Prossimamente a Trieste, Saverio Fattori con il suo ultimo libro"12:47 Strage in fabbrica"
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- Pubblicato Domenica, 16 Settembre 2012 11:32
- Scritto da Roberto Calogiuri
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Nel mese di Novembre sarà presente a Trieste Saverio Fattori, autore di "12:47 Strage in fabbrica", per presentare il suo ultimo libro.
Saverio Fattori, oltre a "12:47 Strage in fabbrica", ha pubblicato "Alienazioni padane", "Chi ha ucciso i Talk Talk?" e "Acido lattico", tutti per Gaffi editore. È bolognese, di Molinella. Lavora in una fabbrica. Di sé dice di aver capito tutto del post-fordismo, di correre da sempre e di non andare né forte né piano. Ha scritto svariato racconti e collabora alla rivista Correre.
Alle stragi non si è mai preparati. Di una strage conosciamo sempre il “dopo”, l’ora, il luogo, il numero di morti, nome cognome e faccia del carnefice, l’arma che ha usato. Ma è il “prima” che ci preoccupa, e quindi chiediamo alla scienza di spiegare le motivazioni mentali o ambientali che hanno prodotto il massacro; alla politica e alla religione di fornire il movente. Perché quando si tratta di indagare le ragioni profonde che hanno generato un atto così devastante, allora le certezze vacillano e sentiamo che nessuna teoria può placare le nostre inquietudini. Il mistero rimane. Perché bisognerebbe abitare nella mente dell’assassino per vedere come sia germinata l’idea omicida, si sia annidata nelle pieghe di una ragione distorta, alimentata dal delirio di una realtà alterata, lentamente sia maturata, improvvisamente esplosa. E allora, quello che non può fare la scienza, lo può fare la letteratura. E Saverio Fattori l’ha fatto con “12:47 Strage in fabbrica” (Gaffi, pagg. 199, € 18,00) il quarto romanzo di una tetralogia – iniziata con “Alienazioni padane” del 2004 - articolata sul disagio esistenziale moderno.
A dire la verità, Fattori fa qualcosa di più: ricostituisce una dinamica omicida e l’ambiente che la produce, è come se filmasse attimo per attimo la furia aggressiva del suo anti-eroe in uno scenario industriale: un operaio incatenato alla catena di montaggio. Anzi: un operaio che ha introiettato la catena di montaggio. E lo stile è perfettamente complementare, così rapido, tecnico, asciutto ma anche, quando serve, vivace e brusco nelle immagini con cui descrive una vita emotiva ridotta a riflessi primitivi ed essenziali.
Neanche l’avesse fatto apposta, il romanzo esce proprio all’incrocio fatale delle cronache economiche e sociali che disegnano un mondo sempre più difficile: sempre più tormentato da stabilimenti che chiudono, lavoratori in sofferenza, cittadini stiracchiati tra pil che scende e spread che sale, bombe carta e bombe autentiche. E stragi.
La risposta è semplice e brutale: “Sparerò nel mucchio perché una sola cosa ho capito in ventitré anni di fabbrica” è la dichiarazione - sin dall’inizio della sua parabola – di Ale, l’operaio emiliano alienato dal lavoro in un’azienda che diventa il luogo di un castigo ingiusto. È logorato da una retrocessione inspiegabile che si traduce in degrado morale ed esistenziale e che genera una personalità aspra, spigolosa, (forse antipatica) eppure di un realismo scomodo e scandaloso. Scomodo per Fattori stesso e per quella fabbrica dove egli tutt’oggi lavora, e scandaloso per chi ancora non conosca una realtà simile e non immagini il potenziale sociale esplosivo.
Cosa abbia capito Ale, e cosa lo porti a sfogare la sua rabbia distruttiva sparando sui colleghi nella mensa, è qualcosa che si può capire solo leggendo, vagando nel labirinto della routine aziendale in cui Fattori è più che coinvolgente: sin dall’inizio agguanta il lettore, lo prende per la collottola, lo trascina in un groviglio di follia e disperazione, e poi gli urla in faccia “Eccola, la vita in fabbrica!”, fatta di organigrammi e meccanismi di produzione, dinamiche gerarchiche e miserie piccolo borghesi, turni e ritmi di lavoro in cui l’eroina e un lettore mp3 sono solo un blando lenimento. Nulla servirà a distogliere Ale dal proprio destino, avvelenato da una realtà circostante che diviene sempre più densa, persecutoria, minacciosa e assume il ruolo di coprotagonista più che di sfondo. Perché anche la fabbrica, la “Cattedrale” come la chiama l’autore, diviene il mostro che divora il disgraziato operaio che non sa adattarsi e lo risputa consegnandolo alla giustizia. Immobile e salda, senza subirne il minimo danno apparente. Il ché dovrebbe fare riflettere su una cosa molto semplice: se la fabbrica di Fattori è una metafora del mondo postindustriale, facciamo bene a ignorare anche le più piccole distorsioni di una realtà che richiede attenzione? Imbracciare un’arma e cominciare sparare sembra così facile…
Titolo: 12:47 Strage in fabbrica. Autore: Saverio Fattori. Editore: Gaffi.
[Roberto Calogiuri]
Le antologie degli scrittori del Nordest in un grande progetto delle Edizioni Biblioteca dell'Immagine
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- Categoria: Libri
- Pubblicato Giovedì, 13 Settembre 2012 16:21
- Scritto da Tiziana Melloni
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Pordenone - 2126 pagine raccolte in 11 volumi che raccontano, tramite le pagine più belle, la storia della nostra gente. Ogni curatore ha scelto i poeti e gli scrittori che hanno rappresentato Friuli Venezia Giulia e Veneto dal 1861 ai giorni nostri. Un progetto curato dalle Edizioni Biblioteca dell'Immagine di Pordenone in occasione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia.
