“Youth”: speculazione della leggerezza, forse a tutti i costi
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- Pubblicato Mercoledì, 27 Maggio 2015 19:19
- Scritto da Daniele Benvenuti
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Trieste - “Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia!” Che il buon Sorrentino non si sia ispirato anche a Lorenzo il Magnifico per questo film, oltre ai vari maestri cui ogni suo film prende ispirazione, ci resta il dubbio
Due amici di vecchia data, Fred e Mick, si ritrovano a passare una settimana di relax in una spa in montagna. Qui i due faranno riaffiorare storie passate, discernendo sull’amore, sulla vita, sul tempo che passa e stratifica i ricordi. Fred, ex compositore famoso in pensione che ha dedicato la sua vita alla musica dimenticando la sua famiglia e gli affetti, si dedica all’ozio e a reprimere ogni forma di emozione con una mente molto acuta. Il suo caro amico ed alter ego Mick, famoso regista e sceneggiatore, è alle prese con le ultime battute del suo ultimo film, che vorrebbe essere anche il suo testamento morale ed intellettuale.
Un film straripante di immagini, di accenni, di fili di Arianna di cui si ha la sensazione di tenerli e poi si smarriscono in una dimensione indefinita, troppo attento a piacersi nella sua ricerca ansiosa e smaniosa di un’estetica personale. Un cast di attori stellari per un film che ricerca a tutti i costi la leggerezza, il lirismo poetico attraverso fotogrammi e scenografie studiate, vera arte del regista napoletano, assieme alla sceneggiatura, per stupire lo spettatore.
C’è un elemento che ho notato in tutti i film di Sorrentino – da Le conseguenze dell’amore fino a La grande bellezza – e cioè il confronto tra il vecchio ed il giovane, non solo a livello estetico e formale, sempre di grande impatto visivo, ma anche del sentire personale. In Youth, egli dà voce alle emozioni dei protagonisti attraverso gesti, primi piani, sguardi intensi e maschere. La giovinezza sta nel desiderio di ri-vivere emozioni, desideri, nel corpo sinuoso e perfetto di una ragazza, nella musica, che accompagna a braccetto il film fino alla fine.
Ora non resta che a voi interpretare, immergervi ed entrare nel film con i vostri abiti mentali e la vostra sensibilità.
Ancora in programmazione nelle sale di Trieste
Daniele Benvenuti
“Racconto dei racconti”: magica allegoria dei desideri della contemporaneità
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- Pubblicato Lunedì, 25 Maggio 2015 22:38
- Scritto da Daniele Benvenuti
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Trieste - Matteo Garrone stupisce tutti, dopo il successo di Gomorra, con un film completamente atipico per il cinema italiano, cimentandosi in un genere appannaggio del cinema hollywoodiano, il Fantasy. E lo fa, attingendo dalla propria cultura, ovvero dai racconti fiabeschi del Basile, narratore fantastico napoletano del XVII secolo. Il film prende libero spunto da tre delle cinquanta fiabe de Lo cunto de li cunti (Il Racconto dei Racconti), che dà il titolo al film.
C’erano una volta… tre regni senza tempo abitati da re e regine, principesse e principi, giullari e saltimbanchi, animali mitologici e fantastici, personaggi improbabili e paesaggi incantati ma reali. Tre storie parallele che raccontano di una regina intenzionata a tutto pur di avere un figlio, una principessa in cerca di marito, un re libertino e ossessionato dal piacere e dal possesso.
Personaggi molto diversi ma che hanno in comune il desiderio di ottenere un qualcosa, chi un figlio, chi la giovinezza perpetua, chi l’amore materno, chi il piacere, a tutti i costi o per diritto reale. Ma, “ogni azione prevede una reazione. Solo così si mantiene l’equilibrio del mondo”, sono le parole scoccate dal primo, fantomatico e oscuro, personaggio con cui si apre il film.
