La Buona Scuola/2 - Il mercato dei meriti e dei crediti
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- Categoria: Scuola ed educazione
- Pubblicato Mercoledì, 08 Ottobre 2014 09:48
- Scritto da Roberto Calogiuri
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TRIESTE – Il nuovo meccanismo di retribuzione dei docenti previsto da La Buona Scuola (qui il link al servizio che lo descrive: La Buona Scuola/1) muove dall’idea di “ripensare la carriera dei docenti”, dice testualmente il documento. La rivoluzione dovrebbe avvenire agganciando la progressione di carriera – vale a dire i 60€ di aumento al mese dopo tre anni - alla funzione docente.
La funzione docente sarà espressa dai “crediti” che l'insegnante acquisirà in un triennio. Tali crediti sono di tre tipi: “didattico”, “formativo” e “professionale”.
I crediti “didattici” si riferiscono alla qualità dell’insegnamento in classe e alla capacità di migliorare l’apprendimento degli studenti. Il che è già una contraddizione in quanto si vuole osservare e quantificare la qualità che non è una grandezza. Se ciò sarà affidato ai test Invalsi, gli insegnanti diventeranno semplici addestratori ai quiz. In caso contrario, non vi potrà essere valutazione oggettiva dei risultati e gli indicatori del progresso rimarranno soggettivi: ognuno continuerà a essere il giudice di se stesso.
I crediti “formativi” riguardano la formazione, la ricerca e la produzione scientifica che alcuni insegnanti promuoveranno. Ciò comprende il rischio che questi titoli siano acquisiti con una semplice partecipazione a corsi di formazione obbligatoria, e quindi prevalentemente imposta e condizionata dalla finalità dell’aumento stipendiale. Rimane il dubbio sulla bontà di una crescita professionale non dettata da un bisogno spontaneo in una funzione, come quella docente, non riconducibile semplicemente a parametri impiegatizi.
I crediti “professionali”saranno quelli guadagnati nella promozione e sostegno dell’attività ordinaria e/o progettuale.Vale a dire acquisiti da coloro che si assumeranno - senza retribuzione - un mole di lavoro che ora è retribuita. In sostanza, da coloro che acconsentirrano, per un triennio, a svolgere gratuitamente varie attività a favore della scuola.
Tutti i crediti acquisiti saranno conservati in un “portfolio”, una vetrina pubblica, consultabile on-line da genitori, studenti e presidi di altre scuole: il Registro Nazionale dei docenti della scuola.
Quindi il principio teorico su cui si fonda questo sistema è che tutto sia misurabile e automatizzato e che, di conseguenza, questo sia il processo che garantirà la comparsa del migliore docente possibile e l’evidenza dei peggiori.
La “misurazione” di quanto sia il valore - in termini di “crediti” - acquisito da un docente sarà competenza di un “nucleo di valutazione interno” composto, quasi certamente, da docenti della scuola, dirigente scolastico e un ispettore esterno.
È ragionevole immaginare che tale norma di giudizio “tra pari” apra la strada a un mercato di simpatie e antipatie, di favoritismi e opposizioni, quando - a parità di crediti certificati - si dovrà scegliere chi entra nella rosa del 66% e chi vi rimane fuori. Invece di confronto, vi sarà competizione.
La competizione interna, l’antagonismo e la concorrenzialità introdotti da questa regola sono l’opposto della serena cooperazione tra docenti che garantisce un clima propizio all’apprendimento.
Anche in questo caso, le insidie maggiori si nascondono non nei principi ma nel modo in cui tali principi possano essere applicati. In altre parole vi è il rischio che, in un ambiente di selezione così fortemente connotato dalla frequentazione quotidiana, sulla trasparenza e obiettività del giudizio possano prevalere servilismi, rapporti amicali, ostilità o attrazioni di varia origine.
Senza considerare il fatto che il dirigente scolastico vedrebbe aumentata a dismisura la propria influenza sui docenti: egli avrebbe in mano non solo i destini amministrativi del docente ma anche quelli economici.
