Alessandro Borghese, celebre chef tv "la cucina come atto d'amore"
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- Pubblicato Domenica, 02 Giugno 2013 16:57
- Scritto da Paola Dalle Molle
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Pordenone - Tra applausi da stadio e fans in delirio culinario, è arrivato Alessandro Borghese, lo chef italiano più celebre della tv, ospite di PordenonePensa.
E’lui il Vasco dei fornelli, capace di inchiodare al teleschermo milioni di potenziali chef. Borghese nella sala consiliare della Provincia di Pordenone, sold out fino all’inverosimile, si guarda intorno quasi stupito mentre il pubblico lo accoglie come un divo, o meglio di un divo, infatti non c’è niente di più attraente di un uomo che sa cucinare bene soprattutto tra le telespettatrici.
Tanto più se è affascinante, famoso ed è simpatico, brillante, colto, alla mano, spigliato. In poche parole, piace così tanto che una signora gli urla “Vieni a cucinare nella mia cucina ..” mentre decine di ragazzine lo rincorrono per un autografo. In altre parole, anche dal vivo Alessandro travolge con il suo amore sincero per il cibo e per l’arte della cucina. Sospirano le signore mentre Borghese confessa: “Cucinare è un atto di amore che si fa, di solito, per qualcuno “. Ma poche illusioni, Borghese è innamorato, sposato felicemente “con una bionda che ha lo stomaco di un camionista: mangia di tutto”.
Mai una parola critica o cattiva contro i suoi numerosi colleghi televisivi: “Siamo tutte prime donne è vero, sorridiamo e fra noi c’è della sana competizione”, alludendo a tutti : Cracco &C. A questo proposito,la moderatrice dell’incontro, Tina Ruggeri, gli domanda se non c’è troppa “cucina” oggi nelle trasmissioni televisive e lui risponde “Per me è un bene. Fino a poco tempo non se ne parlava affatto e invece, tutte queste trasmissioni hanno dato un apertura al comparto che è una nostra eccellenza prima poco considerata. Grazie ai programmi televisivi, tanti giovani si sono avvicinati al fornelli, mi fermano per strada per chiedermi una ricetta”.
Ma il vero lusso è la semplicità , soprattutto nell’usare materie prime eccellenti. Alessandro parla di tutto dalle sue origini, alla madre Barbara Bouchet (non avrei mai fatto l’attore, aspettare sempre il lavoro da una telefonata? Troppa ansia) , alle diverse cucine ( “Va bene tutto, ma prima di innovare bisogna conoscere bene la tradizione. La migliore? La nonna”), all’educazione alimentare dei ragazzi sempre con intelligenza, autoironia e sincerità (“mi piace sentire la musica rock mentre cucino”) . La ricetta per eccellenza? Una bella pastasciutta con il pomodoro che sembra facile o banale o il pollo arrosto con la pelle bella croccante. Insomma, meglio togliere che aggiungere. Il detto di Coco Chanel vale anche per i migliori chef: la classe si vede soprattutto nella semplicità, “il lusso della semplicità”.
Si sono conclusi i Campionati Italiani assoluti di scherma a Trieste. Intervista ad Aldo Montano
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- Pubblicato Domenica, 02 Giugno 2013 13:09
- Scritto da Monica Visintin
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Trieste – Il capoluogo organizza i Campionati Italiani Assoluti e Paralimpici 2013 all’inizio di un quadriennio olimpico che si presenta come impegnativo anche per la medagliatissima scherma. Sono campionati all’insegna del ricambio con qualche "défaillance" fra le medaglie olimpiche temute alla vigilia e confermate nella quattro giorni di gare.
Ma mentre Valentina Vezzali attende a Jesi di diventare mamma per la seconda volta e Andrea Cassarà si riprende dal brutto infortunio alla caviglia rimediato nella recente prova di Coppa del Mondo a Tokio, ecco che non manca nel parterre del PalaTrieste uno degli ospiti più attesi.
Aldo Montano, livornese, 35 anni, sciabolatore, sesto schermidore della sua famiglia con una medaglia olimpica al collo. Lui, per la precisione, per ora ne ha quattro. Oro individuale ad Atene 2004, con la squadra ritorna da Atene con un argento, con un bronzo da Pechino 2008 e Londra 2012.
Ma è anche l’eroe del reality “La fattoria” edizione 2006, lo storico fidanzato di Manuela Arcuri e Antonella Mosetti, per le copertine dei rotocalchi e le pagine dei siti di gossip il bello della scherma. "Malgré lui", che dice di no all’ottava edizione dell”Isola dei famosi” nel 2011 e che tiene pulita la sua voce di Wikipedia da riferimenti alla sua vita fuori dalle pedane di scherma.
