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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Ansie e bisogni dei giovani: un'indagine in diretta sul consumo della nuova droga.

Ansie e bisogni dei giovani: un'indagine in diretta sul consumo della nuova droga.

Trieste – Se si pensa che i ragazzi, ai rave party o nelle discoteche, consumano la stessa droga che serve per togliere le bende ai grandi ustionati o per anestetizzare un cavallo o un elefante, che questa droga si chiama ketamina e negli esseri umani procura allucinazioni di “pre-morte”, visioni del futuro, stati dissociativi e percezioni di essere disincarnati, qualche ricercatore ha ritenuto utile indagare sull’uso che di tale droga si fa al di fuori degli ospedali.

Il sociologo e “operatore di strada” che ha osservato l’ambiente giovanile tra Roma Bologna e Firenze, che – per quasi un anno - ha vissuto direttamente nei luoghi di consumo di questa e di altre droghe, che ha documentato situazioni, emozioni e circostanze socio-culturali, è il triestino Giulio Vidotto Fonda.

Attivo nel campo della prevenzione e riduzione del danno, si occupa degli stili giovanili in relazione a consumi, droghe e nuovi media.

Alla fine della sua ricerca sul campo, ha catalogato e interpretato i dati raccolti in “Ketamina. Stili di consumo” (pp. 186, Franco Angeli Editore, € 25,00). Un libro che è anche un’interessante e profonda panoramica sulla vita “underground” dei giovani d’oggi, su quella vita – legale e illegale che sia - che necessariamente sfugge allo sguardo di genitori, insegnanti e chiunque si occupi di educazione istituzionale.

Abbiamo chiesto direttamente a Vidotto Fonda che ci illustri con parole sue il lavoro che ha svolto.

Dottor Vidotto Fonda, perché un libro sulla Ketamina?La ketamina nasce come farmaco anestetico e analgesico usato sugli umani prima che sugli animali. Non ho però trovato letteratura italiana sull’uso che ne viene fatto fuori dai contesti di cura. Così ho deciso di fare una ricerca su questo fenomeno a partire dai suoi contesti di diffusione per comprenderne motivazioni e significati.

Ha avuto esperienza del fenomeno in ambito provinciale triestino o regionale nel Friuli Venezia Giulia?A Trieste sono tornato da pochi mesi e non ho trovato dati sull’uso di ketamina a livello locale, Considerato poi che il nord-est è l’area geografica in cui, oltre all’alcol, vengono consumate più droghe, non credo la ketamina faccia eccezione. Ricordo anche che a fine anni ’90, prima che io me ne andassi, era già in circolazione. Preoccupa perciò quando i media parlano ancora di una droga appena arrivata in città, così come quando chi diffonde informazione scientifica nei locali viene accusato di istigare al consumo.

Allora ci spieghi in cosa consiste l’ttività di “operatore di strada attivo nel campo della prevenzione e della riduzione del danno”?Ho lavorato per la Cooperativa C.A.T. di Firenze in varie unità di strada con progetti di prevenzione e animazione con adolescenti nei quartieri, nei centri giovani e nelle scuole, prevenzione e riduzione dei rischi direttamente nei party e nei luoghi di consumo, lavoro di strada con tossicodipendenti a rischio di marginalità. Il metodo prevede attività di ascolto, counseling e stimolo, oltre alla distribuzione di materiale informativo e presidi sanitari. Stare in contatto con i consumatori nei loro contesti naturali permette anche di intercettare tempestivamente nuovi stili di consumo e di orientare così la ricerca sul campo.

E com’è avvenuta la raccolta dei dati sul campo?Inizialmente gironzolando nei rave e in alcuni festival tekno toscani nei quali avevo già lavorato come operatore. L’osservazione è servita a riprendere contatto con quei contesti e rintracciarne le evoluzioni sul piano culturale e stilistico. Il problema è stato però riuscire a coinvolgere i consumatori nella registrazione delle loro storie di vita, ovvero nel cuore della ricerca. Gli operatori mi hanno presentato come affidabile e in buona fede e sono stato accolto calorosamente nelle loro case, alle loro tavole, nei loro luoghi d’aggregazione e nei loro eventi preferiti. Lo scambio è stato intenso e alcuni di loro hanno seguito e commentato anche la stesura del testo. Un’esperienza molto appagante sul piano umano, prima ancora che intellettuale.

