Una storia di ginnastica multietnica a Udine: intervista ad Alexandra Agiurgiuculese
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- Pubblicato Domenica, 23 Dicembre 2012 22:26
- Scritto da Monica Visintin
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Udine - Ruotando su se stessa con tre passi lunghissimi di un “coupé” Alexandra fende in uno slancio rapidissimo lo spazio della pedana. Poi il suo corpo esile si staglia in una figura straordinaria, forse quella che meglio di ogni altro esprime lo spirito della ginnastica ritmica: una spaccata in volo dall’ampiezza impossibile con il busto flesso all’indietro, un corpo che si raccoglie in se stesso nel momento stesso in cui libera nello spazio un’energia che sembra senza fine. Il gran jeté en tournant con flessione del busto all’indietro, specialità di una ragazzina “udinese” molto speciale.
Voglia di essere se stessa e di aprirsi alla scoperta del mondo: questa è Alexandra Agiurgiuculese, 12 anni a gennaio, campionessa italiana allieve 2012 di ginnastica ritmica e nuova promessa dello sport giovanile in un paese che trova una delle sue risorse più importanti nella sua sempre più forte identità multietnica. Identità di cui il Friuli, storico crocevia di culture, sembra essere un laboratorio d’elezione.
È un vero scampolo di mitteleuropa quello che si ritaglia nella palestra di via Lodi a Udine, dove Alexandra si allena ogni giorno: un’allenatrice slovena, Spela Dragas, instancabile viaggiatrice fra le pedane della ritmica europea e mondiale dove opera come quotatissima giudice internazionale, e una friulana, Magda Pigano (erede, a sua volta, della tradizione triestina della ritmica inaugurata da Mara Poso e Sabrina Martellos) sono al fianco della giovane grazia ottomana, capelli neri e pelle d’ambra, arrivata neppure due anni fa in Italia dalla Romania.
Insieme, in soli ventitré mesi hanno raccolto importanti successi: nelle gare internazionali per club come il Torneo FIG MTM Lubiana (2° posto), il Torneo Vienna Schoenbrun (1° posto) e il prestigioso Torneo FIG Challenge Lubiana (3° posto) ma soprattutto in quelle nazionali dell’anno che sta volgendo al termine, in cui la piccola romena ha ottenuto la piena cittadinanza nella ginnastica italiana vincendo il titolo di categoria e trascinando le compagne di squadra dell’Associazione Sportiva Udinese nella promozione in serie A.
Dedizione, vitalità e coraggio: questi sono gli ingredienti del successo di Alexandra, una bambina che, come molte altre, sogna di arrivare un giorno sulle pedane delle Olimpiadi. Una ginnasta dotata non solo di potenzialità fisiche straordinarie, ma anche di un carattere solare che le permette di essere fiduciosa in se stessa e negli altri. Una bambina vitale che ha saputo, fino ad ora, trasformare quelli che potevano essere i limiti alla sua felicità (un piccolo difetto della schiena, l’abbandono del suo paese, la lontananza dalla sua famiglia) in occasioni di realizzazione personale e fare della ginnastica ritmica l’espressione di un’incontenibile energia.
Una ragazzina dalla volontà di ferro ma anche buona e generosa, che ha cercato e trovato l’affetto nelle persone che la vita le ha messo accanto, come le compagne di squadra ma soprattutto l’allenatrice Spela e la sua famiglia, che la ospitano nella loro casa durante la settimana in cui si allena lontano dai genitori, operai a Cordignano in provincia di Treviso. E senza volerlo, una piccola maestra di vita non solo per molti coetanei, ma anche per molti adulti spesso bloccati dalle incertezze del futuro sempre più insinuanti in questo periodo di crisi.
Della riuscita di questa “ricetta” esistenziale e sportiva ne abbiamo parlato con Alexandra al termine della festa di Natale con cui si è chiusa venerdì scorso la prima parte dell’anno sportivo della sezione ginnastica dell’A.S.U. 1875. Per niente intimidita né dalla circostanza inusuale dell’intervista né dal suo italiano non ancora perfetto, parla come un fiume in piena che travolge con la sua allegria e sua voglia di divertirsi.
Per l’Associazione Sportiva Udinese si presenti in pedana Alexandra Agiurgiuculese!
