Con i "Chicago boys" di Sarti si indaga di economia tout court
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- Pubblicato Lunedì, 02 Marzo 2015 18:59
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Trieste -.«Ad un miracolo economico corrispondono schiavitù e miseria per la popolazione? Sì!»
Con questa frase comincia Chicago boys, lo spettacolo scritto e diretto da Renato Sarti, che ne è anche protagonista assieme a Elena Novoselova, in scena, per il cartellone altripercorsi dello Stabile regionale, al Teatro Miela da martedì 3 a giovedì 5 marzo alle ore 21.
Si tratta di una specie di conferenza “strampalata, senza lieto fine” che si svolge in un rifugio antiatomico. Un’esaltazione surreale del capitalismo, del consumismo e della liberalizzazione più sfrenata, uno spettacolo che ha ottenuto un convinto successo sia da parte della critica, che degli spettatori.
Fra loro, un osservatore d’eccezione come Moni Ovadia, si è espresso con entusiasmo: «Renato Sarti - ha scritto – con il suo formidabile spettacolo è riuscito a raccontare con mezzi scarni ma poderosi l’intera epopea economica del nostro tempo, con il linguaggio delle emozioni, della denuncia e della passione civile. [...] Sarti vince la sfida di mettere in scena con urgenza e necessità l’immane tragedia economica che attraverso la tirannia del profitto di pochi mira all’asservimento degli uomini, alla espropriazione della loro dignità servendosi con cinismo di ogni mezzo, dalla guerra, alla catastrofe naturale, dalla menzogna mediatica al ricatto della sicurezza. Il protagonista è il capitalismo finanziarizzato e gangeristico, il cui scopo è uno sviluppo ipertrofico virtualizzato in favore del privilegio affermato come unico diritto legittimo. Il teatro epico e grottesco di Sarti, che ricorda quello politico di Erwin Piscator, ribadisce con forza che il teatro è in grado di confrontarsi con ogni aspetto della commedia umana, ieri come oggi, oggi come domani. Oltre al contenuto e alla denuncia sociale questo spettacolo è meraviglioso, ha una crescita drammaturgica e spettacolare che ti spiazza e che non ti aspetti: partendo infatti in una direzione molto forte ci si aspetterebbe che il tono rimanga quello per tutta la durata: invece no, cresce lasciandoti senza parole».
I Chicago boys sono stati un gruppo di economisti formatosi negli anni Settanta presso l’Università di Chicago, sotto l’egida del grande guru del liberismo Milton Friedman, cui fu tributato il Premio Nobel per l’economia nel 1976.
«Milton Friedman e i suoi seguaci esercitarono una profonda influenza sulle politiche economiche di molti Stati - spiega Renato Sarti – primi fra tutti gli Stati Uniti del presidente Ronald Reagan e l’Inghilterra del primo ministro Margaret Thatcher e poi dal Cile all’Argentina, dal Brasile alla Polonia, dalla Cina alla Russia. Le grandi multinazionali hanno avuto un ruolo di primissimo piano in questo processo che ha portato allo smantellamento dello stato sociale, visto e combattuto come un virus infettivo, come un arto in cancrena da amputare.
Ma una stampella può camminar da sola? No. L’imposizione di questo tipo di economia è sempre stata preceduta e accompagnata da golpe, da spietate dittature, da sanguinose repressioni di piazza, dai desaparecidos, dalla tortura. Che negli ultimi decenni le grandi multinazionali abbiano puntato l’attenzione pure su materie prime, come l’acqua, i cui titoli in borsa crescono mediamente del 30%, non è un dato meramente economico o finanziario: un rapporto delle Nazioni Unite sulla povertà mondiale rivela che ogni giorno muoiono 4.900 bambini per mancanza di acqua potabile. Chicago boys vuole contrapporre al motto liberista di “libera volpe in libero pollaio”, un proverbio greco. Recita così: “se vedi che non ti sazi, fermati!”»
Chicago Boysscritto da Renato Sarti con la collaborazione di Bebo Storti, diretto da Renato Sarti che ne è interprete assieme a Elena Novoselova ha le scene di Carlo Sala, ed i video realizzati in collaborazione con Fabio Bettonica e N.A.B.A. Lo spettacolo è una produzione Teatro della Cooperativa con il sostegno di Regione Lombardia- Progetto Next, in collaborazione con La Corte Ospitale.
Lo spettacolo va in scena al Teatro Miela – nell’ambito della sinergia con il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia - da martedì 3 a giovedì 5 marzo alle ore 21.
I biglietti ancora disponibili si possono acquistare presso tutti i punti vendita dello Stabile regionale, ed i consueti circuiti e accedendo attraverso il sito www.ilrossetti.itall’acquisto on line. La biglietteria del Teatro Miela è a disposizione del pubblico a partire da un’ora prima dello spettacolo.
Ulteriori informazioni al tel 040-3593511.
Successo meritato per "Father and Son" al Teatro Nuovo Giovanni da Udine
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- Pubblicato Venerdì, 27 Febbraio 2015 21:02
- Scritto da Gabriele Franco
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Udine - Consanguinei, eppure in gestazione di generazioni diverse; amici fraterni, eppure spesso nemici irriducibili, magari solo per partito preso, testardaggine aprioristica; vicini nell’affetto, eppure così lontani nella vita.