Torniamo alla ketamina. Quali sono le sue caratteristiche?Per i medici è un “anestetico dissociativo”, per gli psiconauti un “enteogeno”, per la stampa è “nuova, misteriosa e micidiale. A mio avviso è una sostanza difficile, demonizzata, che induce molti effetti. Ad esempio l’uso principale rave e dance non è volto alla ricerca della dissociazione, ma anzi  ad aumentare il coinvolgimento e a favorire sensazioni particolari nel momento del ballo spesso in bassi dosaggi e miscelata a un eccitante. Non mancano però temerari esploratori della psiche e del cosiddetto k-hole, o consumatori quotidiani in cerca dell’aiutino per ansia, noia o depressione, così come per sedare il calo psicofisico del “dopo festa” o la smania verso altre droghe d’elezione. in particolare alcol ed eroina. Di stili ne ho individuati quattro, ma nascondono davvero una varietà sorprendente di situazioni particolari.

Cosa intende per “stili di consumo”? E’un concetto guida della sua ricerca… Mi sembra necessario recuperare una visione complessiva dell’uso delle droghe che superi il paradigma bio-medico e consideri il “drogato” come un attore che si muove in un contesto secondo intenzioni, emozioni e conoscenze. Per comprendere uno stile di consumo non è sufficiente sapere i dosaggi, ma bisogna conoscere dove, con chi, come e perché… rintracciare gli aspetti percepiti come positivi e negativi. Vorrei puntualizzare che chi usa droghe, una volta passato l’effetto, è in grado di raccontarsi come qualsiasi altra persona che venga intervistata riguardo a proprie questioni intime e personali. Applicare al consumatore una visione stereotipata di “tossico, matto e sociopatico” induce invece a imbarcarsi in paradossali indagini sulla droga senza drogati.

Che impatto sociale ha la ketamina?Quale sia la sua diffusione non è chiaro; di certo il consumo è aumentato a partire dallo scorso decennio. La mia idea è che qui non si diffonderà ai livelli registrati ad esempio a Hong Kong, ma che rimarrà una tra le tante sostanze a disposizione dei consumatori. Va però segnalato che, se fino a dieci anni fa il traffico amatoriale riusciva a soddisfare la domanda, oggi è prepotentemente entrato in campo il crimine organizzato. Questo significa ketamina più scadente e offerta capillare sul territorio. Ritengo che il riconoscimento tardivo e demonizzazione del fenomeno, come avvenne già per altre sostanze, abbiano impedito la prevenzione dei rischi e la diffusione per tempo di informazioni appropriate.

…e perché dobbiamo stare in guardia?Seppure non vi è prova che il principio attivo della ketamina bruci il cervello o ammazzi, ogni stile di consumo porta con sé criticità particolari dalle quali stare in guardia. Diciamo che tutti gli assuntori rischiano di farsi male (cadute, fratture, bruciature, etc.) a causa delle ridotte capacità motorie e delle alterazioni percettive o di intossicarsi con le sostanze da taglio. Al crescere dell’intensità e continuità d’uso - e in particolare con l’iniezione - aumenta il rischio di effetti collaterali a lungo termine come dipendenza, disturbi dell’umore, del sonno, della personalità, dell’vie urinarie, etc.

Che profilo è in grado di tracciare della cultura giovanile dopo questa esperienza?Il mio sguardo si è concentrato sulla scena rave underground che è stata per oltre dieci anni il contesto elettivo dell’uso di ketamina. Quel movimento, nato come avanguardia culturale contrapposta al divertimento commerciale, appare oggi consumistico e svuotato di contenuti. La cultura giovanile in generale costituisce un insieme davvero variegato. Mi viene però da dire che oggi al consumismo si sono affiancati ansia per il futuro, disoccupazione, sfruttamento, fallimento e precarietà. Ciò favorisce, tra le altre cose, l’adozione di nuovi fantasiosi mix di sostanze con o senza prescrizione medica. In questi termini, il successo di un anestetico economico e dissociativo in una generazione senza soldi né sogni non ci dovrebbe sorprendere.