Per la precisione mi chiamo Agiurgiuculese Alexandra Ana Maria e sono nata a Iaşi, Romania, il 15 gennaio 2001. Ho due fratelli, Sebastian Costantin di otto anni e Andrea Magdalena di dieci. Ma…sono l’unica sportiva della mia famiglia! Ai miei fratelli piace cambiare hobby…
Sembra l’inizio di un’avventura…
Sono in Italia da appena due anni. Tutto è iniziato quando mio padre decise di provare a trasferirsi in Italia e cercare un lavoro qui. Io ero molto piccola, è successo circa otto anni fa. Poi tre anni fa è venuta in Italia anche mia madre. Per un anno io e i miei fratelli abbiamo visto e parlato con i miei genitori solo in chat al computer. Loro sentivano molto la nostra mancanza, così abbiamo deciso di raggiungerli in Italia. Siamo arrivati qui due anni fa.
Alexandra, quando hai conosciuto la ginnastica ritmica?
Avevo sei anni quando un medico mi disse che dovevo assolutamente praticare uno sport per mettere a posto la mia schiena, che non era propriamente… diritta. Allora la mia mamma si recò in una società sportiva della nostra città, Iasi, si fece dare un modulo di iscrizione ai corsi. Lì c’era un elenco di tutto gli sport che si potevano praticare, compresa la ginnastica ritmica. La mamma scelse proprio il corso di ritmica, anche se non conosceva questo sport.
Ed è stata una mamma fortunata!
Sì, perchè a me è piaciuto subito molto e dopo due settimane ero già…bravissima! E sono stata inserita subito nella squadra agonistica. E anche il dottore poco tempo dopo disse che la mia schiena era già migliorata. E quindi ho continuato…quando sono arrivata in Italia ho avuto la possibilità di continuare con la ritmica a Sacile, dove vivevano allora i miei genitori. Poi, per caso, presi parte a uno stage di qualche giorno a Udine. Qui ho conosciuto Spela e Magda, che sono adesso le mie allenatrici. Mi notarono subito, e mi dissero che a Udine potevo trovare le condizioni per allenarmi ad alto livello.
Oggi vedi delle differenze fra come ti allenavi in Romania e il lavoro che fai in Italia?
Sì, ma non è come pensa la gente, che crede che in Italia si lavori a ritmi più blandi. Le mie allenatrici in Romania non erano affatto più esigenti. Qui in Italia oltre all’aspetto tecnico c’è più attenzione per la cura dell’espressività e degli elementi artistici della ginnastica.
Ma la ritmica in Romania è più seguita che in Italia?
Non direi. Posso dire invece che nel club dove mi alleno adesso sono più in compagnia, la mia squadra infatti è numerosa. In Romania avevo meno compagne di squadra…
Cosa ti piace di questo sport?
Mi piace che si fa con la musica che ti permette di esprimere qualsiasi sentimento, anzi: qualsiasi desiderio. Poi mi piace molto il lavoro con gli attrezzi, specialmente con il nastro che permette con la sua lunghezza di creare molti disegni e di esprimere il carattere della musica. Mi piace anche il fatto che è un attrezzo difficile, perché a me piace realizzare cose difficili. E se non mi riescono subito, io provo e riprovo. Lo notano anche i miei amici, me lo dicono sempre. Io sono una che non molla mai. E alla fine… ci arrivo!
Quindi della ginnastica ti piace più l’aspetto musicale e artistico rispetto a quello che riguarda la scioltezza articolare. La gente associa spesso le ginnaste di ritmica alle contorsioniste…
La scioltezza articolare è la prima cosa che vedi di una ginnasta. È una bella cosa, ma il lavoro con la musica mi attrae di più.
Ascolti la musica anche quando non ti alleni?
Sì, ascolto qualsiasi genere di musica. Mi piace anche ascoltare quella che mi propongono le mie amiche. È un bel modo per stare insieme.
E Udine? È una bella città per fare ginnastica?
Sì, a Udine la ritmica è molto seguita, lo si vede anche quando la mia società organizza gare o manifestazioni: c’è sempre molta gente, è davvero bello.
Descrivi la giornata di Alexandra Agiurgiuculese quando non è in gara.
Da lunedì a sabato sveglia alle 7.15, a scuola dalle 8 alle 13, poi a casa per un boccone. Il pomeriggio allenamento dalle 14.30 alle 20-20.30. Mi alleno qualche ora in più delle mie compagne perché il prossimo anno dovrò affrontare gare molto importanti, come un nuovo campionato italiano di categoria.
È una vita molto impegnativa. Ti stanca?