È il rapporto padre-figlio, la contrapposizione nell’unione, il dissidio che riguarda ogni uomo, unico di per sé in quanto vivibile sotto la bandiera di entrambe le fazioni, ahinoi in periodi distanti ed inconciliabili dell’esistenza, cavallo di Troia inutilizzabile, o il più delle volte sprecato.
Come spiegare tutto questo? Con che vena tentare di tratteggiare una fenomenologia, con l’universalità umana che si impone a requisito di fondo?
Ci hanno provato (e ci sono riusciti) Michele Serra, Giorgio Gallione e Claudio Bisio, trittico d’eccellenza: i testi del primo, la regia del secondo e l’interpretazione superlativa del terzo sono la schiuma marina per la Venere “Father and son”, presentatasi ad un pubblico udinese in visibilio il 25 e 26 febbraio al Teatro Nuovo Giovanni da Udine.
Spettacolo da standing ovation quello nato dalla collaborazione vincente tra le stagioni del Teatro Nuovo Giovanni da Udine e di Teatro Contatto 33, red carpet di emozioni ed ironia.
È Claudio Bisio, omissis di presentazione dovuta, il protagonista della vicenda, eroe al contempo antieroe, uomo e padre a doversi confrontare con sé stesso e con un figlio assente, solo fisicamente, spesso succube e inerme di fronte ad una lontananza devota alla diversità inconciliabile.
La discussione con sé stesso verte su quella interpellanza che ogni uomo si pone nei momenti che anticipano e seguono il parto: chiedersi quale tipo di padre si vorrà essere. Non c’è risposta univoca né tanto meno corretta: la chimera del padre amico cozza con il retaggio autoritativo del pater familias.
Ciò che ne risulta è un ibrido interessante, ma pericoloso. Pericoloso perché indebolisce, impedisce di trovare la soluzione al caso concreto, acceca la ragione dell’univocità di approccio, di una formula vincete.
E allora come reagire a questa generazione di “sdraiati”, quasi impassibili alla vita, svogliati se non si tratta di nuovi arti tecnologici, ragazzi multitasking esclusivamente al di fuori della realtà.
La sbornia sentimentale è all’ordine del giorno per i papà di oggi, repentini sbalzi di umore misti a disorientamento, altalena tra deliri di onnipotenza e complessi di inferiorità, il tutto senza la consapevolezza, o la speranza, che basterà aspettare la mattina del giorno dopo: un caffè e delle aspirine qui non bastano.
Le musiche interpretate dal vivo da Laura Masotto (violino) e Marco Bianchi (chitarra) accompagnano lo spettatore tra acuti di drammaticità e strapiombi di ilarità: un registro linguistico davvero insuperabile, eredità dei testi di Michele Serra, si lega e si adatta alla quotidianità di un padre alla ricerca di un quid indefinito, in una stanza mutevole, teatrino spiritoso per giochi d’ombra semiseri.
Un percorso, quello del padre, che non ha quindi fine, quasi una scalata al monte della vita della prole, impossibile da percorrere da solo per entrambi: l’unico modo per sopravvivere, e far vivere, è indicarne la via per vedersi sorpassare e poter finalmente invecchiare.
Accolgo infine come lascito di questo spettacolo, uscendo per un attimo dai canoni di oggettività propri del giornalismo, l’occasione irripetibile di vivere la rappresentazione nelle sole vesti di figlio, riuscendo nondimeno a sentirmi partecipe della figura paterna: la speranza di poter, forse e finalmente, riuscire a usare correttamente questo cavallo di Troia.
L’invenzione della solitudine di Paul Auster con Giuseppe Battiston al Rossetti
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- Pubblicato Venerdì, 27 Febbraio 2015 09:37
- Scritto da redazione ilfriuliveneziagiulia
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Trieste - Squadra di creatori di prima grandezza per L’invenzione della solitudine di Paul Auster: ne è protagonista Giuseppe Battiston, diretto da Giorgio Gallione.
La star del jazz Stefano Bollani ne ha composto le musiche. Il monologo è ospite del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia per altripercorsi, il 28 febbraio e l’1 marzo alla Sala Assicurazioni Generali”.
«Gli oggetti di un morto sono spettri»: ne L’invenzione della solitudine la scenografia – un disordine di scarpe, vestiti, cravatte appartenute a un uomo da poco deceduto – traduce perfettamente questa battuta, e assieme riflette il caos che travaglia l’animo e le emozioni del figlio di costui, chiamato a “mettere ordine” e a fare i conti con l’improvvisa assenza di un padre assente, in realtà, da sempre…
L’invenzione della solitudine di Paul Auster con Giuseppe Battiston va in scena per la regia di Giorgio Gallione. Le scene e i costumi sono di Guido Fiorato e le musiche di Stefano Bollani. Firma le luci Aldo Mantovani. È prodotto dal Teatro dell’Archivolto con lo Stabile di Genova.
L’invenzione della solitudine è in cartellone al Politeama Rossetti solo sabato 28 febbraio alle ore 20.30 e domenica 1 marzo in pomeridiana alle ore 16. I biglietti si possono acquistare presso tutti i punti vendita dello Stabile regionale, ed i consueti circuiti e accedendo attraverso il sito www.ilrossetti.it all’acquisto on line. Ulteriori informazioni al tel 040-3593511.
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