Magica allegoria dei desideri della contemporaneità, le storie si susseguono in maniera non lineare ma fluida, offrendo allo spettatore un caleidoscopio fantastico di eventi attesi ma egualmente stupefacenti in cui ognuno vi può riconoscere delle corrispondenze. Impeccabile e di grande gusto estetico la fotografia, la scelta del montaggio “sfumato” e spesso invisibile, l’architettura barocca delle scenografie, i costumi sgargianti e ben curati e le ambientazioni, di una bellezza mozzafiato (tutte girate in e Italia, ndr), fanno di questo film un quadro antico, bellissimo e deforme, in cui la cornice siamo noi, con le nostre pulsioni, i nostri desideri, la perpetua ricerca, le nostre debolezze e le nostre vette – come quelle su cui si inerpicano castelli inespugnabili – alle quali spesso tendiamo, attraverso i sogni o d’improbabili battaglie in vita.
Nota sulle ambientazioni: a volte sembrano finte, costruite ad hoc per le scene, per quanto sono d’effetto, in realtà sono tutti luoghi veri e italiani. Come il castello di Donnafugata, con annesso il labirinto, a due passi da Ragusa; non lontano, le stupefacenti gole di Alcantara, che sembrano fatte di cartapesta. Il castello si Roccascalegna, inerpicato sulla cima del monte, a Chieti. E poi il verdissimo bosco del Sasseto, nel Lazio. Molti avranno riconosciuto infine le mura ottagonali del famoso Castel del Monte in Puglia. E molti altri posti naturali di incantevole bellezza tutti da scoprire, per una suggestiva cartolina d’Italia.
Daniele Benvenuti
“Forza Maggiore”: emblema della fragilità umana
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- Pubblicato Lunedì, 25 Maggio 2015 09:22
- Scritto da Daniele Benvenuti
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Trieste – “Forza Maggiore”, del regista svedese Ruben Ostlund, un film molto originale che ha ricevuto il premio della Giuria al festival di Cannes nella sezione Un Certaine Regard e candidato ai Golden Globe e agli European Film Awards.
La storia nasce da un’idea molto semplice quanto geniale. Una famiglia nordica, apparentemente felice ed unita, decide di trascorrere una settimana di relax in un resort di montagna in Francia. Il secondo giorno, lui, lei e i loro due bambini stanno pranzando su una terrazza a vista su un pendio.
Ad un tratto, da lontano, una valanga si dirige, sempre più grossa e minacciosa, verso di loro e gli altri turisti presenti fino quasi a raggiungerli. Lui, preso dal panico, scappa all’interno.
Lei, diversamente, rimane lì, proteggendo i bimbi col suo corpo. La valanga, fortunatamente, si arresta prima e la normalità riprende. Ma l’incidente scampato è solo l’inizio di un dramma famigliare in cui entrambi scoprono di non conoscersi realmente e vengono letteralmente travolti da emozioni che non riescono a gestire.
Lui nega l’evidenza del suo gesto, evidenziando tutto il suo lato “nascosto” in cui si celano il suo carattere infantile (mostrato dal regista in diverse riprese), la sua fragilità, la sua incapacità ad assolvere il ruolo di padre, di marito, e di uomo che gli compete per “natura”.
Un film che mette a nudo tutta la fragilità della coppia, in particolare del maschio, in maniera cinica e inconfutabile. Il regista dipinge il quadro usando la cornice, fredda e trasparente, della neve, della natura, come specchio – impietoso – di quella umana nel quale si intravede, chiaramente, l’involuzione del genere maschile.
Ne esce un dilemma umano intricato e dalla risposta non scontata. Il regista mette in bocca di una seconda coppia lo stesso dilemma, in maniera retorica ed ipotetica, certo, ma la domanda è ovviamente rivolta anche a noi. Come ci saremmo comportati, se fosse accaduto a noi? Bella domanda.
Ottimo esempio di produzione low cost dal grande impatto emotivo e di una certa qualità filmica, che strizza l’occhio al maestro Haneke per il clima di tensione psicologica e di sperimentazione sociologica ricercati (e a Von Trier per la successione delle sequenze secondo lo schema dei capitoli, qui rappresentati dai giorni). Da vedere.
Daniele Benvenuti
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