Beh, alla sera vado a letto proprio volentieri. Talvolta mi sento stanca anche a scuola, e mi fa un po’ di invidia vedere che i miei compagni lo sono di meno.
Vorresti fare bene tutto…
Sì. Ma in palestra sto bene, ho sempre molte energie.
E a scuola? Qual è la tua materia preferita?
La geografia! Io sono così curiosa… mi piace conoscere sui libri gli spettacoli della natura e i paesi che non ho ancora visto… ma che magari visiterò viaggiando con la ginnastica!
Come passi il tuo tempo libero con gli amici?
Sempre in movimento! Con i ragazzi mi piace giocare a calcio… (ride) e con le ragazze a pallavolo. Qualche volta si sta a giocare al computer o con il cellulare… come fanno tutti.
Ma gran parte della giornata la passi con Spela, la tua allenatrice. Prima in palestra, poi a casa. Com’è vivere tanto tempo con una famiglia che non è la tua?
Voglio bene ai miei genitori, li sento vicini perché sono sempre stati dalla mia parte nelle scelte sulla ginnastica. Ma a casa di Spela sto bene, i suoi figli Marko e Tara sono miei amici, mi diverto a giocare con loro! Dopo il pranzo prima di andare ad allenamento giochiamo … a tennis! (ride ancora).
Mai stanca, eh? Ti riposerai almeno durante le vacanze di Natale?
Poco. Passerò il Natale con i miei genitori, subito dopo tornerò a Udine perché in gennaio ci sono le prime gare regionali. Ma sono contenta di passare almeno una parte delle feste con mamma e papà. Andremo a fare spese, spero anche che andremo a fare delle belle passeggiate. In movimento… sempre!
Educazione del futuro, ritorno al passato: Mary Poppins è di nuovo di moda
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- Pubblicato Venerdì, 21 Dicembre 2012 14:54
- Scritto da Roberto Calogiuri
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Trieste - La scuola è come la pasta. La si può fare in casa. Ed è anche un diritto sancito dalla costituzione italiana - nella fattispecie gli articoli 30, 33 e 34 - e corroborato dall’articolo 147 del codice civile. Per di più una sentenza del Consiglio di Stato del 2011 estende questo diritto ai primi due anni della scuola superiore di secondo grado. È per questo che in Italia si sta diffondendo l’uso di allestire in casa propria un corso di studi del ciclo obbligatorio. Qualora i genitori dimostrino di possedere i requisiti, salgono in cattedra tra le mura domestiche, sicure e accoglienti di un salotto o di una cucina. In caso contrario si affidano a un professionista.
L’assunto fondamentale è che l’istruzione è sì obbligatoria, ma il luogo dove essa debba realizzarsi, ossia la scuola pubblica, non lo è perché non sta scritto da nessuna parte. Insomma: in Italia non è obbligatorio frequentare la scuola dell’obbligo. E sembra che lo sappiano in pochi.
La scuola così com’è strutturata, a detta dei genitori che la temono e la evitano, obbliga i fanciulli al grigiore freddo e militaresco degli edifici stile ministeriale. Li espone ai fenomeni di bullismo, prevaricazione e persecuzione del vivere in comunità. Li lascia in balia delle bizzarrie insensate di taluni insegnanti che hanno troppo potere.
Al contrario, l’”istruzione parentale” preserva da tutti i rischi elencati e favorisce il pieno sviluppo di tutte le potenzialità presenti nel giovane. Oppure incontra esigenze e bisogni particolari, siano religiosi o psico-fisici. Il tutto nell’ambiente familiare.
La rete ormai pullula di forum, blog, siti e pagine in facebook che spiegano il perché, il come e il quando dell’ “homeschooling”, con la variante dell’”unschooling” (cioè lasciare al bambino la scelta degli argomenti da approfondire) e i loro titoli sono molto eloquenti: controscuola, bimbifeliciacasa, casadeibambini, educazioneparentale eccetera. C’è anche qualche manuale cartaceo. E tutti contengono istruzioni sugli adempimenti legali da osservare.
In regione vi sono già alcune offerte di lavoro per “istruzione parentale”. La ricetta è semplice. Il dubbio è se funzioni. Ovvero: al momento non vi sono studi psicopedagogici che misurino l’efficienza della scuola parentale - in termini di socializzazione e di preparazione - né statistiche ministeriali che ne attestino la diffusione. Vi è solo la parola di chi l’ha sperimentata.
