A Trieste per non dimenticare Srebenica
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- Pubblicato Martedì, 14 Luglio 2015 12:34
- Scritto da Sara Grubissa
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Trieste – Nei giorni scorsi, esattamente sabato 11 luglio in piazza della Borsa a Trieste, un centinaio di persone si sono ritrovate per commemorare le vittime del massacro di Srebenica.
A vent'anni dalla tragedia, il “Comitato Srebenica 1995 – 2015”, comitato di scopo, nato da cittadine/i di Trieste ed alcune associazioni, ha voluto ricordare il crimine di guerra, il più feroce, dal secondo dopo guerra ad oggi, che si sia permesso avvenisse nel cuore dell'Europa.
Sabato, a Srebenica, 136 corpi sono stati ricomposti e sepolti, vicino ai già oltre ottomila del cimitero di Potočari, ma sono ancora molte le donne bognacche che attendono di ritrovare e dare una sepoltura alle loro ossa.
Sono le donne che aspettano in Bosnia, sono le donne le "risparmiate" le testimoni, e sono le donne di Srebenica che hanno realizzato il simbolo della tragedia " fiore di Srebrenica",fiore che sabato, in piazza della Borsa, spiccava anche sulle magliette dei partecipanti alla commemorazione.
I partecipanti, formando un cerchio, hanno scandito i nomi e i cognomi delle 136 persone seppellite in questo anniversario, un grande striscione sullo sfondo riportava "Don't forget Srebenica" e poi un lenzuolo con la cifra 8372, il numero degli uomini bognacchi, tra i 12 e 80 anni, massacrati vent'anni fa.
La massa bianca poi - tutti i partecipanti erano vestiti di bianco - si è diretta come un silenzioso fiume verso Palazzo Gopčevich, dove, in sala Bobi Bazlen si è svolto un incontro a più voci quale occasione di approfondimento, dibattito e riflessione – come scrivono gli organizzatori sull’invito all’evento via FaceBook- che si è sviluppato in interventi, nella lettura di testi e poesie di Elvira Mučić, Abdulah Sidran e delle testimoni dirette delle donne di Srebrenica sopravvissute all’eccidio. All’inizio dell’incontro è stato proiettato il video “Srebrenica 1995-2015” del fotografo e giornalista Bruno Maran.
Il “Comitato Srebenica 1995 – 2015”, nato come comitato di scopo con l’intento d’imparare dalla Storia per impedire che le nuove generazioni debbano subire ulteriori tragedie, insegnando loro il valore e la forza del dialogo, della collaborazione e della condivisione, dando ai giovani l’opportunità di costruire un futuro diverso, si prefigge ora nuove occasioni di riflessione condivisione e dialogo per trasmettere a chi non c’era o non era nato la memoria per, appunto, imparare dal passato. Concetti questi, assieme all’importanza dell’elaborazione del lutto e del conflitto, espressi, anche, dalla vice sindaca Fabiana Martini nel suo intervento all’apertura dell’incontro di riflessione.
Al Comitato “Srebenica 1995 – 2015” oltre a singole/i cittadine/i hanno aderito: L’associazione “Bosna – Trst” L’associazione “Luna e l’Altra” (Ts) L’associazione “Tina Modotti” (Ts)
Casa Intercazionale delle Donne (Ts), Comitato Pace Convivenza e Solidarietà “Danilo Dolci” (Ts)
Euromediterranea (Ts) Gruppo/Skrupina 85 Ts Fondazione/Stiftung Alexander Langer (Bolzano)
I.C.S. (Ts), Interethnos (Ts), "Orsa Minore – artigianato locale" (Ts), “Tenda per la Pace e i Diritti”(Monfalcone/Trieste).
Tribunale delle donne: un approccio femminista alla giustizia
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- Pubblicato Giovedì, 25 Giugno 2015 19:01
- Scritto da Sara Grubissa
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Trieste – Martedì 23 giugno alla Casa Internazionale delle Donne di Trieste, in un incontro aperto alla cittadinanza, si è parlato di giustizia, quella delle donne per le donne.
Tra il 7 e il 10 maggio scorsi, a Sarajevo, si è tenuto il Tribunale delle Donne. A distanza di quasi quarant'anni, ( il primo fu Bruxelles '76, che si occupò di un ampio spettro di violenze, da crimini politicamente motivati a stupri, a violenza domestica ), in Europa, le donne ritornano a chiedere giustizia per i crimini subiti. L'imputato è la guerra nei Balcani e i suoi protagonisti.
Il Bosanski Kulturni Centar, storico auditorium nel cuore della città , si è popolato di donne di svariate nazionalità , non solo europee, c'erano anche rappresentanti delle Madri di Plaza de Mayo, gruppi dalla Palestina, Congo ed India. Perchè la giustizia per le donne non ha confini.
La delegazione triestina, ha spiegato come si sono svolti i lavori: per ogni sessione, da un lato del palco le testimoni dall’altrole esperte del Tribunale. Alla fine di ogni sessione, le singole testimonianze vengono riportate in una cornice socio-politica dalle esperte, si disegna così, un quadro dettagliato del contesto in cui si sono svolti i crimini di allora, di chi li ha orchestrati, e di come e quali, sono tuttora, le conseguenze, il perpetuarsi di violenze e abusi, nel dopo guerra nel transitare verso un nuovo assetto socio-politico.
Melitita Richter, sociologa e membro del gruppo di Trieste, sottolinea la peculiarità dei Tribunali delle Donne, la denuncia alla società civile, la raccolta di testimonianze, la presa di coscienza, universalmente riconosciuta su ciò che è avvenuto. L'approccio femminista alla giustizia sorpassa alcuni limiti della giustizia ordinaria (come ad esempio l'oggettivazione del testimone e/o vittima) non ne nega il ruolo, ma lo trova insufficiente e si pone come complementare.
