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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Si conclude il FEFF17 con il filippino "Where I Am King": una commedia romantica sul valore degli affetti

Si conclude il FEFF con il filippino

Udine - Ultimo giorno di Far East Film Festival ma le emozioni non pensano assolutamente di calare: finisce così, in un tripudio di applausi, l'anteprima europea della commedia "Where I Am King" del filippino Carlos Siguion-Reyna, una "fiaba romantica" (come l'ha definita Sabrina Baracetti durante la presentazione, insieme al regista) proiettata al Teatro Nuovo Giovanni da Udine sabato 2 maggio, alle 11.15.

Ricardo (interpretato Robert Arevalo) è un ricco magnate di Manila, in avanti con l'età e sull'orlo della banca rotta. Da un giorno all'altro si ritrova senza più niente, se non la palazzina in cui è cresciuto a Tondo, un quartiere di baracche e povertà dove ha trascorso l'infanzia, e per tornare alle proprie origini decide di trasferirsi laggiù, nel suo "regno". Tra lo stupore generale dei suoi familiari, nati e cresciuti nel lusso, Ricardo tenta di portare con sé i nipoti Ricky (Rafa Siguion-Reyna) e Anna (Cris Villonco), che a loro volta vogliono fuggire da una realtà in cui si sentono a disagio.

Questi si scontrano ben presto con la vita durissima di Tondo: miseria, delinquenza, degrado umano e architettonico sono la costante aggirandosi per le vie, tra bambini che chiedono l'elemosina e bande di strada impegnate in lotte tra di loro. I giovani, dapprima perplessi e ansiosi di tornare a casa, decidono di rimanere per aiutare il nonno a conquistare una vecchia fiamma, che abita nello stesso condominio: non sanno ancora che sarà solo un pretesto per insegnare loro a vivere, con straordinari cambi di scena che spiazzano lo spettatore e divertono. 

La famigliola si integra, così, molto bene nel quartiere: Anna e Ricky si fanno nuovi amici, inseguono i loro sogni e trovano anche l'amore, ma lo status quo delle cose è destinato a ribaltarsi di nuovo. I figli di Ricardo, infatti, corrompono il fidato custode della palazzina, Boyong, per far tornare a casa i due ragazzi: sarà solo la miccia che farà scoppiare una catena di eventi drammatici e terribili, fino a quando l'inferno non scenderà veramente su Tondo. 

Il finale che esce da questa pellicola è tutt'altro che la solita zuppa riscaldata, tipica delle commedie del genere occidentali: gli insegnamenti del nonno, ma soprattutto quello dei nipoti (a loro insaputa) e del quartiere stesso cambieranno la vita del trio, non cedendo però a facili "e vissero felici e contenti", che non appartengono alle baraccopoli reali. Rimane invece il racconto estremamente realistico del degrado di questo "regno", dimenticato dai pochi che sono partiti da qui e hanno fatto fortuna.

Nell'opera di Carlos Siguion-Reyna, la prima ad essere presentata in Italia, ci sono temi importanti ed esistenziali: il rapporto genitori-figli, le etichette che la società (e noi stessi) ci affibia, l'impegno verso gli altri e le proprie radici. E tutti insieme presentano il conto ai protagonisti, per aver dimenticato questa fetta di mondo, accecati dalle luci del benessere. Ma alla fine anche questa "favola" avrà la sua felice conclusione. Forse.

Il FEFF termina così anche quest'anno, continuando a regalare nuove emozioni e incredibili immagini dell'estremo Oriente. Questa 17^ edizione rimarrà sicuramente storica per la partecipazione di star come Joe Hisaishi e Jackie Chan, ma soprattutto per la ricchezza di umanità presente nelle 71 pellicole proiettate: un vero regno ricco di futuro, come quello di Ricardo.

FEFF17: il classico del '64 "Strage Sister" unisce profondi sentimenti e propaganda comunista

FEFF17: il classico del '64

Udine - Non vanno in scena solo grandi anteprime al Far East Film Festival, ma anche le più importanti pietre miliari del cinema asiatico, restaurate e riproposte al pubblico dopo parecchi anni. Come il film Strage Sister, girato dal regista cinese Xie Jin nel 1964 e proiettato nel pomeriggio di giovedì 30 aprile, alle 14, al Teatro Nuovo Giovanni da Udine: un dramma che ripercorre 15 anni della storia della Cina (dal 1935 al 1950) e denso, anzi densissimo, di retorica comunista.