Per ora si nota non solo un’effervescenza crescente nella rete e la condivisione di esperienze naturalmente tutte positive, ma si proclamano anche manifestazioni e cortei per le strade. Viceversa le critiche alla scuola, pubblica o privata, si sprecano, a cominciare da quella, tristemente vera nella maggior parte dei casi, che gli edifici scolastici assomigliano agli ospedali, alle carceri e alle caserme. E poi che i bambini si annoiano, appassiscono, regrediscono, sono deprivati della libertà. Sono umiliati dal chiedere di poter fare la pipì. Negli USA e in Gran Bretagna l’istruzione parentale è una pratica diffusa. In Italia, sebbene sia una prassi nota fin dagli anni ’70, sta iniziando ora a propagarsi, soprattutto al centronord.
Tra gli internauti il simbolo dell’”homeschooling” è Giacomo Leopardi, educato fino a 7 anni da precettore religioso, poi istruito personalmente dal padre, il conte Monaldo, fino all’età di 15 anni. “Il risultato fu il più grande poeta lirico della letteratura italiana” dice un blogger di parte. E, si potrebbe aggiungere, anche il più colto e intelligente. Peccato che fu anche il più infelice, com’è noto.
Un ritorno al passato, quindi, in nome del principio di autodeterminazione. Ancora una volta la scuola è sotto il fuoco incrociato. Toccherà a pedagoghi e didatti districare la matassa di critiche.
Roberto Calogiuri
Donne "invisibili" a caccia di pari opportunità nella lingua italiana. Ne parliamo con Renata Brovedani
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- Pubblicato Martedì, 18 Dicembre 2012 16:27
- Scritto da Monica Visintin
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Trieste - Ignorate, evitate o addirittura occultate. Questo è quello che accade alle donne e al genere femminile nella lingua italiana, che ancora oggi nelle sue convenzioni linguistiche rispecchia una disparità di trattamento fra i due sessi superata talora persino dalla realtà.
Vuoi per insufficiente capacità della lingua a rinnovarsi nella sua normativa, vuoi per pigrizia degli stessi locutori (e spessissimo delle stesse locutrici) che trovano che passare da "ministro" a "ministra" o diffondersi in puntualizzazioni come "cittadini e cittadine" sia un inutile tributo all'ineleganza linguistica, nell'italiano parlato e soprattuto scritto ancora oggi si attuano pochissime "buone pratiche" che riconoscano a donne e uomini pari dignità.
E a completare l'opera ci si mettono anche lessici e dizionari, che nei loro esempi usano spesso non poca malizia per far vedere come le dis-pari opportunità offerte alle donne nel nostro paese abbiano origine nei loro inveterati difetti.
Della scarsa considerazione di cui soffrono i "generi" femminili - tanto quello sessuale che quello linguistico - si è parlato lunedì 17 dicembre al convegno "Il genere del linguaggio: per un uso non discriminatorio della lingua italiana" organizzato dal Comitato per le Pari Opportunità dell'Università degli Studi di Trieste.
Tra le studiose e attiviste che sono intervenute all'incontro abbiamo intervistato Renata Brovedani, docente di italiano e latino presso il Liceo Scientifico "G. Galilei" di Trieste e membro della Commissione Pari Opportunità fra Uomo e Donna della Regione Friuli Venezia Giulia (di cui è stata presidente dal 2004 al 2009), da molti anni in prima linea nel confronto politico sui diritti delle donne.
Prof. ssa Brovedani, come tutte le lingue anche quella italiana è fatta di convenzioni che possono essere rivelatrici di una disparità di trattamento di uomini e donne all'interno di una società. L'italiano di oggi tratta bene le donne o è rimasta la lingua maschilista della tradizione letteraria?
Più che la lingua in sé, è l’uso dell’italiano ad essere maschilista. Nella nostra società il maschile rimane la misura del valore; in Italia scontiamo il ritardo storico con cui le donne italiane sono state riconosciute come cittadine di pari grado rispetto ai maschi. Questa svalutazione è alla base di molti comportamenti arroganti, sia in campo prettamente linguistico che in campo lavorativo, economico, sociale: sminuire le donne autorizza infatti molti altri comportamenti di sopraffazione.
