Con “Sole alto” si aprirà la 27a edizione di Trieste Film Festival
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- Categoria: Cinema
- Pubblicato Mercoledì, 13 Gennaio 2016 21:51
- Scritto da Daniele Benvenuti
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Trieste - Edizione speciale di questa 27a edizione dell’ormai noto e seguito festival che mette in luce gli autori del cinema dell’Est Europa, conosciuti ed emergenti. Speciale perché è il primo festival senza la sua protagonista assoluta, fondatrice, direttrice e curatrice di tutte le rassegne passate, Annamaria Percavassi, scomparsa di recente. Una donna che tanto ha dato non solo a questo festival ma al cinema in generale per questa regione, dall’idea di avere una “casa del cinema” fino all’ottenimento di fondi, indispensabili per l’avvio di progetti di rilievo e per far emergere i nuovi talenti. È certamente grazie a lei se la qualità di questi festival è cresciuta così tanto nel tempo.
Aprirà la 27a edizione, che si svolgerà dal 22 al 30 gennaio, un film fuori concorso “Sole alto”, co-produzione croato-serbo-slovena davvero insolita. Tre storie sull’amore viste e vissute attraverso gli occhi, il cuore, l’anima di tre coppie diverse. La chiusura sarà dedicata invece ad una nota conoscenza del cinema internazionale, il regista georgiano Iosseliani col suo “Chant d’hiver”, una commedia agrodolce sull’utopia della ricchezza, sull’amicizia e la speranza.
Da segnalare, per tutti gli amanti del cinema ma non solo, il focus “la doppia vita del cinema polacco”, omaggio del Trieste FF al maestro Kieslowski per i 20 anni dalla sua scomparsa. Per l’occasione verranno mostrate alcune delle sue opere più famose: i dieci capitoli de “Il Decalogo”, “La doppia vita di Veronica” e “Film Rosso” (uno dei tre di “Tre colori”). Questi ultimi due hanno in comune l’interpretazione dell’attrice Irène Jacob, ospite d’onore di questa rassegna. L’altro focus è dedicato al “nuovo cinema rumeno tra favola e realtà”. Dopo la storica Palma d’Oro a Cannes nel 2007 col film di Cristian Mangiu, sarà interessante scoprire cosa ci ha riservato il neonato cinema sperimentale rumeno.
All’interno del festival si ripeterà il forum chiamato When East meets West, che ha l’obiettivo di far incontrare i professionisti di Italia, Est Europa e una differente area geografica. Quest’anno è dedicato a Spagna e Sudamerica.
Oltre ai film il programma prevede anche altri due concorsi internazionali dedicati ai cortometraggi e ai documentari. I vincitori di questi tre concorsi saranno decisi dal pubblico. Tra i vari e numerosi premi segnalo in particolare il Lux Prize, premio istituito nel 2007 e finanziato dalla Comunità Europea al miglior film di produzione europea. La pellicola vincitrice sarà poi sottotitolata e distribuita in ogni singolo Stato membro.
Otto giorni intensi per conoscere l’evoluzione del cinema europeo dell’Est (ma non solo europeo), che ci racconterà realtà molto vicine a noi ma che spesso ignoriamo.
Daniele Benvenuti
Una spystory al tempo della Guerra Fredda che parla il linguaggio di oggi
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- Pubblicato Giovedì, 07 Gennaio 2016 12:14
- Scritto da Timothy Dissegna
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Il tema della giustizia è uno di quelli così complessi che se parla da secoli: da Beccaria ai giorni nostri, infatti, ognuno ha detto la propria su come si dovrebbe o meno difendere e punire gli imputati a un processo. Al cinema lo ha fatto anche Steven Spielberg, con il suo ultimo film “Il ponte delle spie”, che porta la discussione, per poi ampliarne gli orizzonti, in piena Guerra Fredda.
Negli Stati Uniti della fine anni '50 e inizio '60, Rudolf Abel (interpretato da Mark Rylance) viene arrestato con l'accusa di essere una spia sovietica. Già condannato dalla stampa e dall'opinione pubblica ancora prima di arrivare in tribunale, la sua difesa viene affidata all'avvocato Donovan (Tom Hanks): i limiti che troverà nell'esercitare il suo lavoro saranno subito chiari, con l'intenzione comune non di scagionare l'imputato ma di mostrare a tutti che ha avuto un giusto processo.
Salvato dalla sedia elettrica e condannato a 30 anni di carcere, Abel diventerà così l'oggetto di una trattativa internazionale: il suo rilascio in cambio di quello di un militare dell'aerazione statunitense, catturato in territorio russo dopo essere precipitato con il proprio veivolo in missione. A condurre le trattative sarà lo stesso Donovan, inviato a Berlino Est nello stesso periodo in cui il celebre Muro viene innalzato per dividere la città. Dall'altra parte, per conto dell'URSS e della DDR, personaggi piuttosti ambigui faranno l'interesse dei propri Paesi.
Tratto da una storia vera, il ché supera ogni possibile fantasia molto spesso, il film è mirabilmente diretto da un maestro del genere storico com'è Spielberg. E l'intepretazione di Hanks è suggestiva, perfetta nel dare consistenza a un fedele servitore della Costituzione degli USA, anche se ciò lo porta a difendere un nemico della Nazione e a essere odiato da tutti. Un tipico eroe da celebrare postumo, insomma, se si somma il fatto che sarà poi chiamato a seguire altre trattative diplomatiche in futuro per conto di Washington.
