Una spystory al tempo della Guerra Fredda che parla il linguaggio di oggi
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- Pubblicato Giovedì, 07 Gennaio 2016 12:14
- Scritto da Timothy Dissegna
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Il tema della giustizia è uno di quelli così complessi che se parla da secoli: da Beccaria ai giorni nostri, infatti, ognuno ha detto la propria su come si dovrebbe o meno difendere e punire gli imputati a un processo. Al cinema lo ha fatto anche Steven Spielberg, con il suo ultimo film “Il ponte delle spie”, che porta la discussione, per poi ampliarne gli orizzonti, in piena Guerra Fredda.
Negli Stati Uniti della fine anni '50 e inizio '60, Rudolf Abel (interpretato da Mark Rylance) viene arrestato con l'accusa di essere una spia sovietica. Già condannato dalla stampa e dall'opinione pubblica ancora prima di arrivare in tribunale, la sua difesa viene affidata all'avvocato Donovan (Tom Hanks): i limiti che troverà nell'esercitare il suo lavoro saranno subito chiari, con l'intenzione comune non di scagionare l'imputato ma di mostrare a tutti che ha avuto un giusto processo.
Salvato dalla sedia elettrica e condannato a 30 anni di carcere, Abel diventerà così l'oggetto di una trattativa internazionale: il suo rilascio in cambio di quello di un militare dell'aerazione statunitense, catturato in territorio russo dopo essere precipitato con il proprio veivolo in missione. A condurre le trattative sarà lo stesso Donovan, inviato a Berlino Est nello stesso periodo in cui il celebre Muro viene innalzato per dividere la città. Dall'altra parte, per conto dell'URSS e della DDR, personaggi piuttosti ambigui faranno l'interesse dei propri Paesi.
Tratto da una storia vera, il ché supera ogni possibile fantasia molto spesso, il film è mirabilmente diretto da un maestro del genere storico com'è Spielberg. E l'intepretazione di Hanks è suggestiva, perfetta nel dare consistenza a un fedele servitore della Costituzione degli USA, anche se ciò lo porta a difendere un nemico della Nazione e a essere odiato da tutti. Un tipico eroe da celebrare postumo, insomma, se si somma il fatto che sarà poi chiamato a seguire altre trattative diplomatiche in futuro per conto di Washington.
Ma un genere simile, con una trama già scritta per definizione, lascia comune molti margini al regista, densi di significati: si può quindi leggere lo sforzo dell'avvocato statunitense nel far valere la legge come un elogio delle leggi liberali, che difendono i diritti e quantaltro, contro l'oppressione anche dentro le aule di tribunale del “cattivo e sporco” comunismo. Ed è interessante notare com'è accentuata la differenza di età tra i due detenuti oggetti dello scambio: l'anziana spia russa impassibile, che non dichiarerà mai di essere una spia, e il giovane soldato timoroso e in qualche modo “vigliacco”, perché non si suicida anziché diventare prigioniero.
Il cinema di Spielberg, così come la Storia, è senz'altro complesso e affascinante. Ancora di più è guardare un film ambientato nell'Europa divisa dai muri solidi e ideologici e tentare di fare un paragone con il presente: quelle idee politiche magari non esisteranno più, ma tanti altri muri stanno emergendo prepotentemente. Mentre ci sarebbe bisogno di più gente come Donovan, capace di far incontrare faccia a faccia persone completamente opposte a metà di un ponte, quello appunto di Glienicke tra la parte Ovest ed Est di Berlino: speranze che non hanno età ma invecchiano comunque se non trovano concretezza.
L'odissea di un impiegato statale e altre mille avventure in "Quo vado?"
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- Pubblicato Lunedì, 04 Gennaio 2016 10:43
- Scritto da Timothy Dissegna
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Girare un film sul posto di lavoro fisso, oggigiorno, potrebbe apparire come una bella impresa per un regista di fantascienza italiano. Ma perfino dalla cosa attualmente più ricercata, e molto spesso poco trovata, in Italia possono nascere le risate: ecco quindi che il comico Checco Zalone ha dedicato proprio a lui il suo ultimo film, “Quo vado?” diretto da Gennaro Nunziate, uscito nelle sale a Capodanno.
Esilarante e satirico, l'attore pugliese ha portato sul grande schermo la corsa senza freni di un impiegato statale per mantenere la propria busta paga. Tutto inizia con l'annuncio dell'eliminazione delle Province: all'improvviso, la stabilità che Checco ha da tutta la vita, lavorandovi all'interno, si incrina pericolosamente. E inizia così un valzer di altri impieghi nelle zone più disparate d'Italia che potrebbe essere l'incipit di un incubo.
Ma non per il protagonista, che invece sfrutta ogni trasferimento come una vacanza, adattandosi alla perfezione a ogni nuovo luogo in cui arriva. Quando però la furiosa Dottoressa Sironi (Sonia Bergamasco) decide di spedirlo in una stazione di ricerca scientifica italiana al Polo Nord, per fargli firmare le dimissioni, tutto sembra finito. Fino a quando non incontrerà Valeria (Eleonora Giovanardi), ricercatrice amante della natura destinata a fare breccia nel cuore di Checco.