La pellicola inizia nel '35, in un remoto villaggio della provincia cinese. Chunhua Zhu (Fang Xie) è una giovane che fugge da un matrimonio impostole, prassi diffusa fino a pochi decenni fa nel Paese dell'Estremo Oriente e che riduceva le donne a schiave, e si rifugia per caso in una compagnia teatrale Yue itinerante, chiedendo di poterne far parte e partire con lei. Il saggio maestro Xing Shi Fu (Qi Feng) decide così di accoglierla, nonostante la diffidenza del capo A'Xin (Nan Deng), poiché vede in lei una possibile attrice.

La nuova arrivata fa ben presto amicizia con Yuehong Xing (Yindi Cao), la figlia del maestro e anche lei bravissima sul palcoscenico. Quando poi Chunhua fa il suo debutto, il pubblico è entusiasta per la sua voce meravigliosa, tanto che un signorotto locale la nota e invita tutta la compagnia a esibirsi per lui, una sera nella propria residenza. L'atmosfera tetra e l'atteggiamento del potente, molto simile a un don Rodrido asiatico, celano però un secondo fine: “usufruire” di Yuehong non solo per ascoltarne il canto, ma anche nella camera da letto, e il gruppo se ne va, sdegnato (tranne A'Xin, che vorrebbe ingrazziarsi il signore).

Questo rifiuto porta guai: una sera arriva la polizia e interrompe lo spettacolo, per arrestare la ragazza. Ne nasce un tafferuglio, nel quale Chunhua, per difendere l'amica, colpisce una guardia e la punizione inflittale viene addirittura definita “lieve”: esposta per tre giorni consecutivi alla pubblica gogna, in piedi e immobilizzata a una colonna. Solo una poveretta, anche lei vittima di un matrimonio combinato, la aiuta portandole dell'acqua e, quando si presenta alla giovane, questa rimane senza parole: anche lei si chiama Chunhua!

Gli anni passano e il maestro Xing è sempre più vecchio e malato. Dopo aver diviso i suoi pochi averi tra Yuehong e l'ultima arrivata, ormai diventata come una figlia adottiva, l'anziano muore e adesso ogni decisione sulla compagnia è affidata unicamente a A'Xin. A questo non interessa altro che il profitto e, dopo aver allontanato dei collaboratori di lunga data, porta le due amiche a Shangai, per farle esibire in un teatro vero, gestito dall'altrettanto meschino direttore Tang (Wei Li).

Nella città la coppia di attrice diventa famosa e apprezzata da tutti, tanto che dopo tre anni ripaga ogni debito con A'Xin, con le quali la teneva legata a sé come pretesto per guadagnare. Quì loro incontrano persone nuove, come la giornalista di sinistra Jiang Bo (Ai-sheng Gao), ma alcuni premono per dividerle: tra questi c'è lo stesso Tang, che sotto la sua proposta di matrimonio a Yuehong nasconde doppi scopi da usare contro Chunhua, scomoda al potere per il suo comportamento incorruttibile.

Sullo sfondo (marginale per quasi tutto il film, al dire il vero) delle gravi vicende che sconvolsero la Cina, dalla guerra sino-nipponica fino alla rivoluzione comunista di Mao, la vita di queste due sorelle-amiche viene tessuta e disfatta dal telaio di un destino cinico e perverso. A ordire tutto ciò non è però il capriccio di un essere divino, bensì la cattiveria dei funzionari del Partito Nazionalista Cinese, che rimase al potere fino all'instaurazione della Repubblica Popolare: un muro che separa con rancore e acidia due anime unite, come quelle delle protagoniste.

La storia arriva a strappare le lacrime anche allo spettatore più impassibile, fino a quando non entra prepotentemente nella storia l'avanzata comunista che, nel 1950, arrivò anche a Shangai. Perchè i personaggi creati da Xie Jin sono veri universi, raccontati con grande efficacia nella loro “io” più interiore, ma arriva un momento in cui il mondo (il teatro, chi controlla Yuehong, ecc...) può essere cambiato soltanto grazie al comunismo. E anche una legata alla ragione e poco incline al cambiamento come Chunhua, alla fine, si “converte” alla Rivoluzione Culturale.

