Censis: gli italiani altruisti e motivati, cresce la fiducia. Il ritorno del pendolo
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- Pubblicato Martedì, 12 Novembre 2013 15:06
- Scritto da Silvano Magnelli
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Trieste - La notizia è girata poco, l’ho trovata su "Avvenire" del 7 novembre scorso. In questi giorni è uscito il rapporto del Censis, Centro studi e investimenti sociali, che come ogni anno fa la fotografia agli italiani. Dopo anni di grande peggioramento in senso individualistico, arriva la scoperta di una svolta: la crisi sta infatti facendo cambiare a molti l’atteggiamento verso la vita e il prossimo.
L’indagine del Censis, intitolata “I valori degli italiani 2013, il ritorno del pendolo” ci fa sapere che “l’egoismo è stanco, cresce la voglia di ritrovare l’altro. Cittadini preoccupati, ma non disperati. La crisi antropologica ha consumato il suo slancio, anche se egoismo, passività ed irresponsabilità non sono svaniti, anzi stano arrivando al punto massimo, ma le energie per un’inversione di rotta ci sono tutte”.
Di qui l’immagine del pendolo che cambia posizione. E inoltre “è diffuso il desiderio di fare qualcosa per la comunità anche se molti non sanno come agire concretamente, per cui risulta che il 40% degli italiani sono disponibili a far visita agli ammalati, quasi il 30% vorrebbero fare qualcosa per chi è in difficoltà. Insomma c’è in giro una rinnovata voglia di essere altruisti”.
Sembra quindi che le ambizioni personali comincino a lasciare il posto ad altri tipi di gratificazione e, seppure l’85 % si dice preoccupato, ben il 73% non si sente né frustrato né sconfitto e 4 su 10 dimostrano di credere ancora in loro stessi e nell’avvenire.
Dice il Direttore del Censis De Rita: “Quella italiana sembra una società migliorata sotto il profilo valoriale rispetto a qualche anno fa, anche se non ha un punto forte di aggregazione”.
L’indagine ci porta su un terreno di riflessione quasi sconosciuto, ma è confermata dal parere di molti operatori del volontariato, che vedono crescere sotto i loro occhi la disponibilità a fare qualcosa per gli altri.
Dice Ernesto Olivero , fondatore del Sermig di Torino: "Lasciamoci cambiare dalla crisi. Questo è il momento fertile perché l’esempio arriva dal basso, da chi si rimbocca le maniche per sé e per gli altri. Chi governa prenda l’esempio, questo comporta un cambiamento di stile e quindi implica scendere da cavallo come ha fatto il Samaritano".
"Dicono che l’occasione fa l’uomo ladro, ma l’occasione può anche fare l’uomo saggio, generoso ed altruista. Insomma prima di cercare nel portafoglio, bisogna cercare nel cuore. Nei momenti difficili o ci si abbatte o si dà fondo alle risorse, attingendo a quei valori che sicurezza e benessere tendono a farci trascurare”.
Arrivano anche conferme da altri testimoni come Maddalena Furiosi di Abio associazione per i bambini in ospedale, che trova la sua esperienza ricaricante e sostiene che “c’è un buon ricambio con forze fresche e motivate, stare vicino ai bambini che soffrono è un’esperienza formativa per tanti giovani, ma anche per gli adulti”.
Oppure da Stefano Ravenna, alpino impegnato nella Protezione civile, che dichiara come il tanto lavoro nelle calamità naturali riporta a casa persone del tutto diverse da come erano partite. Talora quel lavoro si concentra nell’ascolto e nell’abbraccio di chi ha subìto gravi lutti o dispiaceri
E, nonostante la crisi, sono tanti i giovani che danno il loro tempo nella Onlus “La Lanterna" di Milano dove viene dato un supporto a molti ragazzi nel doposcuola. L’elenco per fortuna sarebbe molto più lungo.
Di certo in questo momento è centrale la spinta di umanizzazione, spiritualità e sobrietà che sta dando Papa Francesco con i suoi credibili richiami a mettersi al servizio della comunità e di concentrarsi su chi sta peggio.
Tutti questi dati e questi fatti risultano in controtendenza rispetto alla percezione comune quindi meritano una riflessione aggiuntiva. Del resto la speranza è un sogno fatto da svegli (Aristotele).
Silvano Magnelli
Ansie e bisogni dei giovani: un'indagine in diretta sul consumo della nuova droga.
