La buona scuola del governo Renzi: buona per gli industriali
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- Categoria: Scuola ed educazione
- Pubblicato Venerdì, 28 Novembre 2014 15:45
- Scritto da Roberto Calogiuri
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TRIESTE - C’è un filo, sottile ma solido, che collega il bisogno di supremazia economica degli USA con la rivalsa sull’Europa. Il Trattato Transatlantico sul commercio e gli investimenti ne è la prova. E c’è un filo che collega la risposta economica che l’Europa è chiamata a dare, con la scuola: se l’Europa vorrà essere competitiva sul mercato mondiale, e rispetto agli USA, dovrà mettere in atto le strategie economiche elaborate dalla Tavola Rotonda Europea degli Industriali, ossia considerare la scuola come un “settore strategico”.
La dinamica è semplice: se la scuola dovrà essere il motore della crescita economica, dovrà essere capace di creare una massa di consumatori che diano impulso ai mercati incrementando le vendite e, nello stesso tempo, di creare una classe di lavoratori docili e assuefatti ai meccanismi della flessibilità e della mobilità: lavoratori che producano molto e costino poco. Lo stesso ordine di motivazioni che orienta il governo alla riforma della Legge sul lavoro: svalutare il lavoro visto che non si può svalutare la moneta.
Non è sfuggito agli industriali che la scuola è il luogo in cui passano TUTTI i futuri cittadini e dove tutti gli adolescenti possono essere educati alla libertà critica e all’autonomia di giudizio oppure, viceversa, essere condizionati ad assumere gli atteggiamenti conformisti dei potenziali consumatori.
Negli USA questo è un dato risaputo: la Lehman Brothers, fin dal 1997, suggerì agli imprenditori statunitensi di investire nella scuola, di rendere il sistema scolastico redditizio diminuendo il numero di insegnanti, aumentando il numero di alunni per classe e assumendo non abilitati perchè costano meno. Insomma: rendere la scuola un settore industriale competitivo rispetto alla spesa che serve a mantenerlo.
A esempio, Channel One, la rete televisiva che forniva programmi e tecnologia multimediale, produceva anche un programma didattico di venti minuti, dedicato agli alunni, in cui la pubblicità di due minuti veniva venduta alle multinazionali per 800 mila dollari. E infatti, già nel 1955 Milton Friedman, il teorico del liberismo, indicò che le scuole sarebbero state più efficienti se sottoposte alle leggi di mercato e della concorrenza con l'autonomia.
Questo è il motivo per cui con il trattato di Maastricht l’Unione Europea, pressata e ispirata dagli industriali europei, ha iniziato ad avere competenza in materia di istruzione. E questo è il motivo per cui il governo Renzi ha varato il progetto della “Buona scuola”: portare i privati nella scuola e far confluire il meccanismo dell’istruzione italiana nell’ambito della produttività aziendale, suggellando il processo con l’introduzione dei test INVALSI. Perché la scuola italiana, così com’è, costa ancora troppo. E la meritocrazia diviene il pretesto per tagliare le già magre risorse.
Di fronte a questa eventualità, le risposte e le critiche alla “Buona Scuola” sono state numerose e roventi (qui il collegamento ai nostri servizi). Dopo due mesi di consultazioni on-line e più di duemila incontri (tra hackaton, co-design jams, barcamp e world cafè come vuole il lessico inaugurato dal premier) ci si ritrova al punto di partenza: il governo dice che è stato un successo senza precedenti, e l’opposizione sostiene trattatarsi di un fallimento con una magra percentuale di partecipazione e di accessi.
Qualcuno avanza l’ipotesi che, più di un’autentica disposizione all’ascolto della base, si tratti di un’operazione di marketing e retorica demagogica, senza effettive ricadute sulle decisioni ministeriali che sembrano, peraltro, già deliberate: in effetti, le mosse del governo spingono in questa direzione.
Per esempio, è di oggi la notizia che nel questionario di autovalutazione che le scuole dovranno presentare dall’anno prossimo, una delle voci decisive saranno i risultati del test INVALSI, vale a dire uno dei principali strumenti orientati a destrutturare la scuola odierna per adattarla alle esigenze imprenditoriali (qui il nostro servizio sull’argomento).
