FEFF17: con "Kabukicho Love Hotel" si va oltre il porno per scoprire il bisogno d'amore
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- Pubblicato Lunedì, 27 Aprile 2015 13:43
- Scritto da Timothy Dissegna
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Udine - La domenica pomeriggio targata Far East Film Festival si caratterizza di luci...rosse. È andato in scena il 26 aprile alle 15.15, al Teatro Nuovo Giovanni da Udine, il film Kabukicho Love Hotel (2014) di Hiroki Ryuichi, il più atteso nel weekend e alla presenza del regista. Un dramma romantico ambientato nel quartiere a luci rosse, appunto, di Tokyo, in un squallido hotel frequentato da prostitute e mafiosi.
Ryuichi ha fatto la sua apparizione sul palco, accompagnato da una raffica di applausi che è raddoppiata dopo il suo "Buongiorno" in italiano. Caratterizzato da un'ironia contagiosa, il regista nipponico ha raccontato il clima che si respirava durante le riprese, in un parte della capitale tra centro cittadino e periferia umana. Per concludere la presentazione, ecco Sabrina Baracetti che anticipa ogni dubbio: "Ci sono tante scene di sesso, ma è amore".
Il Kabukicho hotel è lo sfondo su cui si intrecciano le vite dei protagonisti: Toru (Shota Sometani) è il direttore dell'albergo, un ragazzo che sogna di lavorare in un hotel a 5 stelle; la sua fidanzata Saya (Atsuko Maeda), che spera di diventare famosa grazie alla musica; Hena (Lee Eun-woo), giovane coreana che sta mettendo da parte i soldi per partire facendo la escort a chiamata; Yasuo (Yutaka Matsushige), dipende dell'albergo con uno scheletro (anzi, un uomo intero) nell'armadio e tanta altra varietà umana.
Le giornate trascorrono uguali e monotone nel quartiere, fino a quando Toru non scopre che, nel suo albergo, sua sorella Miyu (Asuka Hinoi) è la protagonista di un film porno che stanno girando adesso. La notizia lo avvilisce, ma nemmeno il suo lavoro è molto più rispettabile: si trova ogni giorno a fare i conti con papponi, mafiosi, borghesi che vogliono divertirsi una sera con donne "raccolte" per strada o chiamate ad apposite agenzie.
Ciò che ha detto la Baracetti si rivela subito: fin dall'inizio, infatti, il sesso è una delle tematiche più ricorrenti in tutto il film, fino a raggiungere livelli da film porno vero e proprio (alcune scene sono super esplicite) ma con una differenza: alla base c'è veramente l'amore. Quello di Hena per i suoi clienti, quello di Miyu per i personaggi che interpreta: la distinzione tra sentimento e mercificazione del corpo sta nella divisione tra "dentro" e "fuori" l'hotel Kabukicho.
Nonostante i gusti per l'estremo (sessuale) fin troppo spinti e che possono lasciare un po' perplessi, il regista è riuscito a creare una pellicola che sbatte in faccia con forza allo spettatore il degrado umano e di valori di una società giapponese borderline. Un viaggio potente, nel profondo dell'animo destinato a concludersi con un finale a sorpresa.
“Mia madre” di Nanni Moretti. Lacrime facili per la borghesia medio alta di età medio alta
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- Pubblicato Domenica, 26 Aprile 2015 15:38
- Scritto da Roberto Calogiuri
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Trieste – Anche questa volta Moretti ha colto nel segno. Con il suo solito intuito ha annusato l’aria e ha captato la verità di sempre: la mamma è sempre la mamma. La mamma è un caposaldo di ogni società, epoca o religione. A rappresentare la mamma non si può sbagliare. Tutti ce l’hanno e tutti si possono facilmente identificare.
Ma la morte della mamma è qualcosa di radicale, primordiale e assoluto: è un fatto che coinvolge e sconvolge nel profondo. Ma è un fatto privato. E Moretti porta sulla scena la morte della madre (la sua) pretendendo di farne un modello universale.
O, forse, non universale ma più modestamente rivolto al suo pubblico personale, quello affezionato, che lo apprezza e sa a cosa va incontro.
E infatti quello che si vede in questo film è la morte secondo Nanni Moretti: quindi una morte scolastica come la sua recitazione, linda come la sua coscienza, educata e senza drammi da quel bravo ragazzo che è, senza sensi di colpa, senza dubbi. Una morte perbene.
La morte perbene di una madre perfetta. E quindi con tutti i suoi corollari perbene: l’armoniosa intesa tra fratelli (Moretti e Buy), l’accordo idilliaco tra coniugi, il rapporto filiale con la giusta dose di dolce contrasto, la soavità dell’anziana insegnante (Giulia Lazzarini) che dà l’ultima lezione di latino alla nipotina con la maschera a ossigeno, gli ex alunni che ricordano una donna meravigliosa che sa scivolare nella morte in maniera indolore, i dialoghi lisci e puliti, il dolore educato e compassato .