Comunque sia, "Stage Sister" può essere considerato benissimo qualcosa di più di un semplice film propagandistico. La narrazione ricca di simbologia ed esempi concreti delle condizioni di vita dei più umili nella Cina pre-rivoluzionaria colpisce il pubblico, portandolo ad immedesimarsi con il destino tormentato delle sfortunate protagoniste. Un film veramente storico, anche se il suo richiamo alle ideologie, oggi, lascia il tempo che trova.

Due film cult nei multisala Kinemax

Due film cult nei multisala Kinemax

Gorizia/Monfalcone – Domani martedì 28 aprile, alle 19, nei multisala Kinemax di Gorizia e Monfalcone arrivano due titoli “culto” per gli amanti dell’opera: i capolavori del verismo “Cavalleria Rusticana” e “Pagliacci” dal Met di New York. E una figura “mitologica” del rock-post punk degli anni Novanta ritorna a vivere nel magnifico documentario di Brett Morgen “Cobain. Montage of Heck”: martedì 28 e mercoledì 29 aprile al Kinemax di Monfalcone (10 euro ingresso unico, ore 18 e 21.50).

Martedì 28 aprile, alle 19, nei Multisala di Gorizia e Monfalcone, il penultimo titolo della stagione “L’opera al Cinema” fa già presagire un tutto esaurito. Sono due titoli “inossidabili” a riempire il grande schermo dei Kinemax, alle 19 (sia a Monfalcone che a Gorizia). Proposto dal circuito di Microcinema, dal Metropolitan di New York: “Cavalleria Rusticana” di Mascagni e “Pagliacci” di Leoncavallo. Per chi, invece, vuole tuffarsi nel più grande rock degli anni Novanta, uno splendido documentario dedicato all’icona del “post-punk”, leader dei Nirvana: il grande Kurt Cobain rivive – con lucida emozione – nella pellicola “Cobain. Montage of Heck” di Brett Morgen, al Kinemax di Monfalcone, martedì 28 e mercoledì 29 aprile (10 euro ingresso unico, ore 18 e 21.50)

Storicamente affiancati per stile e tradizione, “Cavalleria Rusticana” e “Pagliacci” sono messi in scena da altrettanti cast di alto livello (su tutti la prova tenorile quasi supereroica di Marcelo Àlvarez nei ruoli di Turiddu e Canio) e accompagnati da una visione intelligente e innovativa da parte del regista David McVicar: se nel primo titolo la rigida impronta verista è quasi esasperata da una visione pesante, autoritaria, opprimente dell’amore, della religione, della società, del lavoro, viceversa “Pagliacci” diventa, tra le mani di McVicar, una tragedia “a colori”, dinamica e a tratti anche divertita – forse influenzata dal fatto che è sempre il palcoscenico (quello del circo, in questo caso) a far transitare i sentimenti … ecco dunque che l’ambientazione si sposta nel dopoguerra, tra furgoni, bar, edicole e telefoni. Sul podio uno dei direttori stabili del Met, Fabio Luisi e, tra gli altri nei cast: Eva-Maria Westbroek, Željko Lučić, Patricia Racette, George Gagnidze, Lucas Meachem.

Ma Kinemax è “di tutti” ed è luogo di condivisione: questo vuole anche significare lo speciale dedicato a una figura entrata nel mito dell’immaginario planetario di tutti gli amanti del rock. Kurt Cobain – leader dei Nirvana, morto suicida a 27 anni, simbolo – spiega lo stesso regista – “di una ferita aperta, di una sensibilità non comune”. “Cobain. Montage of Heck” di Brett Morgen è un documentario che vuole restituire la figura di Cobain come individuo, per quanto ha fatto e per come ha gestito la propria sofferenza nell’arte. Morgen esce dal cliché del genio-suicida e ritrae il giovane Kurt per il dolore di un uomo che non ha mai accettato la separazione dei genitori, che non si è mai sentito accettato fino in fondo dalla sua società, e che solo con la musica riusciva a credere nella vita. Poche voci (cinque, tutte – o quasi – dei suoi familiari), molta musica, stralci di vita e performance.
Questo il documentario, terribilmente vero, dedicato a un’icona universale di generazioni di amanti del rock. Al Kinemax di Monfalcone, ingresso a 10 euro, martedì 28 e mercoledì 29 aprile alle 18 e alle 21.50.

www.kinemax.it
Gorizia: tel. 0481 – 530263
Monfalcone: tel. 0481 712020

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