di valutazioni e non esistono testi definitivi”.
Segno che il governo si aspetta la solita ondata di proteste contro quest’appendice della legge 107/2015 detta “La buona scuola”. E in effetti qualcosa da discutere c’è.
La scomparsa della terza prova, (quella con le materie ancillari, inerenti alla scuola o alla classe in particolare) tende a far scomparire l’impegno (e lo studio) per le discipline non oggetto di esame secondo la tradizione degli indirizzi. L’eliminazione della tesina (che in genere veniva copiata dal materiale in rete) potrebbe provocare la rinuncia alla ricerca di connessioni e affinità tra discipline. Le commissioni interne potrebbero comprendere giudizi non obiettivi ma determinati (nel bene e nel male) da anni di frequentazione pregressa.
Oltre all’obiettivo di risparmiare sui compensi – già magri – dei commissari esterni, l’intento sembra quello di facilitare l’esame di stato, di renderlo meno impervio e più agile. Insomma, più favorevole agli studenti. Messa così si conferma il sospetto che si tratti di una ricerca di consensi tra potenziali votanti e il loro genitori elettori alla vigilia del referendum. Un po' come il bonus di 500 € ai maggiorenni. Ma le conseguenze potrebbero non essere quelle previste.
La novità è il maggior peso dell’alternanza scuola-lavoro: i voti ottenuti durante l’anno scolastico avranno minore incidenza di questa nella determinazione dei crediti. Al posto della tesina si porterà un progetto di alternanza scuola lavoro, sviluppato dallo studente, che sarà oggetto del colloquio orale.
I test Invalsi saranno anticipati al quarto anno per non gravare troppo sul carico di lavoro dell’ultimo anno. Nondimeno il risultato sarà condizione del superamento dell’esame di stato.
(A proposito di questo anticipo, va detto che si allarga sempre di più la sperimentazione del liceo in quattro anni. Questo potrebbe costituire un precedente per far diventare i test Invalsi la prova conclusiva del ciclo quadriennale.)
I punti più esposti della riforma sono gli ultimi due. E non solo perché rappresentano (quasi) una novità, ma perché finora hanno già fatto molto discutere sulla loro utilità e validità.
La direzione del Miur è chiara: rendere l’esame di maturità più simile a uno scivolo verso il mondo del lavoro piuttosto che simile al tradizionale incubo che funesta le notti di maturandi e maturati. Difficile dire se vi riuscirà.
Più facile è puntare l’indice contro i due punti evidenziati.
L’alternanza scuola-lavoro prevede un obbligo di 200 ore (nei licei) o 400 (nei tecnici, dove già era in uso) da prestare in qualche azienda o impresa. I dati ottenuti finora parlano di un tormento provocato dalla difficoltà di trovare abbastanza soggetti esterni che accolgano tutti gli studenti o stage che si rivelano utili. (Le scuole hanno scatenato una caccia all'azienda). Si obietta che gli stage hanno scarsa attinenza con i percorsi formativi scolastici o che vengono allestiti unicamente per ottemperare alla legge e solo perché scarseggiano le alternative efficaci.
L’alternanza nasce con l’intento nobilissimo di avvicinare gli studenti al mondo del lavoro, ma lo scotto da pagare è molto alto: troppo spesso si è rivelata una pratica non adeguata a fornire una preparazione corrispondente alle attese del mondo del lavoro, oppure a limitare la disoccupazione o arginare la dispersione scolastica. Qui i dati.
Viceversa ha sottratto ore all’insegnamento in classe in cambio dell’apprendimento generico di nozioni spesso decontestualizzate oppure si è rivelato una prestazione di lavoro gratuito o sottopagato o un’acquisizione meccanica di competenze acritiche.
Quanto ai test Invalsi, già si è detto molto (qui il servizio). Si è già avviata una dimostrazione di come questo tipo di rilevamento delle competenze preveda un meccanismo finalizzato a destrutturare lo schema della scuola pubblica a vantaggio delle esigenze imprenditoriali (qui il servizio): la combinazione di alternanza scuola lavoro in coppia con i test Invalsi ha lo scopo di creare un tipo di scuola lontano da quello attuale.
Questo nuovo tipo di scuola, per alcuni potrebbe rappresentare una proiezione verso l’avvenire. Per altri non rappresenta altro che uno svuotamento della scuola come luogo di cultura, di libero esercizio della critica, di cooperazione, di trasmissione di saperi in cui gli insegnanti sono degradati al rango di “classe residuale” (qui il servizio).
C’è il rischio che la scuola diventi il luogo dove si addestra la gioventù alla rivalità, alla competizione, all’individualismo. A quanto, del resto, induce il meccanismo premiale introdotto tra i docenti.
“Tout se tient” in epoca neoliberista.