Occorre ricordare, tra l’altro, che le prove Invalsi sono eclusivamente scritte e non prevedono alcuna verifica orale che, d’altro canto, sarebbe troppo dispendiosa.
In sostanza, la “Buona Scuola” proposta dal governo sarà fondata su competenza, metodi e saper fare invece che su conoscenza, contenuti e sapere. In pratica la scuola non sarà più il luogo della cultura, della mediazione, della cooperazione o della trasmissione della memoria collettiva. Sarà, invece, il luogo della competizione, del consumo e della rapidità.
Per rendersene conto, è sufficiente leggere le 136 pagine del progetto. Qui manca ogni accenno alla didattica, alla pedagogia e al diritto allo studio. Manca ogni aggancio alla Costituzione repubblicana e ai concetti di uguaglianza e di accesso all’educazione statale. Sembra passato inosservato il fatto che nel titolo del ministero dell’Istruzione sia scomparso, già da molto tempo, il termine “Pubblica”.
Il fine principale, e unica intenzione concreta e dichiarata, è la compressione dei salari con la limitazione della spesa, la modifica dello statuto giuridico dei docenti, l’introduzione della competizione tra insegnanti, della mobilità territoriale, della flessibilità delle mansioni. E poi l’introduzione della tecnologia e delle imprese. Tutti i docenti sono destinati a competere tra loro, a guadagnare meno e produrre di più. Solo i dirigenti, ossia i presidi, non subiranno decurtazioni dello stipendio.
Il meccanismo meritocratico che organizza la progressione di carriera dei docenti, come quasi tutti i sindacati hanno provato con calcoli e proiezioni, in realtà porta la categorie ancora più indietro rispetto le medie europee ed è uno specchietto per le allodole, per tutti coloro che credono al mito dell’”insegnante fannullone” e ritengono che 60 euro al mese siano sufficienti a riformare la classe insegnante e motivarla a produrre impegno, dedizione e rinnovamento.
Il fine principale, come vogliono la logica neoliberista e gli interessi di mercato che guidano le scelte finanziarie europee, è quello di deprimere la massa dei lavoratori e fidelizzare, gratificandola, l’élite dei dirigenti. D’altro canto, un rapporto OCSE del 1996 già auspicava che gli insegnanti fossero ridotti al semplice rango di “prestatori di servizi educativi”. E, di conseguenza, le scuole diventeranno un luogo di controllo sociale ed economico.
[Roberto Calogiuri]
A scuola di libertà: a novembre le scuole imparano a conoscere la realtà del carcere
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- Pubblicato Domenica, 16 Novembre 2014 21:35
- Scritto da Chiara Obit
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FVG - La scuola e il Carcere, due mondi che nel mese di novembre avranno l’occasione di conoscersi e confrontarsi per riflettere insieme sul sottile confine fra trasgressione e illegalità, sui comportamenti a rischio, sulla violenza che si nasconde dentro ognuno di noi.
Per il secondo anno anche alcune scuole della nostra Regione aderiranno all’iniziativa proposta dalla Conferenza Regionale Volontariato Giustizia del Friuli Venezia Giulia, che ha aderito al progetto proposto su scala nazionale.
Lo scopo che la Conferenza si prefigge è quello di promuovere un modello di vera “sicurezza sociale” basato sulla solidarietà, la prevenzione, la responsabilizzazione, attraverso lo scambio di esperienze, le testimonianze di persone detenute e di chi si occupa di questi temi e il confronto con i giovani (soggetti protagonisti di futuri cambiamenti culturali), ma anche con gli adulti, genitori, insegnanti e chi ha voglia di capire più che di giudicare.
È una iniziativa che, se da un lato concorre ad “abbattere” le barriere culturali ed emotive che fanno del carcere un mondo a sé, per altro verso incide sul processo formativo degli adolescenti “aprendo loro gli occhi” su cosa significhi violare le leggi e subire la conseguente punizione, ma anche quanto sia faticoso il ritorno alla vita libera, il reinserimento sociale.
Numerose sono le scuole della nostra Regione che partecipano all’iniziativa: gli Istituti Cankar e Gregorcic di Gorizia, gli Istituti Einaudi e Marconi di Staranzano, l’Istituto Stringher di Udine, l’ENAIP di Pasian di Prato, il CIVI.FORM di Cividale del Friuli, l’Istituto Kennedy e il Grigoletti di Pordenone. Anche altri Istituti della Provincia di Trieste aderiranno al progetto nel corso dell’anno scolastico.