La vittima, la testimonianza, sono poste al centro.
I racconti delle donne sono divisi per tipo di violenza: sessuale, etnica, militare ma anche economica e riguardano situazioni passate ed attuali.
In questo tribunale si parla di giustizia transazionale, - ovvero "lo studio delle scelte operate e della qualità della giustizia resa quando gli stati sostituiscono regimi autoritari con istituzioni di uno stato democratico" (Siegel, 1998, 431). L'attenzione delle donne, appunto, si concentra anche sulle ripercussioni delle scelte della transizione, Michela Degrassi, porta l'attenzione sui problemi emersi nel post guerra, con le pesanti privatizzazioni, il depauperamento del lavoro femminile sia in termini economici che di diritti.
A far parte del gruppo di partecipanti triestine anche due giovani donne. Una di queste, Marta Grasso, studentessa di Scienze Diplomatiche Internazionali, ha trasmesso al meglio il forte impatto emotivo e la rabbia, che le testimonianze ascoltate hanno suscitato in lei e nelle altre donne presenti nella platea di Sarajevo. I racconti sentiti, tutti dettagliati, nei fatti nei nomi nei cognomi nelle località, sono arrivati al pubblico con tutta la loro potenza. C'è stato uno scambio di energia. La forza proveniente dal palco, la narrazione di situazioni indicibili, si è trasmessa alla platea e viceversa. Il linguaggio accademico (le esperte presenti, sono alcune tra le più importanti teoriche e pensatrici del movimento femminista internazionale) si è naturalmente fuso con quello delle donne testimoni, contadine, operaie casalinghe. Questa modalità , precisa Marta Grasso, ha permesso, a chi come lei nasceva mentre quei fatti avvenivano, di conoscere l'orrore degli eventi ma anche il contesto, rendendola così testimone consapevole. La trasmissione alle nuove generazioni è uno dei punti cardine delle associazioni femminili della ex -Jugoslavija che in 10 anni di intenso lavoro, su vari piani , hanno organizzato il Tribunale delle Donne per i Balcani.
L'incontro alla Casa Internazionale delle Donne, aveva lo scopo d’informazione, condivisione e riflessione sulle giornate del Tribunale delle Donne, ma ha avuto anche un effetto moltiplicatore delle voci che hanno testimoniato a Sarajevo.
A chiusura è stato trasmesso il documentario Parlano le donne di Srebenica di Milica Tomić.
Accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati: collaborazione dei comuni per superare l'emergenza
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- Pubblicato Martedì, 19 Maggio 2015 19:51
- Scritto da Redazione Ilfriuliveneziagiulia
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Trieste - L'assessore regionale alla Cultura e Solidarietà, Gianni Torrenti, è intervenuto il 19 maggio sulla questione della presenza in regione di rifugiati e delle conseguenti difficoltà sulla loro sistemazione.
"La Caserma Cavarzerani non sarà un centro di accoglienza" ha detto l'assessore, che ha aggiunto: "Chiediamo ai Comuni una forte solidarietà a tutela di quei sindaci che in questa fase stanno sopportando il maggiore peso dell'accoglienza".
Con l'Associazione Nazionale Comuni Italiani (Anci) del Friuli Venezia Giulia, ha affermato Torrenti, "stiamo lavorando su due binari. Da una parte occorre ragionare in una prospettiva di medio-lungo periodo, organizzando un'accoglienza che non ci metta più in situazione emergenziale come quella attuale. Per fare ciò occorre avere un quadro del numero dei posti letto potenziali, in modo da renderli sufficienti per dare risposte nei momenti di crisi".
"Nel frattempo però i migranti arrivano - ha continuato l'assessore - e quindi occorre trovare necessariamente spazi privati, come alberghi e appartamenti, da utilizzare. Ma non vogliamo imporre nulla e quindi abbiamo bisogno di una sollecitazione dell'Anci rispetto a tutti i suoi associati perché raccolgano questa sfida, proprio per alleggerire quei sindaci che in questa fase stanno accogliendo molti rifugiati. Non si tratta di obbligare i Comuni a offrire più posti letto, ma di sottrarre parte dell'emergenza ad altri sindaci e su questo chiediamo una forte solidarietà".
Particolarmente sotto pressione su questo aspetto è la città di Udine. "C'è la questione relativa al parco Moretti, che è l'esito di un eccesso di presenze che deriva dalla lentezza con cui viene messa in piedi l'accoglienza diffusa" ha affermato Torrenti.
"Si tratta di un problema complesso ma è evidente che bisogna accelerare i tempi. La Regione sta cercando di fare la propria parte con un lavoro di coordinamento ma il rapporto strategico in tal senso è quello tra Comune e Prefettura e auspichiamo che si riescano a trovare delle soluzioni anche nella prospettiva di ulteriori richiedenti".
Riferendosi al via libera dato dalla Regione alla convenzione tra Protezione civile regionale e Prefettura di Udine per interventi di adeguamento alla caserma "Cavarzerani", Torrenti ha spiegato che "in questo modo intendiamo migliorare l'accoglienza per i richiedenti asilo, evitando che vagabondino per la città, e attenuare al massimo l'impatto sui cittadini residenti".
"Non c'è alcuna intenzione da parte della Regione - ha precisato Torrenti - di favorire la trasformazione della caserma in un centro di accoglienza, ma c'era bisogno di un luogo di smistamento più adeguato rispetto alla tendopoli. È chiaro comunque che l'intervento sulla struttura è indirizzato a dare una risposta che può essere solo temporanea e funzionale alla distribuzione dei richiedenti asilo in altre aree della regione".
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