Il Friuli Venezia Giulia è stato diretto da Gian Mario Villalta. Il Veneto da Sergio Frigo e Francesco Jori.
La prima presentazione ufficiale è prevista in occasione della popolare rassegna Pordenonelegge, il 22 settembre 2012. A seguire, ogni volume sarà presentato nei capoluoghi.
I volumi saranno accompagnati da un notevole sforzo promozionale nei giornali e nelle televisioni locali in Veneto e Friuli Venezia Giulia e saranno distribuiti, in contemporanea, nei 550 punti vendita del Veneto e del Friuli Venezia Giulia, tra librerie, edicole e centri commerciali.
Lo scrittore russo Nicolai Lilin a "Maniago in giallo" con "Educazione siberiana"
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- Pubblicato Lunedì, 27 Agosto 2012 17:10
- Scritto da Daniela Silvestri
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MANIAGO (PN) - Circa un anno fa ricevetti in regalo da mia figlia il libro “Educazione siberiana” di Nicolai Lilin. Il libro mi appassionò talmente che lo lessi tutto d’un fiato. Grande è stata quindi la sorpresa e l’entusiasmo quando prendendo un volantino di “Maniago in giallo” sono venuta a conoscenza che il 26 agosto il giovane autore russo sarebbe stato ospite alla terza edizione di questa rassegna di mistero e criminologia organizzata dal circolo Eureka, nell’ambito di PordenonePensa.
Nonostante il maltempo, alle 18 il teatro era bello pieno. Sul palco, oltre all’autore, erano presenti anche Francesco Vanin, fondatore della web tv di Pordenone PNbox, che modera l’incontro, e Paolo De Zan che interpreta alcuni dei passi più significativi del libro.
Quello che subito colpisce di Nicolai è la sua immagine. Leggendo il libro mi ero fatta un’idea di un tipo un po’ rude, essendo lui appartenente alla comunità “Urca” siberiana, nella quale leggi feroci si fondono con una profonda religiosità cristiana. Ecco invece che la persona che si presenta sul palco, con le braccia e le mani finemente “ricamate” di tatuaggi, è un ragazzo semplice, dal sorriso disarmante e lo sguardo dolce, simpatico, gentile e molto disponibile.
Inizia raccontando della sua infanzia, descritta nel libro, che, ribadisce più volte, non è autobiografico, ma basato su esperienze personali, ricordi degli anziani, e fatti accaduti ad altri membri. Nato nel 1980 in Transnistria, una striscia di terra tra Moldavia e Ucraina, (la sua gente venne deportata lì dal governo russo, in quanto oppositori al regime di Stalin), ha conosciuto fin da bambino la violenza più estrema.
La sua comunità si definisce di “criminali onesti”, non delinquenti comuni, ma persone costrette, per difendersi dalla sottomissione, a ricorrere alle armi, perché come gli diceva suo nonno, anche Gesù non era per il buonismo assoluto, Gesù è stato il primo rivoluzionario, predicava il rispetto per sé stessi, perché se non si impara a rispettare prima di tutto sé stessi non si potranno rispettare gli altri, lasciarsi sottomettere, schiavizzare vuol dire non rispettare la propria vita, il dono più prezioso e sacro che abbiamo.
Nella comunità Urca vigeva un codice comportamentale che doveva essere rigorosamente seguito, i ruoli dell’uomo e della donna erano equilibrati, le leggi le dettavano gli anziani, mentre ogni donna che fosse madre di famiglia, aveva il potere di far cessare le liti tra le varie famiglie.
Il sentimento religioso era molto forte, un cristianesimo ortodosso con influenze pagane, non facevano uso di parolacce e le bestemmie, era molto sentito il rispetto per le donne incinte, anziani, orfani, invalidi. I ragazzi venivano trattati da adulti, avevano le loro responsabilità e l’incarico di controllare il territorio. Nicolai non amava la violenza, essendo piccolo e magro non riusciva a difendersi con le mani, perciò teneva il coltello, e per evitare di doverlo usare, avvertiva sempre l’avversario.
Ci racconta anche dei due anni come cecchino in Cecenia, in una guerra pianificata a tavolino da Usa e Urss, e pubblicizzata come necessaria, ci fa capire quanto questo abbia lasciato un segno profondo nella sua anima, la cosa più brutta al mondo, dice, è vedere l’abisso nero profondo negli occhi di una madre a cui hai sterminato la famiglia, scene che gli tornano ancora alla mente nei momenti più impensati, mentre si lava i denti o mentre è a cena con gli amici. Di questo parla nel secondo libro “Caduta libera”, mentre nel terzo “Il respiro del buio” affronta il ritorno a casa, alla cosiddetta “normalità”.
Uscirà a ottobre l’ultimo lavoro, corredato anche di immagini, interamente dedicato al tema dei tatuaggi, che ha preso forma in seguito alle numerose richieste dei lettori, alle quali rispondeva con mail lunghe come capitoli di libro. Spiega, dietro insistenza di Vanin, che il significato dei loro tatuaggi è segreto, ogni persona tatuata viene “letta come un libro": ogni nuovo arrivato nella comunità doveva partecipare a una sauna assieme agli anziani i quali così potevano capire che tipo di individuo avevano davanti.
Dopo più di un ora e mezza, l’incontro si chiude per lasciare spazio al dibattito sulla Mala del Brenta, e Nicolai, gentilissimo, si offre al suo pubblico per dediche, autografi e fotografie, ora non resta che aspettare il nuovo libro a ottobre e l’uscita del film “Educazione siberiana” a gennaio, diretto da Gabriele Salvatores, per volontà dello stesso Lilin.
Daniela Silvestri
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