Chi cerca il dramma non lo trova. Non ci sono sensi di colpa laceranti, rimpianti senza fine e rimorsi di coscienza. Questa è una fiaba mielosa e irreale, dove le corsie di ospedale sono sgombre e spaziose, le infermiere sono deliziose hostess, i medici sono caldi e disponibili.
Magari fosse questa la morte.
A parte la narrazione spesso confusa e slegata e i simbolismi di cui non sempre si intuisce il senso - giustificati (in parte) dalla presenza di qualche sogno montato con faciloneria psicologica - c’è qualcosa che può far riflettere: la scomposizione della famiglia, il disfacimento della memoria, qualche notazione metacinematografica, la difficoltà dei rapporti personali, la scuola, l'eredità culturale, i ragazzi che crescono eccetera.
Per questo motivo le platee sono divise tra “morettiani” e neutrali, chi piange fiumi di lacrime e chi rimane indifferente o, tuttalpiù ride per qualche battuta azzeccata. Tra chi inneggia al capolavoro e chi pensa di aver assistito a un esercizio di stile.
Ognuno ha i propri nodi emotivi. Se coincidono con le nevrosi di Nanni Moretti si piange e si ride. Altrimenti no. O addirittura ci si arrabbia un po’ per la retorica della buona famiglia della buona borghesia conformista, per il dramma dell’esistenza ridotto a didascalia in cui tutto scorre come in una telenovela.
La recitazione è in tono con l’atmosfera convenzionale e artificiosa del film. A parte, naturalmente, John Turturro che svetta per autorità e disinvoltura.
[Roberto Calogiuri]
FEFF17: "Ecotheraphy Getaway Holiday" diverte e indaga l'animo umano
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- Pubblicato Sabato, 25 Aprile 2015 21:01
- Scritto da Redazione ilfriuliveneziagiulia.it
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Udine - Sette donne over 40, in cerca di tranquillità, partono per una vacanza di relax verso la natura incontaminata delle montagne giapponesi. Andrebbe tutto bene se non fosse per la loro guida, un dilettante alla prima esperienza, che ben presto scompare senza lasciare traccia di sé.
Parte da questo Ecotheraphy Getaway Holiday (2014) di Okita Shuichi, commedia proiettata sabato 25 aprile alle 9.15 al Far East Film Festival, presso il Teatro Nuovo Giovanni da Udine.
Il film racconta le avventure di un curioso gruppo di signore, perse nei boschi. Una comitiva al cui interno nascono subito rancori, diffidenze e rivalità, frammentandosi e riunendosi continuamente per sopravvivere in quel luogo lontano dal mondo e, al tempo stesso, così calmo e paradisiaco.
Le sette donne sono diverse tra di loro, nell'età e nel comportamento: Yumin (Chigusa Yasuzawa) è un'estetista che vuole fuggire alla propria età, mascherando la sua vita con bugie per non sentirsi esclusa dagli altri; Kuwaman (Mie Kirihara) e Kumi (Kumiko Kawada) non la smettono di parlare di parlare di problemi di salute, fino ad arrivare ad un umorismo acido; Sekki (Yuriko Ogino) è rimasta da poco vedova, ma nonostante dica di aver superato il lutto qualcosa è ancora rimasto infranto dentro di lei; Keiko (Keiko Tokunou) e Sumisu (Michiko Watanabe) hanno in comune l'amore per la fotografia e, infine, Junjun (Haruko Negishi) è succube di una quotidianità sedentaria e monotona, lontana dalle emozioni.
Dopo aver aspettato il ritorno della guida che era andata in avanscoperta, il gruppo decide di andarlo a cercare, ma ogni loro tentativo sfuma. Dopo aver camminato per ore, infatti, e sul punto di una crisi di nervi collettiva, le signore scelgono di accamparsi in attesa che qualcuno arrivi a salvarle.
E durante la notte ritornano con le emozioni a quando erano ragazze, come se quegli alberi che le circondano fossero le pareti della loro cameretta: ridono, si confidano segreti davanti al fuoco e dormono insieme, sotto un tappeto di foglie gialle e stelle.
Per lunghi tratti monotono e caratterizzato da un senso dell'humour molto sottile (in tipico stile nipponico), il film di Shuichi si salva per la sua profonda capacità di scavare in punta di piedi l'animo umano, toccando i sentimenti delle sette donne. Ognuna ha un talento e cerca qualcosa, anche se non sa bene cosa, e l'unico modo per raggiungerlo è essendo libera. Da ogni vincolo, perfino da sé stesse.
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