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- Pubblicato Domenica, 13 Ottobre 2013 16:49
- Scritto da Roberto Calogiuri
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Trieste – Se si pensa che i ragazzi, ai rave party o nelle discoteche, consumano la stessa droga che serve per togliere le bende ai grandi ustionati o per anestetizzare un cavallo o un elefante, che questa droga si chiama ketamina e negli esseri umani procura allucinazioni di “pre-morte”, visioni del futuro, stati dissociativi e percezioni di essere disincarnati, qualche ricercatore ha ritenuto utile indagare sull’uso che di tale droga si fa al di fuori degli ospedali.
Il sociologo e “operatore di strada” che ha osservato l’ambiente giovanile tra Roma Bologna e Firenze, che – per quasi un anno - ha vissuto direttamente nei luoghi di consumo di questa e di altre droghe, che ha documentato situazioni, emozioni e circostanze socio-culturali, è il triestino Giulio Vidotto Fonda.
Attivo nel campo della prevenzione e riduzione del danno, si occupa degli stili giovanili in relazione a consumi, droghe e nuovi media.
Alla fine della sua ricerca sul campo, ha catalogato e interpretato i dati raccolti in “Ketamina. Stili di consumo” (pp. 186, Franco Angeli Editore, € 25,00). Un libro che è anche un’interessante e profonda panoramica sulla vita “underground” dei giovani d’oggi, su quella vita – legale e illegale che sia - che necessariamente sfugge allo sguardo di genitori, insegnanti e chiunque si occupi di educazione istituzionale.
Abbiamo chiesto direttamente a Vidotto Fonda che ci illustri con parole sue il lavoro che ha svolto.
Dottor Vidotto Fonda, perché un libro sulla Ketamina?La ketamina nasce come farmaco anestetico e analgesico usato sugli umani prima che sugli animali. Non ho però trovato letteratura italiana sull’uso che ne viene fatto fuori dai contesti di cura. Così ho deciso di fare una ricerca su questo fenomeno a partire dai suoi contesti di diffusione per comprenderne motivazioni e significati.
Ha avuto esperienza del fenomeno in ambito provinciale triestino o regionale nel Friuli Venezia Giulia?A Trieste sono tornato da pochi mesi e non ho trovato dati sull’uso di ketamina a livello locale, Considerato poi che il nord-est è l’area geografica in cui, oltre all’alcol, vengono consumate più droghe, non credo la ketamina faccia eccezione. Ricordo anche che a fine anni ’90, prima che io me ne andassi, era già in circolazione. Preoccupa perciò quando i media parlano ancora di una droga appena arrivata in città, così come quando chi diffonde informazione scientifica nei locali viene accusato di istigare al consumo.
Allora ci spieghi in cosa consiste l’ttività di “operatore di strada attivo nel campo della prevenzione e della riduzione del danno”?Ho lavorato per la Cooperativa C.A.T. di Firenze in varie unità di strada con progetti di prevenzione e animazione con adolescenti nei quartieri, nei centri giovani e nelle scuole, prevenzione e riduzione dei rischi direttamente nei party e nei luoghi di consumo, lavoro di strada con tossicodipendenti a rischio di marginalità. Il metodo prevede attività di ascolto, counseling e stimolo, oltre alla distribuzione di materiale informativo e presidi sanitari. Stare in contatto con i consumatori nei loro contesti naturali permette anche di intercettare tempestivamente nuovi stili di consumo e di orientare così la ricerca sul campo.
E com’è avvenuta la raccolta dei dati sul campo?Inizialmente gironzolando nei rave e in alcuni festival tekno toscani nei quali avevo già lavorato come operatore. L’osservazione è servita a riprendere contatto con quei contesti e rintracciarne le evoluzioni sul piano culturale e stilistico. Il problema è stato però riuscire a coinvolgere i consumatori nella registrazione delle loro storie di vita, ovvero nel cuore della ricerca. Gli operatori mi hanno presentato come affidabile e in buona fede e sono stato accolto calorosamente nelle loro case, alle loro tavole, nei loro luoghi d’aggregazione e nei loro eventi preferiti. Lo scambio è stato intenso e alcuni di loro hanno seguito e commentato anche la stesura del testo. Un’esperienza molto appagante sul piano umano, prima ancora che intellettuale.
Torniamo alla ketamina. Quali sono le sue caratteristiche?Per i medici è un “anestetico dissociativo”, per gli psiconauti un “enteogeno”, per la stampa è “nuova, misteriosa e micidiale. A mio avviso è una sostanza difficile, demonizzata, che induce molti effetti. Ad esempio l’uso principale rave e dance non è volto alla ricerca della dissociazione, ma anzi ad aumentare il coinvolgimento e a favorire sensazioni particolari nel momento del ballo spesso in bassi dosaggi e miscelata a un eccitante. Non mancano però temerari esploratori della psiche e del cosiddetto k-hole, o consumatori quotidiani in cerca dell’aiutino per ansia, noia o depressione, così come per sedare il calo psicofisico del “dopo festa” o la smania verso altre droghe d’elezione. in particolare alcol ed eroina. Di stili ne ho individuati quattro, ma nascondono davvero una varietà sorprendente di situazioni particolari.