[Roberto Calogiuri]
La scuola ai tempi di Whatsapp. Quando la comunicazione diventa esplosiva
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- Pubblicato Mercoledì, 26 Ottobre 2016 18:46
- Scritto da Roberto Calogiuri
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Trieste – C’era un tempo in cui la comunicazione era ordinata e facile. Perché era lenta e scandita: uno parlava e l’altro ascoltava, in genere, e poi rispondeva. Nel caso servissero spiegazioni, si chiedeva; qualcuno replicava, ci si liberava dalle incomprensioni e tutto era risolto.
A scuola, tra genitori, alunni e insegnanti era abbastanza semplice. C’erano i ricevimenti e i diari. Si comunicava in modo chiaro e univoco. In casi eccezionali col telefono. Forse senza tempestività. Ma era meglio così, perché si aveva il tempo di far sedimentare le questioni, rimandare i diverbi in modo da giungere al punto senza animosità e dopo una adeguata dose di riflessione e diinformazione.
Oggi non è più possibile. Whatsapp e Telegram non lasciano tempo al tempo. Tutto si consuma velocemente. Nelle stanze virtuali non ci sono filtri né ripensamenti. Il che può essere utile e divertente se si chiacchiera tra amici, ma può diventare dannoso se la comunicazione avviene tra gli attori della scuola.
Tanto dannoso che i presidi di moltissime scuole italiane tentano di limitare, se non impedire, l’uso dei gruppi Whatsapp tra genitori e, peggio che peggio, tra insegnanti e genitori. Non lo avrebbero fatto se non avessero notato che il fenomeno si allarga a macchia d’olio ma senza produrre effetti positivi. Al contrario. Della proverbiale doppia faccia, Whatsapp ne mostra una sola.
Nulla di male se la messaggistica fosse usata a soli fini informativi. Invece, per la sua stessa natura telegrafica, rende concitata e lacunosa la conversazione, spesso impulsiva, quindi incline al malinteso, all'ingiuria e all'innesco delle liti.
Perché è proprio questo che accade.
Ormai è arcinoto il caso di insulti verso un bambino con disabilità cognitive, o quello di una mamma che, irritata da un episodio di pediculosi, voleva conoscere il nome del bambino che aveva scatenato l’epidemia di pidocchi. Esigeva che si rendesse pubblico il nome, “Perché qui qualcuno ha un chiaro problema di igiene e voglio sapere chi è!”.
Oltre alla caccia all’”untore” e agli insulti ai disabili, da Nord a Sud le chat stanno diventando delle incubatrici di conflitti, delle polveriere di ostilità e livori che esplodono in litigi più o meno dirompenti.
Dal genitore che non ha pagato la quota della mensa, al bambino che ha tirato i capelli a una compagna. Piccoli episodi che in altri tempi non sarebbero nemmeno stati notati si arricchiscono di pettegolezzi, malintesi ed equivoci fino a ingigantirsi e non essere più controllabili.
Molti genitori, lamentano i presidi, si presentano a scuola con gli screenshot di Whatsapp o di Facebook alla mano deplorando di essere stati lesi nella dignità o nella reputazione di se stessi o dei propri figli, mescolando pericolosamente gli ambiti, fomentando beghe personali, impicciandosi degli affari intercorsi tra alunni durante l’orario scolastico che sarebbero, per loro natura, di competenza della scuola.
E non solo. I messaggi riguardano anche i compiti domestici di cui sono ormai i genitori a occuparsi, a chiedere informazioni e chiarimenti, sostituendosi ai figli e sottraendo loro la possibilità di comunicare e di esercitarsi nei rapporti interpersonali.
E poi i commenti e apprezzamenti sugli insegnanti e sui loro metodi (discutibili), sui compiti (troppi o troppo pochi), sui voti (dati a casaccio) sui compagni (cattivi). Commenti che consistono, quasi sempre, in critiche acide e scabrose basate su osservazioni frettolose e di seconda mano.
In genere, in ogni scuola, dopo il primo consiglio di classe si forma il gruppo WA dei genitori. E comincia la musica che costringe a ballare presidi e docenti. “Maleducati e prepotenti”. Così si manifestano i genitori – secondo la maggior parte delle osservazioni rilevate – non solo verso il personale scolastico ma anche tra loro stessi.
Ma soprattutto questo sistema di comunicazione introduce un clima che sicuramente non giova agli alunni. Per esempio sono le mamme che – attraverso i messaggi - tentano di organizzare e confezionare la vita scolastica dei figli, di procurare loro i compiti, di ottenere “giustizia”. In altre parole, di accompagnare virtualmente i figli a scuola per proteggerli, difenderli e tutelarli.
Il tutto a svantaggio di quel processo che può avvenire quando i genitori si allontanano e lasciano che i figli se la cavino da soli. E che si chiama crescita.
I presidi stanno vietando le chat dei genitori a scuola. Ma si sa che è una battaglia persa.
[Roberto Calogiuri]
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