Negli incontri gli studenti incontreranno volontari che operano nei carceri della regione, gli operatori, i rappresentanti delle Istituzioni e in alcuni casi anche i detenuti, i Garanti dei detenuti e i Cappellani.
Si cercherà di fare capire ai ragazzi che l’esperienza del carcere riguarda persone con percorsi di vita spesso del tutto simili ai loro, ma che ad un certo punto hanno deragliato, senza che fossero in grado di chiedere aiuto o di pensarci prima.
Attraverso le testimonianze di queste persone, contenute in un DVD che verrà proiettato nel corso degli incontri, gli studenti sono invitati a pensare ai possibili comportamenti loro o dei loro amici che li espongono a rischi, come l’uso di sostanze o la guida in stato di ebbrezza. Si tratta di un allenamento “a pensarci prima” attraverso il confronto con chi è finito in carcere per non averlo saputo fare.
Chiara Obit
Conferenza Volontariato Giustizia
Al Percoto l'incontro scuola-carceri per gli studenti delle superiori
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- Pubblicato Venerdì, 14 Novembre 2014 12:11
- Scritto da Timothy Dissegna
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Udine - Si è svolto nella mattinata del 13 novembre, nel corso della seconda giornata nazionale di dialogo tra scuola e istituzioni sul tema della vita carceraria, l'incontro "A scuola di libertà" ospitato nella sede centrale dell'Istituto "Caterina Percoto" di Udine.
Organizzato dall' "Associazione volontari penitenziari ONLUS Speranza", l'evento ha visto la partecipazione di sei scuole superiori udinesi: i licei Percorto, Uccellis, Sello e Martinelli e l'istituto alberghiero Stringher.
Tanto l'interesse per la giornata, visti anche gli ospiti presenti sul palco: Enrico Ponta e Maurizio Battitusta per l'associazione; la Direttrice Scolastica del Sello, Rossella Rizzatto; la casa circondariale di Udine con il Magistrato di sorveglianza, dott.ssa Mariangela Cunial, e la direttrice, dott.ssa Irene Iannucci; il UEBE con la dott.ssa Gremese; e la testimonianza diretta di due detenuti della casa circondariale di Udine, Nicola e Daniel. A presentare l'evento è stata la prof. Iana Mauro, insegnante in carcere.
Dopo i saluti iniziali, la dott.ssa Cunial ha catalizzato l'attenzione dei presenti con una storia-simbolo sulla vita dietro i cancelli di ferro, riguardante proprio un ragazzo che avrebbe potuto essere stato benissimo tra i giovani presenti.
Una storia di "redenzione", alla fine, per chiarire che dal carcere si può rinascere. È difficile ovviamente, e la direttrice Iannucci ha raccontato anche il "rovescio" della medaglia: la triste fine di un ex detenuto, non uscito dal tunnel della droga che l'aveva portato in carcere.
Ecco allora il turno della dott.ssa Viennese, che ha parlato del ruolo che ha il suo ente nei rapporti con i detenuti fin dal 1975, anno in cui è entrata in vigore l'istituzione penitenziaria.
Indagini, colloqui, visite a domicilio dei familiari dei condannati sono all'ordine del giorno e la cosa più interessante viene dalla legge 66 del 2014, detta anche "Mettimi alla prova". In pratica, gli imputati a pene di massimo quattro anni di reclusione possono essere "messi alla prova", per avviare un processo di reinserimento nella società sia esteriore (professionale, istruttivo...) sia interiore (analisi critica del reato compiuto da parte del colpevole).
Toccanti sono state le parole di Nicola, che si è messo a disposizione degli alunni presenti per eventuali domande. E non sono tardate ad arrivare, in tanti hanno posto interrogativi importanti e sentiti, ad esempio su com'è gestito il dolore delle vittime dopo la sentenza definitiva. Una domanda mai banale é arrivata da testimoni e istituzioni, raccogliendo sempre l'applauso del pubblico. Una mattinata diversa per i ragazzi, per "studiare" un valore non traducibile: legalità.
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