Cosa intende per “stili di consumo”? E’un concetto guida della sua ricerca… Mi sembra necessario recuperare una visione complessiva dell’uso delle droghe che superi il paradigma bio-medico e consideri il “drogato” come un attore che si muove in un contesto secondo intenzioni, emozioni e conoscenze. Per comprendere uno stile di consumo non è sufficiente sapere i dosaggi, ma bisogna conoscere dove, con chi, come e perché… rintracciare gli aspetti percepiti come positivi e negativi. Vorrei puntualizzare che chi usa droghe, una volta passato l’effetto, è in grado di raccontarsi come qualsiasi altra persona che venga intervistata riguardo a proprie questioni intime e personali. Applicare al consumatore una visione stereotipata di “tossico, matto e sociopatico” induce invece a imbarcarsi in paradossali indagini sulla droga senza drogati.
Che impatto sociale ha la ketamina?Quale sia la sua diffusione non è chiaro; di certo il consumo è aumentato a partire dallo scorso decennio. La mia idea è che qui non si diffonderà ai livelli registrati ad esempio a Hong Kong, ma che rimarrà una tra le tante sostanze a disposizione dei consumatori. Va però segnalato che, se fino a dieci anni fa il traffico amatoriale riusciva a soddisfare la domanda, oggi è prepotentemente entrato in campo il crimine organizzato. Questo significa ketamina più scadente e offerta capillare sul territorio. Ritengo che il riconoscimento tardivo e demonizzazione del fenomeno, come avvenne già per altre sostanze, abbiano impedito la prevenzione dei rischi e la diffusione per tempo di informazioni appropriate.
…e perché dobbiamo stare in guardia?Seppure non vi è prova che il principio attivo della ketamina bruci il cervello o ammazzi, ogni stile di consumo porta con sé criticità particolari dalle quali stare in guardia. Diciamo che tutti gli assuntori rischiano di farsi male (cadute, fratture, bruciature, etc.) a causa delle ridotte capacità motorie e delle alterazioni percettive o di intossicarsi con le sostanze da taglio. Al crescere dell’intensità e continuità d’uso - e in particolare con l’iniezione - aumenta il rischio di effetti collaterali a lungo termine come dipendenza, disturbi dell’umore, del sonno, della personalità, dell’vie urinarie, etc.
Che profilo è in grado di tracciare della cultura giovanile dopo questa esperienza?Il mio sguardo si è concentrato sulla scena rave underground che è stata per oltre dieci anni il contesto elettivo dell’uso di ketamina. Quel movimento, nato come avanguardia culturale contrapposta al divertimento commerciale, appare oggi consumistico e svuotato di contenuti. La cultura giovanile in generale costituisce un insieme davvero variegato. Mi viene però da dire che oggi al consumismo si sono affiancati ansia per il futuro, disoccupazione, sfruttamento, fallimento e precarietà. Ciò favorisce, tra le altre cose, l’adozione di nuovi fantasiosi mix di sostanze con o senza prescrizione medica. In questi termini, il successo di un anestetico economico e dissociativo in una generazione senza soldi né sogni non ci dovrebbe sorprendere.
A chi è diretto il libro?Si tratta di una ricerca sociologica, ma il tema è piuttosto sfaccettato. Grazie anche alla paziente supervisione di vari professionisti ho adottato una prospettiva interdisciplinare. Diciamo che il testo è rivolto a sociologi e studenti, ma anche a operatori sociali, sanitari e delle dipendenze. I protagonisti del volume sono però i consumatori: ho incluso molti loro interventi preservandone lo stile e il gergo, peraltro molto efficace. Così immagino che il testo possa fornire uno spunto di riflessione anche per chi usa sostanze; oltre a offrire una serie di indicazioni concrete per la gestione del proprio consumo e la riduzione dei rischi e dei danni a esso connessi. Ho inserito il mio indirizzo e-mail in coda proprio con l’auspicio di riprendere questo dialogo con i lettori.
