Maniaghese, non basta il vento a pulire l’aria
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- Pubblicato Mercoledì, 19 Giugno 2013 08:52
- Scritto da Paola Dalle Molle
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Pordenone - Provincia di Pordenone, distretto nord. Per arrivarci si percorre una strada statale dritta e veloce, dove sfrecciano le auto fra campi e coltivazioni. Un nastro di asfalto: ventisette chilometri dal capoluogo fino alla pedemontana. Una piccola distanza anche per il vento, o meglio, per ciò che porta il vento. Il territorio maniaghese è conosciuto ovunque per le sue eccellenze: dalla storica industria delle lame e dei coltelli alla bellezza della natura. E’meno noto, invece, per le emergenze ambientali, le preoccupazioni dei cittadini contro l’inquinamento delle industrie o per la lotta quotidiana della gente contro i fumi, gli odori nauseabondi, i fanghi sui campi.
Infatti, a ridosso dei monti, tra la vegetazione rigogliosa e i filari ordinati, si apre un vasto insediamento industriale che sembra dormire pacifico sotto quella corona di monti protetta dai venti. Maniago, Fanna, Arba, Vajont, Cavasso Nuovo sono solo alcuni dei comuni coinvolti da anni in un dibattito ambientale sostenuto dagli stessi abitanti che denunciano insieme ad alcuni comitati, una ferita profonda del territorio.
Sotto processo, alcuni insediamenti industriali del luogo potenzialmente rischiosi che, pur portando la tanto attesa occupazione, aprono interrogativi sulla qualità dei benefici. Un dibattito che spesso ha assunto i connotati di una vera e propria battaglia ambientalista alle porte di Pordenone. In prima linea, i Comitati per l’ambiente, portavoci della teoria secondo la quale il maniaghese è ormai “territorio di conquista” per le attività industriali insalubri.
A preoccupare, alcune aziende per il trattamento dei rifiuti, a causa delle emissioni di fumi spesso maleodoranti. Alcune di esse, sono addirittura a un passo dal sito protetto SIC magredi del Cellina e all’interno dell’IBA (International Bird Area). Poco lontano, nella frazione di Campagna, un’altra zona da tempo nell’occhio del ciclone per la protesta ambientale, i residenti segnalano tracce ben avvertibili di altre anomalie: odori maleodoranti, strane polveri depositate sulle foglie, fumi densi e puzzolenti, liquami industriali sparsi nei campi. Si parla molto dei rischi, veri o presunti, correlati a certe aziende come fonderie e cementifici.
Ad esempio, nel comune di Fanna, la vicenda parte da lontano, da quando l’amministrazione rilasciò la licenza per la costruzione di una cementeria che allora - si dice secondo le notizie che vennero fatte circolare - fu passata per la nascita di una azienda agricola, per l’esattezza, di una fabbrica di confetture. E non senza ragione. Fanna infatti, è nota da sempre per il suo territorio adatto alla coltivazione delle mele.
L’azienda si costituì il 9 settembre 1969 individuando la sua cava nella zona del monte San Lorenzo. Allora come oggi, un impianto di produzione di cemento faceva paura a tutti. Le emissioni di inquinanti danno pensiero anche a chi non è avvezzo alle battaglie ambientaliste. Le portate di un cementificio sono molto più elevate di quelle di un inceneritore che, non a caso, è classificato come industria insalubre di prima classe. Nel tempo, le preoccupazioni degli abitanti sono aumentate quando il cementificio è intervenuto con un progetto rivolto al recupero di energia proveniente dai rifiuti al posto del carbon coke.
E’ancora vivo tra la popolazione il ricordo della polemica legata alla diossina, ritrovata in concentrazioni elevate rispetto al consentito in un pollo del quale si disse - dopo alcuni controlli - che fosse stato vittima non dei veleni, ma di un’indigestione di leccornie avanzate da un barbecue. I livelli di diossina in provincia di Pordenone, da studio INEMAR Arpa del 2007, per il 70 % circa arrivano dalla zona industriale di Maniago. Il dibattito poi, si accende quando si parla del famoso asilo all’interno del Nip ( Nucleo Industrializzato Provincia di Pordenone) di Maniago che ospita una sessantina di stabilimenti, alcuni dei quali operanti nel settore chimico e sei fonderie.
A pochi metri di distanza, sorge la più grande discarica per rifiuti attiva in Friuli Venezia Giulia. In mezzo, tra altalene e scivoli, decine di bambini, ma anche famiglie con le loro abitazioni. Il tempo passa ma il vento, oggi, non è sufficiente a fare pulizia. Gli abitanti chiedono uno studio epidemiologico che verifichi i timori rispetto all’aumento di gravi patologie, oltre a un biomonitoraggio sulle matrici viventi e il latte materno. Per garantire la salute dei cittadini e perché il vento torni a portare l’odore di montagna.
Paola Dalle Molle