A chi è diretto il libro?Si tratta di una ricerca sociologica, ma il tema è piuttosto sfaccettato. Grazie anche alla paziente supervisione di vari professionisti ho adottato una prospettiva interdisciplinare. Diciamo che il testo è rivolto a sociologi e studenti, ma anche a operatori sociali, sanitari e delle dipendenze. I protagonisti del volume sono però i consumatori: ho incluso molti loro interventi preservandone lo stile e il gergo, peraltro molto efficace. Così immagino che il testo possa fornire uno spunto di riflessione anche per chi usa sostanze; oltre a offrire una serie di indicazioni concrete per la gestione del proprio consumo e la riduzione dei rischi e dei danni a esso connessi. Ho inserito il mio indirizzo e-mail in coda proprio con l’auspicio di riprendere questo dialogo con i lettori.

La sua specializzazione accademica riguarda gli “stili giovanili in relazione a consumi, droghe e nuovi media”. Che rapporto c’è tra questi elementi?Diciamo che i punti di contatto sono molteplici. Da un punto di vista culturale, droghe, beni e servizi (pensiamo ai social network) si diffondo tra gli adolescenti e nei gruppi attraverso meccanismi simili che fanno leva sul loro bisogno di identità e invadono il loro immaginario. Ritorna così utile ragionare in termini di stili di consumo. In una ricerca sull’uso di Facebook che ho curato l’anno scorso con Andrea Cagioni ne abbiamo ad esempio individuati molteplici, alcuni dei quali hanno rivelato problemi e rischi specifici. Pensiamo poi al fatto che Internet è divenuto la fonte primaria di informazione e discussione anche riguardo alle droghe, e non di rado i consumatori vi acquistano tranquillamente le sostanze. D’altro canto anche i servizi si stanno sperimentando in attività di prevenzione, counseling e presa in carico online, talvolta molto efficaci.

Critiche o elogi all’attuale sistema di informazione/prevenzione? Il problema è proprio che di sistema non si può parlare, nel senso che ci sono grosse differenze tra i progetti implementati dalle varie Regioni, Province, Comuni e Aziende Sanitarie, così come dalla galassia degli enti ai quali questi vengono appaltati. Un motivo è anche che le direttive nazionali sono confuse e ideologiche. Ho già avuto modo in più sedi, in coda a molte altre più autorevoli voci, di descrivere i limiti metodologici delle relazioni annuali al parlamento che restituiscono una fotografia parziale e distorta del fenomeno. Inoltre, dall’entrata in vigore della criminale legge 49 del 2006 - approvata in barba al referendum del 1993 - l’aumentata repressione dei consumatori e dei loro contesti elettivi li ha costretti a nascondersi e isolarsi ulteriormente, la prevenzione è divenuta allarmismo, la riduzione del danno un’espressione che imbarazza gli amministratori. Così, in assenza di una strategia condivisa, molto dipende dal singolo funzionario o ente.  Purtroppo non conosco ancora bene la realtà di questo territorio: finora ho incontrato persone competenti e motivate e la tradizione di apertura ed efficienza dei servizi locali mi fa ben sperare.

 

Giulio Vidotto Fonda è un sociologo e un operatore di strada. Dottorando in Metodologia delle scienze sociali presso l’Università di Firenze, ha pubblicato il saggio “Pelago 2008: dal rito al contenitore” in Cipolla C., Mori L. (a cura di), “Le culture e i luoghi delle droghe”.

 “Ketamina. Stili di consumo”, Franco Angeli Editore, pp. 186, € 25,00

(Per le foto si ringrazia il Progetto Extreme (Toscana). Gli scatti sono stati ralizzati durante alcuni interventi di prevenzione e riduzione del danno in rave legali e illegali tra il 2009 e il 2010):

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[Roberto Calogiuri]

 

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