• Home
  • Attualità
  • Cronaca
  • Spettacoli
  • Cultura
  • Benessere
  • Magazine
  • Video
  • EN_blog

Gio11212024

Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Inseguire ciò per cui siamo nati: Daria Bignardi racconta a LibrINsieme la sua ultima, piccola storia

Inseguire ciò per cui siamo nati: Daria Bigardi racconta a LibrINsieme la sua ultima, piccola storia

Udine – La sua carriera di successo è iniziata in televisione e lì continua ancora oggi, ma la passione per la scrittura l'ha presa fin da piccola: Daria Bignardi ha esordito con la narrativa nel 2009, dopo tanti anni da giornalista e diversi programmi tv, e qualche settimana fa è uscita di nuovo in libreria con la sua ultima fatica.

Per presentare “Santa degli impossibili”, questo il titolo del romanzo edito da Mondadori, Bignardi è stata quindi ospite ieri pomeriggio alle 16 a LibrINsieme, la prima edizione del salotto del libro di Idea Natale realizzata in collaborazione con Pordenonelegge: è il quarto libro per la ferrarese, che è stata accolta da un pubblico gremito.

“Da bambina volevo fare la scrittrice – ha raccontato l'autrice, intervistata da Valentina Gasparet – perché mi piaceva raccontare il mondo visto dai miei occhi”. E il primo mondo che ha descritto è stato proprio quello familiare, protagonista nel suo esordio; ma era abbastanza reticente dopo il successo televisivo, poiché “avevo un'idea alta dello scrittore”: quando, però, è morta sua madre il libro è arrivato da solo.

La storia di “Santa degli impossibili” inizia in modo molto più semplice: Mila è una donna come tante, che vive la sua vita senza troppi pensieri. Poi, man mano che la storia evolve, le cose si complicano e questa abbandonerà tutto e tutti. Per stessa ammissione della Bignardi, questo libro è speculare al suo “Acustica perfetta”, solo che la scelta dell'uomo questa volta ricade sul genere femminile.

È un romanzo in cui “c'è spazio di manovra per il lettore” ha spiegato Gasparet, nel quale ci si può schierare a favore o contro i protagonisti. E questi, in particolare Mila, cercano quella cosa loro per cui sono nati: come Santa Rita, che ispira il titolo, e che si racconta abbia compiuto un vero miracolo pur di seguire la propria vocazione per la preghiera.

L'incontro si è concluso con la domanda delle domande: come nasce una storia? Il primo passo è l'ispirazione, ha risposto l'ospite, ma poi lo sviluppo della storia diventa un'ossessione. Che si concluderà con una nuova storia che racconta di noi, in pieno stile di Daria Bignardi.

(Foto L'oppure)

Un'Italia che non ha mai dimenticato il fascismo raccontata da Tommaso Cerno a LibrINsieme

Un'Italia che non ha mai dimenticato il fascismo raccontata da Tommaso Cerno a LibrINsieme

Udine – Ieri come oggi, l'Italia non riesce a staccarsi dal suo fantasma fascista: è questo il succo iperconcentrato del discorso del nuovo libro di Tommaso Cerno, direttore del Messaggero Veneto, “A noi!” (Rizzoli). Uscito in questi giorni, è stato presentato ieri pomeriggio alle 17 a LibrINsieme, all'interno di Idea Natale alla Fiera di Udine, davanti a un attentissimo pubblico.

Intervistato da Marco Pacini del Piccolo, quest'ultimo fin da subito ha individuato la doppia tesi del saggio (il popolo italiano è “geneticamente” fascista e il fascismo fu un fenomeno per i nostri vizi) e l'autore l'ha spiegata attraverso numerosi salti avanti e indietro nel tempo. Perché quello che siamo oggi è strettamente legato al ventennio di Mussolini, a partire dal suo stesso sistemaa politico.

Vedere il nostro Paese, infatti, come smacchiato dall'ideologia del fascio è “un errore prospettico”, ha spiegato Cerno: la creazione della repubblica fu allora un meccanismo per scacciare il passato rimanendovi ancora legati. Tant'è che quel modello permise a un singolo partito di governare due volte e mezzo il tempo del Duce e questo fu possibile perché “gli uomini della Prima Repubblica erano più forti di Mussolini: hanno creato un sistema più forte del fascismo”, ha continuato il giornalista.

C'è un altro filo rosso che lega i capi politici che si sono susseguiti, da Mussolini a Renzi: nessuno è stato uno statista, ha precisato l'ospite, se non riconosciuto come tale post-mortem in un'aurea di sacralità (De Gasperi) o per la sua fine violenta (Berlinguer). La differenza tra capo e statista è facile: il primo porta il popolo nella mani di un altro politico, l'altro nel futuro. E quest'ultima cosa fu possibile solo grazie alla guerra.

Un'altra inquietante assonanza con il presente è la caduta del Duce: tradito dai suoi ex fedelissimi e ingannato perfino dal Re, così come è caduto Prodi per mano della sua stessa coalizione politica. Mentre quella di Berlusconi è diversa: non per gli scandali sessuali, bensì perché quell'Italia della crescita che lui aveva portato non c'era più e gli elettori non potevano più ricevere nulla in cambio da lui.