Sarà quindi l'amore la soluzione del film? La storia, raccontata dallo stesso Zalone in un lungo flashback di odisseica memoria davanti a degli indigeni africani, sarà ancora lunga e vedrà porsi di fronte i due interrogativi più ardui nella vita del protagonista: rinunciare al posto fisso per seguire l'amore o rimanere legati sempre e comunque, a qualsiasi costo, alla “sacralità” di un lavoro retribuito dallo Stato? Dilemmi che nemmeno Shakespeare avrebbe avuto il coraggio di sottoporre al suo Amleto.
Ironia a parte, quest'opera di Zalone è un tripudio di risate, condite come suo solito da una buona fetta di luoghi comuni sull'italiano medio e da una non indifferente porzione di satira nei confronti della Prima Repubblica, l'artefice del benessere per migliaia di persone che hanno fatto la bella vita con un impiego pubblico. E a simbolo di questa c'è Lino Banfi, nei panni di un politico dei tempi che furono che fa da “grillo parlante” al protagonista, difendendo ogni volta il posto fisso.
L'irriverenza sfrenata dell'attore pugliese, che ha anche firmato la colonna sonora del film, ha trascinato per l'ennesima volta il pubblico al cinema, complice anche l'essere uscito in piene festività natalizie. E, a suo modo, “Quo vado?” è un film di denuncia: verso quei vizi che hanno fatto dell'Italia della Prima Repubblica uno Stato di sprechi, con pensioni letteralmente regalate a chi aveva lavorato per un tempo ridicolo, mentre oggi si mettono le toppe alla bene e meglio. Nessuna accusa esplicita arriva dal film, ma la canzone “La Prima Repubblica” è eloquente.
Il record d'incassi appare di nuovo come un traguardo superabile, ma bisogna guardare oltre in questo film: le risate dovrebbero far spazio a domande del tipo “ma questo Paese dove l'ho già visto? Ah, già, è l'Italia!”. Forse solo capendo che dietro a tanta ironia si nasconde l'amarezza di un presente da cambiare si potrà iniziare a fare qualcosa. Per non tornare a vedere il posto fisso come un evento straordinario da raccontare al cinema.
La filosofia secondo Woody Allen nel suo enigmatico "Irrational Man"
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- Pubblicato Mercoledì, 30 Dicembre 2015 12:54
- Scritto da Timothy Dissegna
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La filosofia è cosa del secolo scorso, si dice. In effetti, la figura del grande pensatore oggi è sempre più ignorata, preferendo concetti ben più concreti alla mera speculazione intellettuale che per secoli ha riempito le pagine di libri e oggi “tormenta” gli studenti. E parlare di tutto ciò con un giovane d'oggi non produrrebbe quasi sicuramente reazioni positive.
Se lo fa Woody Allen, però, tutto diventa più facile e affascinante. Perché il suo ultimo film, “Irrational man” uscito da poco nelle sale italiane, usa proprio i grandi concetti filosofici da Kant fino agli Esistenzialisti del '900 per portare in scena una commedia dalle tinte noir, come ci ha già abituato il grande regista americano. Senza rinunciare al sorriso, seppur amaro.
Abe Lucas (Joaquin Phoenix) è un professore di Filosofia celebre per le sue idee e per il fascino che esercita sulle sue studentesse. Quando si trasferisce al college Brailyn, tutta la scuola è in subbuglio per il suo arrivo: curiosissima di seguire le sue lezioni è la giovane Jill Pollard (Emma Stone), che guarda con interesse quest'uomo di cui tanto si parla. Sarà questione di poco prima che lui stesso la noti, dando vita a un rapporto docente-allievo sempre sul limite del coinvolgimento sentimentale.
La vita scorre monotona per Abe, fino a quando una conversazione origliata per caso in un bar non gli accende qualcosa dentro: da lì in poi avrà un obiettivo che gli farà guardare la vita con occhi nuovi mentre, paradossalmente, escogita la morte. E sempre più velocemente il suo piano prende forma, come un vortice in ascesa, tanto perfetto da non essere impeccabile però, alla fine.
E in tutto ciò l'amore per il sapere dove sta? Non solo nei discorsi tra la Stone e Lucas, quest'ultimo strepitoso nel suo cinismo, ma nello scheletro stesso del film: ogni gesto diventa la proiezione reale di quella che lo stesso professore non si fa scrupolo, nella sua prima lezione, a definire “masturbazione verbale”. Ed ecco quindi che il pensiero di Heidegger, Sartre e tanti altri diventano lo specchio dei comportamento dei protagonisti.
Allen dimostra ancora una volta il suo amore per l'Europa, con una commedia pronta a sfociare nel thriller in un modo quasi istintivo. Un film che si apprezza anche senza aver seguito chissà che lezioni di filosofia, ma che farebbe la gioia di qualsiasi studente alle prese con il ripasso di temi tipicamente affrontanti in quinta liceo: con l'aggiunta di qualche risata e con il sorriso della Stone che ripaga totalmente il biglietto.
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