Viene da interrogarsi, in questi termini, che fine possa fare la libertà di espressione individuale.
E poi, rimane da chiedersi quale sarà il destino che toccherà a quel 33% di docenti giudicati non abbastanza meritevoli dell’aumento, che sarà l'oggetto del prossimo servizio.
2 – continua
[Roberto Calogiuri]
Una banconota per l'Expo: torna il concorso per le scuole della Banca d'Italia
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- Categoria: Scuola ed educazione
- Pubblicato Lunedì, 06 Ottobre 2014 20:20
- Scritto da Redazione Ilfriuliveneziagiulia
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Roma - Dopo il successo della prima edizione, torna il premio per la Scuola "Inventiamo una banconota": l’iniziativa, promossa da Banca d'Italia e Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, con la collaborazione del ministero degli Affari Esteri, nasce per diffondere la cultura economica e finanziaria tra i giovanissimi.
Lo scorso anno per la categoria "primarie" era stata premiata la scuola Domenico Savio di Fagagna, in provincia di Udine (nella foto Bankitalia).
Anche quest'anno gli studenti delle scuole italiane in territorio nazionale e all'estero, statali e paritarie, sono invitati a ideare il bozzetto di una banconota "immaginaria" celebrativa dell'EXPO 2015, il cui tema è "Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita".
Si intende così collegare l'educazione finanziaria alle tematiche sociali e culturali dell'alimentazione, dell'ambiente, della crescita sostenibile, della cooperazione per lo sviluppo.
Le iscrizioni si potranno effettuare entro il 31 dicembre 2014. Gli elaborati dovranno pervenire entro il 2 marzo 2015.
Le tre classi vincitrici (una per la scuola primaria, una per la scuola secondaria di primo grado e una per la scuola secondaria di secondo grado) saranno premiate presso il Servizio Banconote della Banca d'Italia in Roma: riceveranno la stampa della banconota realizzata con il loro bozzetto e un assegno di diecimila euro per il finanziamento della propria scuola. Potranno visitare la Stamperia e vedere con i propri occhi come si stampano gli Euro.
Il bando completo del concorso è disponibile su https://premioscuola.bancaditalia.it
La Buona Scuola/1 – Non è tutto oro quel che riluce
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- Categoria: Scuola ed educazione
- Pubblicato Sabato, 04 Ottobre 2014 22:36
- Scritto da Roberto Calogiuri
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TRIESTE – È difficile, al momento attuale, riuscire a rendersi conto dei cambiamenti cui la nostra società è sottoposta. Troppi rivolgimenti e in troppi settori della vita. Ma, per quanto riguarda la scuola, la situazione ha un aspetto anomalo.
A prima vista, il documento “La Buona Scuola” si propone – o almeno tenta - di fare chiarezza e di fare progredire una condizione che da tempo immemorabile si trascina senza che i governi riescano a dare una sistemazione organica definitiva e soddisfacente per studenti, docenti, personale ATA e genitori.
136 pagine, dunque, per chiudere una questione drammaticamente aperta, per rimettere in piedi un’istituzione che investe interessi economici, sociali e politici ormai non soltanto nazionali ma che ha risvolti, come dimostra l’introduzione forzata del test Invalsi nelle scuole (qui il collegamento al servizio), anche europei.
136 pagine che rinchiudono un progetto talmente vasto e articolato da apparire persino insufficienti rispetto alla mole dell’obiettivo fissato. A maggior ragione perché, come dicono gli stessi estensori, questo documento è il frutto di un lavoro durato neanche due mesi. Due mesi sono pochi, a meno che non si prenda per buona la dichiarazione dell’on. Gelmini che rivendica la maternità delle linee guida dell’operazione.