Ma il suo arrivo al PalaTrieste nel pomeriggio di sabato 1 giugno scatena un inevitabile pellegrinaggio di devotissime fans per la conquista di una foto con lui o un autografo. E se la beniamina del pubblico di casa Margherita Granbassi sul campo di gara tiene a debita distanza la stampa impaziente di sapere qualcosa sul suo ginocchio ancora ribelle, a tenere impegnati i giornalisti ci pensa Aldo Montano.
Sorridente, simpatico e disponibile non meno di quanto appaia in televisione, meno guascone e decisamente più desideroso di parlare del futuro della scherma che non del turn over delle sue fidanzate. Perché dalla scherma Aldo non pensa ancora a ritirarsi ed è per questo che si concede volentieri come front-man della federazione sportiva più medagliata d’Italia.
Aldo Montano, ieri campione, oggi spettatore.
Non pagante, però.
Stai recuperando un infortunio.
Dopo le Olimpiadi di Londra ho avuto una serie di vicissitudini che mi hanno tenuto lontano dalle pedane, strappi, tendiniti. Ho dovuto rinunciare già all’ultima gara di Coppa del Mondo, ora salto anche questa. Rientrerò per gli Europei e i Mondiali di agosto, che sono le ultime gare della stagione e le ultime occasioni per portare a casa qualcosa di buono per quest’anno. Mi sono risparmiato per le gare più importanti.
Un giudizio sul tuo erede, Luigi Miracco, neocampione italiano alla sciabola.
Il “Mata”? Lo conosco bene, ci alleniamo insieme a Roma, è un ragazzo ormai nel giro della Nazionale. Mi ha fatto molto piacere sapere della sua vittoria, a lui ha fatto piacere ricevere i miei complimenti, anche se siamo entrambi dispiaciuti di non aver potuto confrontarci in questi campionati italiani.
Sei dispiaciuto per non aver gareggiato?
Sì ci tenevo molto, ho un record da battere. Siamo non più di tre sciabolatori a poter vantare 6 titoli italiani. Visto che sono ancora in attività, ci tenevo a conquistare il settimo, volevo farlo in quest’occasione. Dovrò ritentare il prossimo anno.
Il tuo prossimo obiettivo è Rio 2016?
Sì, senza dubbio. Sento di aver ancora molte cose da dare a questa nazionale, all’Italia, ho voglia di legarmi ancora a qualche grande soddisfazione. Il mio conto non è concluso. Certo da qui alle Olimpiadi c’è molto tempo: ci sono tre campionati del mondo, tre europei, tre stagioni di coppa del mondo, tre campionati italiani. Bisogna un po’ vivere alla giornata come sto facendo oggi, con la serenità di essere ancora un atleta della Nazionale e di avere la fiducia del mio Commissario Tecnico, la fiducia di tutto lo staff, della Federazione. Tutto questo mi permette di prepararmi alle competizioni nel miglior modo possibile. Poi sta a me quando scendo in pedana dare il massimo: ma io sono orgoglioso di farlo e soprattutto penso di poterlo fare. Certo, è lunga, ma io ci provo.
E dopo Rio? Un futuro in federazione scherma?
Al futuro non ci ho pensato minimamente. Il bello di essere un atleta è che devi pensare solo alle competizioni per cui ti stai preparando. Ma quello della Federazione è un ambiente in cui ho passato una parte importante della mia vita, l’idea di poter mettere a disposizione la mia esperienza non mi dispiacerebbe.
E lo spettacolo? Una parentesi chiusa?
Ma sai, molti atleti si lasciano tentare. E alla fine fanno bene, fa bene all’immagine dello sport, favorisce un’identificazione con gli sportivi, specie quello che decidono di andare in tv. Fa bene soprattutto per certi sport che alla fine vanno in tv solo alle olimpiadi, in mezzo ci stanno quattro anni i cui anche grandi campioni escono di vista. E poi è bello vedere gli atleti che si confrontano con altre cose che non siano le discipline che praticano. Nel posto giusto, con l’esperienza giusta, alla fine quelle con lo spettacolo sono esperienze positive Senza tener conto che è un diversivo anche per noi, la vita che facciamo è dura, ogni giorno sempre in palestra, ad allenarsi, a faticare, a sudare. La gente non ci pensa abbastanza.
Già, e poi ci sono i contratti televisivi.
Se puoi fare qualche soldo in più, è bene non dire di no, mi sembra abbastanza normale farlo. Specie se pratichi uno sport come il mio, che non è uno sport ricco.
La scherma non è uno sport ricco. Ma chi lo può praticare questo sport? All’apparenza sembra abbastanza costoso.
Nient’affatto. Basta vedere l’offerta che fa Livorno, la mia città. 50-60 euro al mese. Dico, è il costo di una palestra di fitness.
Parliamo ancora di pubblico. La scherma è la disciplina olimpica che fino ad oggi ha dato all’Italia il maggior numero di medaglie olimpiche. All’appello di venir vedere e applaudire una decina di medaglie olimpiche neanche Trieste ha risposto tanto bene.
