Successo meritato per "Father and Son" al Teatro Nuovo Giovanni da Udine
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- Categoria: Teatro
- Pubblicato Venerdì, 27 Febbraio 2015 21:02
- Scritto da Gabriele Franco
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Udine - Consanguinei, eppure in gestazione di generazioni diverse; amici fraterni, eppure spesso nemici irriducibili, magari solo per partito preso, testardaggine aprioristica; vicini nell’affetto, eppure così lontani nella vita.
È il rapporto padre-figlio, la contrapposizione nell’unione, il dissidio che riguarda ogni uomo, unico di per sé in quanto vivibile sotto la bandiera di entrambe le fazioni, ahinoi in periodi distanti ed inconciliabili dell’esistenza, cavallo di Troia inutilizzabile, o il più delle volte sprecato.
Come spiegare tutto questo? Con che vena tentare di tratteggiare una fenomenologia, con l’universalità umana che si impone a requisito di fondo?
Ci hanno provato (e ci sono riusciti) Michele Serra, Giorgio Gallione e Claudio Bisio, trittico d’eccellenza: i testi del primo, la regia del secondo e l’interpretazione superlativa del terzo sono la schiuma marina per la Venere “Father and son”, presentatasi ad un pubblico udinese in visibilio il 25 e 26 febbraio al Teatro Nuovo Giovanni da Udine.
Spettacolo da standing ovation quello nato dalla collaborazione vincente tra le stagioni del Teatro Nuovo Giovanni da Udine e di Teatro Contatto 33, red carpet di emozioni ed ironia.
È Claudio Bisio, omissis di presentazione dovuta, il protagonista della vicenda, eroe al contempo antieroe, uomo e padre a doversi confrontare con sé stesso e con un figlio assente, solo fisicamente, spesso succube e inerme di fronte ad una lontananza devota alla diversità inconciliabile.
La discussione con sé stesso verte su quella interpellanza che ogni uomo si pone nei momenti che anticipano e seguono il parto: chiedersi quale tipo di padre si vorrà essere. Non c’è risposta univoca né tanto meno corretta: la chimera del padre amico cozza con il retaggio autoritativo del pater familias.
Ciò che ne risulta è un ibrido interessante, ma pericoloso. Pericoloso perché indebolisce, impedisce di trovare la soluzione al caso concreto, acceca la ragione dell’univocità di approccio, di una formula vincete.
E allora come reagire a questa generazione di “sdraiati”, quasi impassibili alla vita, svogliati se non si tratta di nuovi arti tecnologici, ragazzi multitasking esclusivamente al di fuori della realtà.
La sbornia sentimentale è all’ordine del giorno per i papà di oggi, repentini sbalzi di umore misti a disorientamento, altalena tra deliri di onnipotenza e complessi di inferiorità, il tutto senza la consapevolezza, o la speranza, che basterà aspettare la mattina del giorno dopo: un caffè e delle aspirine qui non bastano.
Le musiche interpretate dal vivo da Laura Masotto (violino) e Marco Bianchi (chitarra) accompagnano lo spettatore tra acuti di drammaticità e strapiombi di ilarità: un registro linguistico davvero insuperabile, eredità dei testi di Michele Serra, si lega e si adatta alla quotidianità di un padre alla ricerca di un quid indefinito, in una stanza mutevole, teatrino spiritoso per giochi d’ombra semiseri.
Un percorso, quello del padre, che non ha quindi fine, quasi una scalata al monte della vita della prole, impossibile da percorrere da solo per entrambi: l’unico modo per sopravvivere, e far vivere, è indicarne la via per vedersi sorpassare e poter finalmente invecchiare.
Accolgo infine come lascito di questo spettacolo, uscendo per un attimo dai canoni di oggettività propri del giornalismo, l’occasione irripetibile di vivere la rappresentazione nelle sole vesti di figlio, riuscendo nondimeno a sentirmi partecipe della figura paterna: la speranza di poter, forse e finalmente, riuscire a usare correttamente questo cavallo di Troia.