In ogni caso, vi sono troppi argomenti per essere analizzati in una sola riflessione. Perciò, in questa prima puntata, si potrebbe iniziare, per esempio, con il tasto dolente della retribuzione dei docenti che, come è noto e come tutti i ministri sottolineano, è tra le più basse d’Europa ma per buona parte dell’opinione pubblica è fin troppo alta. Perciò è tra i punti forti del progetto “La Buona Scuola”.
Il nuovo meccanismo, infatti, prevede un aumento di 60 € mensili (che “sembrano”essere netti) ogni tre anni. Ma di questo aumento beneficerà il 66% dei docenti, a condizione che questi osservino alcune procedure per acquisire “crediti” (il che occuperà una riflessione a parte), e così per ogni triennio successivo.
Nell’ipotesi migliore in cui un docente riesca ad acquisire crediti durante ogni triennio della sua carriera, egli avrà un numero massimo di 12 scatti triennali per un totale di 720 €. Questo accadrà dopo 36 anni di servizio.
In sostanza, molto meno di quanto prevede la progressione di carriera attuale con gli scatti che premiano l’anzianità professionale. Lo stato risparmia perché da questo dispositivo rimane fuori il 33% di docenti che, se volesse ottenere per sé l’aumento di 60 €, dovrebbero sottrarre ad altrettanti colleghi la possibilità di raggiungerlo.
In questo modo il governo porterebbe la scuola pubblica entro il meccanismo del “premio di produzione”, ossia entro un profilo di tipo privato. Inoltre otterrebbe una serie di vantaggi a danno dei docenti: risparmiare sulla retribuzione degli insegnanti, che rimarrebbe quindi ampiamente di sotto alla media europea. Quindi rallentare la progressione di carriera: per esempio, un docente cui spetti lo scatto a settembre 2016 (circa 140 €) e che attende dal 2009, non lo otterrà mai. Potrà solo aspirare allo scatto dei 60 € ma solo dal 2018. Ciò vuol dire che per nove anni il suo stipendio rimarrà fermo senza che possa mai più recuperare la perdita.
E di conseguenza tutto ciò creerebbe un sistema concorrenziale e un clima competitivo molto forte all’interno di un sistema, come quello scolastico, il cui buon funzionamento si fonda in gran parte sulla collaborazione e l’interazione armonica tra colleghi.
Si aggiunga che il documento – per giustificare questa manovra - fornisce i dati stipendiali attuali sul personale della scuola che riportano cifre mai percepite effettivamente da alcun docente. Dati che sono perlomeno ingannevoli: infatti le tabelle che riportano le posizioni economiche dei docenti hanno un asterisco in basso a destra che precisa: “I compensi riportati sono lordo Stato”.
Ma pochi sanno che il “lordo Stato” – detto anche “onnicomprensivo” - è il costo totale del dipendente, vale a dire l'ammontare del “lordo dipendente” (che è quello riportato sul CUD) sommato a tutti i contributi che sono a carico dell’amministrazione o del datore di lavoro (grossomodo il 30% del lordo dipendente).
Nello stesso tempo nella “Buona Scuola” si dimentica di precisare che il potere d’acquisto degli stipendi della pubblica amministrazione ha subito una forte svalutazione anche per effetto del blocco degli stipendi. E che, come si nota nel prospetto in basso, tutti gli stipendi del comparto scuola hanno subito un regresso tra il 29% e il 33%, eccetto quelli dei dirigenti scolastici, ovvero i presidi, che hanno un trattamento economico non intaccato dall’inflazione e, in miusura minore dei direttori dei servizi amministrativi.
Evidentemente il governo vuole tenere dalla propria parte l’ultimo anello della catena gerarchica che, per resistere, dovrà essere sempre più fidelizzato con uno stipendio alto e motivato nell’applicazione delle indicazioni contenute in questo progetto. Perché principalmente ai presidi spetterebbe la scelta di quel 66% di docenti meritevoli dell’aumento
1 – continua
[Roberto Calogiuri]
(In basso: tabella retributiva. Fonte cespbo.it)
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