I discorsi del giornalista, ferventi e chiari nei propri rimandi storici, hanno poi guardato all'incapacità degli italiani di andare oltre il Ventennio. Aprendo quel lucchetto che chiude da decenni il balcone del palazzo di piazza Venezia, quello da cui il Duce si affacciava: i politici non fanno altro che consegnarsi l'un l'altro quelle chiavi, perché altrimenti capiremmo subito che non abbiamo mai fatto veramente i conti con quel periodo. E su ciò, ha continuato Cerno, “pesa l'assenza di una Norimberga italiana”.

Nelle ultime battute di quella che non è stata solo una presentazione ma una vera e propria lezione di Storia, trova spazio anche gli estremisti delle destre attuali. Ma per il direttore “Salvini non è un estremista”, venendo infatti dalle correnti più miti della Lega Nord: si capisce dove sta per ciò che indossa, come le felpe con il nome della città, anziché da un preciso linguaggio com'era per Bossi.

“A noi!” potrebbe essere veramente un bel regalo da far trovare sotto l'albero, ma ancora di più dovrebbe essere l'inizio di una nuova fase per tutto il Paese: capire finalmente cosa si nasconde dietro i comportamenti nostri e della politica è l'unica via per poter affrontare il presente. Senza il controllo indiscriminato di “anti-fascisti fascistodi”, Cerno docet.

(Foto Messaggero Veneto)

Vittorio Sgarbi e Boris Pahor alla LEG per raccontare la profezia dell'arte

Sgarbi e Pahor alla LEG per raccontare la profezia dell'arte

Gorizia – Dalla sua lectio magistralis a èStoria a un libro, edito dalla Libreria Editrice Goriziana: l'intervento del celebre critico Vittorio Sgarbi nel 2012 sulla valenza profetica dell'arte è stato trasportato sulla cartcon il titolo “Arte e profezia”,  dopo il successo che aveva ottenuto in quell'edizione del festival.

A presentare l'opera, curata da Adriano Ossola, direttore artistico di èStoria, è giunto nel capoluogo isontino il discusso intellettuale natio di Ferrara nella mattina di domenica 29 novembre. Con lui, di fronte a una LEG in Corso Verdi gremita dal pubblico, c'era lo scrittore italo-sloveno Boris Pahor e l'amica Tatiana Rojc, intervistatrice per l'occasione.

Il libro, ha chiarito subito Sgarbi (arrivato peraltro con mezz'ora di ritardo), non nasce da una sua idea bensì da Ossola, il quale dopo un lungo “corteggiamento” ha convinto l'autore a firmare la pubblicazione. Da qui una condita e in fondo inutile parentesi sulla controversia per l'editore con la sorella, ex direttrice editoriale alla Bompiani, con cui Sgarbi ha pubblicato diversi volumi, e risolta dopo la sua uscita da questa.

Molto più profondo e interessante il suo discorso sul valore profetico che ha l'arte, da Giotto fino all'inizio di questo terzo millenio, al centro del libro appena pubblicato. Ad ogni inizio secolo, ha spiegato l'ospite, corrispondono dei nomi che segneranno e prevederanno gli scenari futuri: Michelangelo, Caravaggio, Boccioni e altri grandi nomi via dicendo. Tutti nei primi quindici anni, ha continuato.

La visione di Pahor, controparte del critico in questo discorso, è diversa: per lui profetico fu solo Caravaggio, che rappresentò l'uomo come spezzettato e distrutto, ossia il risultato dei campi di concentramento che lui visse in prima persona. L'ammirazione per il pittore catalano non è condivisa dal ferrarese, tutt'altro, ma ha spiegato la diversità di opinioni con lo scrittore con il fatto che lui non ha visto in faccia nessuna guerra: può quindi solo pensare al bello, mentre Pahor è rimasto al male.

Tra i diversi temi toccati dall'incontro, anche quello legato all'arte contemporanea. Che non riguarda l'uomo o non più di tanto, ha spiegato Sgarbi, e per questo non lascia un segno in chi la guarda. E spazio anche alle donne, vere artefici del nuovo “diritto alla creatività” e sostenute strenuamente dal centenario scrittore; il critico d'arte, più giovane ma più vecchio mentalmente (per sua stessa ammissione), auspica ironicamente invece un ministero per la Pari Opportunità per i maschi.

La profonda e stimolante conversazione tra questi due intellettuali ha gettato una nuova luce sull'arte dei grandi maestri, che si è riscoperta voce imprescendibile nonostante i secoli per comprendere l'animo umano. Due punti di vista che si sono completati a vicenda, sperando di riascoltarli insieme nelle prossime edizioni di èStoria.

(Foto di Sconfinare)

Chi siamo

Direttore: Maurizio Pertegato
Capo redattore: Tiziana Melloni
Redazione di Trieste: Serenella Dorigo
Redazione di Udine: Fabiana Dallavalle

Pubblicità

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

Privacy e cookies

Privacy policy e cookies

Questo sito è impostato per consentire l'utilizzo di tutti i cookie al fine di garantire una migliore navigazione. Se si continua a navigare si acconsente automaticamente all'utilizzo. Per comprendere altro sui cookie e scoprire come cancellarli clicca qui.

Accetto i cookie da questo sito.