È vero, siamo sempre lì. Noi abbiamo grandi campioni e grandi campionesse che ogni quattro anni ci regalano grandi medaglie. Noi siamo la federazione più medagliata, quella su cui il CONI può sempre fare tranquillamente affidamento quando bisogna fare dei buoni pronostici per il medagliere olimpico. Il C.O.N.I. in verità non ci fa mai mancare il suo sostegno, neanche in questi tempi di spending review. Ma la comunicazione sì, fra un’Olimpiade e l’altra passa troppo tempo, e in questi quattro anni il nostro lavoro e i nostri successi – che non vengono mai a mancare – restano invisibili. In queste condizioni non è che nel frattempo la gente si sveglia e dice “vado a vedere la scherma”, se i media non ci portano loro all’attenzione del pubblico è impossibile.
(la foto è di Stefano Savini. Licenza Creative Commons: uso non commerciale, citare la fonte)
Le Prove Invalsi nella sconquassata scuola italiana: l'opinione di un docente
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- Pubblicato Mercoledì, 22 Maggio 2013 09:43
- Scritto da Giuseppe Verde
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Trieste - Il mio intervento non vuole in nessun modo attaccare la persona che ha scritto l'articolo sulle prove Invalsi, che, peraltro, esprime un sentimento largamente condiviso da molti insegnanti. Vorrei dire la mia.
Purtroppo è una diffusa abitudine italiana quella di buttare il bambino con l’acqua sporca ovvero quella di impiegare tutte le risorse disponibili per immaginare il mondo perfetto o per lamentarsi dei problemi, senza però avere poi la volontà e la capacità di muovere un dito per intervenire nella realtà quotidiana.
Che in Italia il sistema scolastico sia un macchina sconquassata, un organismo decadente ormai incancrenito a causa di decenni di negligenza politica e di cecità civile, è cosa palese. Ma che questo debba essere il motivo per mortificare anche le iniziative positive, questo non lo posso accettare.
Ci sono centinaia di studi didattici e pedagogici che parlano della formazione permanente e dell’autovalutazione, frutto di duro lavoro di mente eccelse sparse per il pianeta. A volte (è sacrosanto dirlo!) sono poco attente alle situazioni reali e rese ottuse dalla teoria.
Ma chi contesta le loro idee? Liberi professionisti che pur di non aggiornarsi e non mettersi sul libero mercato preferiscono ridursi ad essere repressi impiegati statali che difendono il “lavorare il meno possibile” e lo stipendio fisso, burocrati che si definiscono educatori e invece sono solo dei tecnici – ormai - poco specializzati, ammaestratori di cani, che sbraitano dalla cattedra. Ma davvero gli insegnanti che criticano le prove esperte hanno tutte queste competenze in didattica e pedagogia?
Competenza, altro concetto interessante! Cosa vuol dire comprendere davvero un testo? Cosa vuol dire risolvere un problema? Nell’Italia fascista, cattolica e comunista dire\ripetere quello che vuole il maestro, riprodurre meccanicamente lo schemino che ha fornito alla lavagna! La conoscenza non deve essere asservita all’economia, d’accordo; ma è veramente giusto continuare a sfornare intellettuali e tecnici, peraltro scadenti, che non riescono a collocarsi nel mondo del lavoro reale?
Insomma, qual è il problema? Che le prove Invalsi sono, in parte, slegate dal mondo reale della scuola e non considerano i problemi reali che i docenti si trovano ad affrontare nelle classi ogni giorno? Giusto! Purtroppo è così: le prove Invalsi per molti versi sono una richiesta di andare a caccia di cinghiali con la fionda! Ma è per questo che sono invise ai prof.? No, è perché sono lavoro in più senza retribuzione, un controllo di qualità non gradito.
Altri due aspetti.
1. All’Invalsi giungono i codici degli alunni, senza nome: questa è l’anonimità dei test. E’ la scuola che abbina nomi e codici e sarebbe compito della scuola non adoperare impropriamente e scorrettamente quei dati: ma la verità che una volta corrette, le prove sono un voto in più da mettere a registro cioè una prova in meno da somministrare per i prof., quindi addio anonimità.
2. Boicottare le prove. Un alunno non può bere un sorso d’acqua in classe senza il permesso del docente, e se lo fa annotazioni sul registro e giorni e giorni di punizioni. Ma sottrarsi a un compito imposto dal Ministero, distruggere atti pubblici, falsare delle prove ministeriali davanti agli occhi del pubblico funzionario pagato per far sì che l’alunno svolga proprio quel preciso compito, beh, questo sì è permesso. Anzi è giusto. E in nome di quale principio? Che l’alunno fa il lavoro sporco per il docente, fa quello che l’impiegatuccio non ha il coraggio e la possibilità di fare personalmente: ribellarsi a un sistema che funziona male, ma che non può aggiustare perché è proprio nella melma prodotta da sua disfunzione che lui sopravvive.
Giuseppe Verde
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