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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Una spystory al tempo della Guerra Fredda che parla il linguaggio di oggi

Una spystory al tempo della Guerra Fredda che parla il linguaggio di oggi

Il tema della giustizia è uno di quelli così complessi che se parla da secoli: da Beccaria ai giorni nostri, infatti, ognuno ha detto la propria su come si dovrebbe o meno difendere e punire gli imputati a un processo. Al cinema lo ha fatto anche Steven Spielberg, con il suo ultimo film “Il ponte delle spie”, che porta la discussione, per poi ampliarne gli orizzonti, in piena Guerra Fredda.

Negli Stati Uniti della fine anni '50 e inizio '60, Rudolf Abel (interpretato da Mark Rylance) viene arrestato con l'accusa di essere una spia sovietica. Già condannato dalla stampa e dall'opinione pubblica ancora prima di arrivare in tribunale, la sua difesa viene affidata all'avvocato Donovan (Tom Hanks): i limiti che troverà nell'esercitare il suo lavoro saranno subito chiari, con l'intenzione comune non di scagionare l'imputato ma di mostrare a tutti che ha avuto un giusto processo.

Salvato dalla sedia elettrica e condannato a 30 anni di carcere, Abel diventerà così l'oggetto di una trattativa internazionale: il suo rilascio in cambio di quello di un militare dell'aerazione statunitense, catturato in territorio russo dopo essere precipitato con il proprio veivolo in missione. A condurre le trattative sarà lo stesso Donovan, inviato a Berlino Est nello stesso periodo in cui il celebre Muro viene innalzato per dividere la città. Dall'altra parte, per conto dell'URSS e della DDR, personaggi piuttosti ambigui faranno l'interesse dei propri Paesi.

Tratto da una storia vera, il ché supera ogni possibile fantasia molto spesso, il film è mirabilmente diretto da un maestro del genere storico com'è Spielberg. E l'intepretazione di Hanks è suggestiva, perfetta nel dare consistenza a un fedele servitore della Costituzione degli USA, anche se ciò lo porta a difendere un nemico della Nazione e a essere odiato da tutti. Un tipico eroe da celebrare postumo, insomma, se si somma il fatto che sarà poi chiamato a seguire altre trattative diplomatiche in futuro per conto di Washington.

Ma un genere simile, con una trama già scritta per definizione, lascia comune molti margini al regista, densi di significati: si può quindi leggere lo sforzo dell'avvocato statunitense nel far valere la legge come un elogio delle leggi liberali, che difendono i diritti e quantaltro, contro l'oppressione anche dentro le aule di tribunale del “cattivo e sporco” comunismo. Ed è interessante notare com'è accentuata la differenza di età tra i due detenuti oggetti dello scambio: l'anziana spia russa impassibile, che non dichiarerà mai di essere una spia, e il giovane soldato timoroso e in qualche modo “vigliacco”, perché non si suicida anziché diventare prigioniero.

Il cinema di Spielberg, così come la Storia, è senz'altro complesso e affascinante. Ancora di più è guardare un film ambientato nell'Europa divisa dai muri solidi e ideologici e tentare di fare un paragone con il presente: quelle idee politiche magari non esisteranno più, ma tanti altri muri stanno emergendo prepotentemente. Mentre ci sarebbe bisogno di più gente come Donovan, capace di far incontrare faccia a faccia persone completamente opposte a metà di un ponte, quello appunto di Glienicke tra la parte Ovest ed Est di Berlino: speranze che non hanno età ma invecchiano comunque se non trovano concretezza.

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Capo redattore: Tiziana Melloni
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