La sua specializzazione accademica riguarda gli “stili giovanili in relazione a consumi, droghe e nuovi media”. Che rapporto c’è tra questi elementi?Diciamo che i punti di contatto sono molteplici. Da un punto di vista culturale, droghe, beni e servizi (pensiamo ai social network) si diffondo tra gli adolescenti e nei gruppi attraverso meccanismi simili che fanno leva sul loro bisogno di identità e invadono il loro immaginario. Ritorna così utile ragionare in termini di stili di consumo. In una ricerca sull’uso di Facebook che ho curato l’anno scorso con Andrea Cagioni ne abbiamo ad esempio individuati molteplici, alcuni dei quali hanno rivelato problemi e rischi specifici. Pensiamo poi al fatto che Internet è divenuto la fonte primaria di informazione e discussione anche riguardo alle droghe, e non di rado i consumatori vi acquistano tranquillamente le sostanze. D’altro canto anche i servizi si stanno sperimentando in attività di prevenzione, counseling e presa in carico online, talvolta molto efficaci.
Critiche o elogi all’attuale sistema di informazione/prevenzione? Il problema è proprio che di sistema non si può parlare, nel senso che ci sono grosse differenze tra i progetti implementati dalle varie Regioni, Province, Comuni e Aziende Sanitarie, così come dalla galassia degli enti ai quali questi vengono appaltati. Un motivo è anche che le direttive nazionali sono confuse e ideologiche. Ho già avuto modo in più sedi, in coda a molte altre più autorevoli voci, di descrivere i limiti metodologici delle relazioni annuali al parlamento che restituiscono una fotografia parziale e distorta del fenomeno. Inoltre, dall’entrata in vigore della criminale legge 49 del 2006 - approvata in barba al referendum del 1993 - l’aumentata repressione dei consumatori e dei loro contesti elettivi li ha costretti a nascondersi e isolarsi ulteriormente, la prevenzione è divenuta allarmismo, la riduzione del danno un’espressione che imbarazza gli amministratori. Così, in assenza di una strategia condivisa, molto dipende dal singolo funzionario o ente. Purtroppo non conosco ancora bene la realtà di questo territorio: finora ho incontrato persone competenti e motivate e la tradizione di apertura ed efficienza dei servizi locali mi fa ben sperare.
Giulio Vidotto Fonda è un sociologo e un operatore di strada. Dottorando in Metodologia delle scienze sociali presso l’Università di Firenze, ha pubblicato il saggio “Pelago 2008: dal rito al contenitore” in Cipolla C., Mori L. (a cura di), “Le culture e i luoghi delle droghe”.
“Ketamina. Stili di consumo”, Franco Angeli Editore, pp. 186, € 25,00
(Per le foto si ringrazia il Progetto Extreme (Toscana). Gli scatti sono stati ralizzati durante alcuni interventi di prevenzione e riduzione del danno in rave legali e illegali tra il 2009 e il 2010):
Attenzione: Nessuna immagine nella cartella specificata. Si prega di controllare la cartella!
Debug: cartella impostata - https://archivio.ilfriuliveneziagiulia.it/images/galleries/extreme
[Roberto Calogiuri]
Vajont: il "Corriere delle Alpi" pubblica un video inedito girato in super8 la mattina dopo la tragedia
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- Pubblicato Giovedì, 10 Ottobre 2013 09:58
- Scritto da Redazione Ilfriuliveneziagiulia
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Belluno - All'indomani delle celebrazioni per i 50 anni della tragedia del Vajont - sabato 12 ottobre è atteso a Longarone il primo ministro Enrico Letta - il "Corriere delle Alpi" pubblica un eccezionale ed inedito documento, reso disponibile dalla cortesia del signor Massimo Da Vià.
Si tratta di oltre 11 minuti di immagini girati dal padre, il signor Zoilo Da Vià, con una cinepresa super8 all'indomani della tragedia del Vajont, in una Longarone rasa al suolo dall'onda gigantesca, e che sono stati pubblicati sul profilo Facebook di Massimo Da Vià.
Il documento, con le immagini digitalizzate della serie di filmini girati da Zoilo Da Vià - pubblicato in esclusiva sul sito del "Corriere delle Alpi", dove si trova un ampio memoriale sul Vajont per le vittime, una raccolta di foto e testimonianze - è una testimonianza delle prime ore successive al disastro che causò 1910 vittime.
Si vedono i soccorritori, la gente attonita che si aggira in un panorama spettrale, laghi d'acqua e tra le fenditure dei monti la diga intatta.
"La mattina presto di un 10 ottobre di 50 anni fa mio padre - scrive il figlio sul popolare social network - prese una cinepresa super8 dal negozio e, in lambretta con un suo amico, da Domegge, raggiunsero Longarone. Nella notte era successo qualcosa, c'era stato un grande tuono e rumore di sirene ed elicotteri".
Per Massimo, forse sono le prime immagini, "o tra le prime. Vorremmo fossero le ultime".
Qui il link alla pagina del quotidiano veneto.
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