Ma un genere simile, con una trama già scritta per definizione, lascia comune molti margini al regista, densi di significati: si può quindi leggere lo sforzo dell'avvocato statunitense nel far valere la legge come un elogio delle leggi liberali, che difendono i diritti e quantaltro, contro l'oppressione anche dentro le aule di tribunale del “cattivo e sporco” comunismo. Ed è interessante notare com'è accentuata la differenza di età tra i due detenuti oggetti dello scambio: l'anziana spia russa impassibile, che non dichiarerà mai di essere una spia, e il giovane soldato timoroso e in qualche modo “vigliacco”, perché non si suicida anziché diventare prigioniero.
Il cinema di Spielberg, così come la Storia, è senz'altro complesso e affascinante. Ancora di più è guardare un film ambientato nell'Europa divisa dai muri solidi e ideologici e tentare di fare un paragone con il presente: quelle idee politiche magari non esisteranno più, ma tanti altri muri stanno emergendo prepotentemente. Mentre ci sarebbe bisogno di più gente come Donovan, capace di far incontrare faccia a faccia persone completamente opposte a metà di un ponte, quello appunto di Glienicke tra la parte Ovest ed Est di Berlino: speranze che non hanno età ma invecchiano comunque se non trovano concretezza.
L'odissea di un impiegato statale e altre mille avventure in "Quo vado?"
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- Pubblicato Lunedì, 04 Gennaio 2016 10:43
- Scritto da Timothy Dissegna
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Girare un film sul posto di lavoro fisso, oggigiorno, potrebbe apparire come una bella impresa per un regista di fantascienza italiano. Ma perfino dalla cosa attualmente più ricercata, e molto spesso poco trovata, in Italia possono nascere le risate: ecco quindi che il comico Checco Zalone ha dedicato proprio a lui il suo ultimo film, “Quo vado?” diretto da Gennaro Nunziate, uscito nelle sale a Capodanno.
Esilarante e satirico, l'attore pugliese ha portato sul grande schermo la corsa senza freni di un impiegato statale per mantenere la propria busta paga. Tutto inizia con l'annuncio dell'eliminazione delle Province: all'improvviso, la stabilità che Checco ha da tutta la vita, lavorandovi all'interno, si incrina pericolosamente. E inizia così un valzer di altri impieghi nelle zone più disparate d'Italia che potrebbe essere l'incipit di un incubo.
Ma non per il protagonista, che invece sfrutta ogni trasferimento come una vacanza, adattandosi alla perfezione a ogni nuovo luogo in cui arriva. Quando però la furiosa Dottoressa Sironi (Sonia Bergamasco) decide di spedirlo in una stazione di ricerca scientifica italiana al Polo Nord, per fargli firmare le dimissioni, tutto sembra finito. Fino a quando non incontrerà Valeria (Eleonora Giovanardi), ricercatrice amante della natura destinata a fare breccia nel cuore di Checco.
Sarà quindi l'amore la soluzione del film? La storia, raccontata dallo stesso Zalone in un lungo flashback di odisseica memoria davanti a degli indigeni africani, sarà ancora lunga e vedrà porsi di fronte i due interrogativi più ardui nella vita del protagonista: rinunciare al posto fisso per seguire l'amore o rimanere legati sempre e comunque, a qualsiasi costo, alla “sacralità” di un lavoro retribuito dallo Stato? Dilemmi che nemmeno Shakespeare avrebbe avuto il coraggio di sottoporre al suo Amleto.
Ironia a parte, quest'opera di Zalone è un tripudio di risate, condite come suo solito da una buona fetta di luoghi comuni sull'italiano medio e da una non indifferente porzione di satira nei confronti della Prima Repubblica, l'artefice del benessere per migliaia di persone che hanno fatto la bella vita con un impiego pubblico. E a simbolo di questa c'è Lino Banfi, nei panni di un politico dei tempi che furono che fa da “grillo parlante” al protagonista, difendendo ogni volta il posto fisso.
L'irriverenza sfrenata dell'attore pugliese, che ha anche firmato la colonna sonora del film, ha trascinato per l'ennesima volta il pubblico al cinema, complice anche l'essere uscito in piene festività natalizie. E, a suo modo, “Quo vado?” è un film di denuncia: verso quei vizi che hanno fatto dell'Italia della Prima Repubblica uno Stato di sprechi, con pensioni letteralmente regalate a chi aveva lavorato per un tempo ridicolo, mentre oggi si mettono le toppe alla bene e meglio. Nessuna accusa esplicita arriva dal film, ma la canzone “La Prima Repubblica” è eloquente.
Il record d'incassi appare di nuovo come un traguardo superabile, ma bisogna guardare oltre in questo film: le risate dovrebbero far spazio a domande del tipo “ma questo Paese dove l'ho già visto? Ah, già, è l'Italia!”. Forse solo capendo che dietro a tanta ironia si nasconde l'amarezza di un presente da cambiare si potrà iniziare a fare qualcosa. Per non tornare a vedere il posto fisso come un evento straordinario da raccontare al cinema.
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