La lingua in ogni contesto gioca un ruolo non da poco: si va dalla negazione dell’esistenza femminile (il maschile falsamente inclusivo; il plurale che fa scomparire le donne ), al significato irridente di certi femminili (Uomo disponibile=tipo gentile e premuroso; Donna disponibile=prostituta; Segretario particolare=portaborse; Segretaria particolare= prostituta) agli orrori nelle titolazioni pubbliche (il Ministro donna, il sindaco donna), dove purtroppo le stesse donne attribuiscono al titolo maschile maggiore autorevolezza, rinunciando alla loro rappresentazione linguistica come esseri umani.
Ciò è gravemente lesivo di una educazione civile fondata sul riconoscimento della parità e del diverso apporto che uomini e donne insieme hanno realizzato e realizzano nella costruzione storica della società in cui viviamo.
È più sessista l'italiano parlato o quello scritto?
Sicuramente l’italiano scritto, più conservatore e tradizionalista; nella lingua orale, anche per gli apporti dall’inglese, sono più frequenti le parole equivalenti.
E i media come si comportano?
C’è una strana dissociazione nei media: da una parte la sovraesposizione di donne in tutti gli ambiti dello spettacolo, dall’altra un avvilente oscuramento nell’ambito scientifico, o economico o politico. Nel primo caso la donna è proposta come oggetto di desiderio, ridotta a merce o a corpo disponibile; nel secondo caso si accorda una visibilità a priori agli uomini, ritenuti evidentemente più autorevoli.
Dopo una conferenza stampa di parlamentari donne e uomini, spesso si trasmette l’intervento del parlamentare; di un convegno scientifico o politico vediamo tavoli di discussione solo maschili, come se le donne non fossero all’altezza delle tematiche; le stesse giornaliste sono vittime di questa “invisibilità” diffusa. Il linguaggio poi è colpevolmente monosessuato, al maschile.
E le donne? Quanto fanno per difendere la differenza sessuale nella pratica linguistica?
Purtroppo c’è differenza tra donne e donne consapevoli: solo nel secondo caso si ha la sensibilità e la competenza per praticare un diverso uso della lingua, non sessista. La giornalista Chiara Valentini ha avvertito però che ci vuole una massa critica almeno del 33% per cambiare una situazione: ciò significa che una donna sola o poche donne non riescono ad avere la forza per imporre regole in questo caso comunicative più eque. Chi voglia sfidare la tradizione, deve essere molto convinta e convincente, pronta ad argomentare ogni proposta, altrimenti si rischiano la derisione ed il discredito.
Cosa fa la scuola per promuovere la cultura delle Pari Opportunità attraverso l'insegnamento della lingua italiana?
La scuola è una agenzia formativa che dovrebbe essere impegnata in prima linea nella pratica di una lingua non sessista; a scuola ragazzi e ragazze sviluppano percorsi di identità ed è importante aiutarli a riconoscere le loro differenze, e conviverci e valorizzarle.
Grandi speranze maturarono negli anni ’90, soprattutto dopo Pechino 1995, che dedicò all’educazione l’obiettivo strategico B4; seguirono la Direttiva Prodi del 1997, che auspicava la “formazione a una cultura della differenza di genere”, lo Statuto delle Studentesse e degli Studenti della scuola secondaria (DPR 249/98), la firma nel maggio 1999 del codice Polite (Pari Opportunità nei libri di testo), per un uso non sessista del lessico nella redazione dei libri scolastici.
Purtroppo da queste premesse incoraggianti non è derivato un sistema coerente di interventi educativi, codificati in programmi o modelli; si sono realizzati progetti, attività, laboratori, molto validi sul piano formativo ma caratterizzati dalla occasionalità e attivati dalla buona volontà di singoli docenti.
Nell’ultimo decennio si sta addirittura registrando una involuzione: all’esame di stato del 2010 nessuna delle tracce per il compito di italiano proponeva riferimenti a donne, né come autrici né come argomento da sviluppare. Questa omissione, ed ogni altra consimile, è a mio avviso dannosa e diseducativa perché può ingenerare negli studenti e studentesse la convinzione dell’irrilevanza dei contributi femminili alla storia del nostro paese.
Nei nuovi programmi ministeriali in molte discipline le donne artiste, o filosofe o scienziate sono assenti, come pure le tematiche che le riguardano...
Il mio pensiero è che invece, proprio per le sue funzioni formative ed educative e quale luogo di interazione sociale, la scuola può e deve impegnarsi nel processo di nuova relazione tra i generi, fondata sul rifiuto dei pregiudizi, sull’abbandono di stereotipi e impliciti, e orientata invece al rispetto reciproco, al riconoscimento dell’altro, alla collaborazione tra pari.
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