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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

“Miss In Time, Ragazze Italiane”, la bellezza femminile al tempo delle Miss

“Miss In Time, la bellezza femminile al tempo delle Miss

Un piccolo libro, pubblicato in un elegante formato (Volpato editore), “Miss In Time, Ragazze Italiane”, (presentato domenica 23 settembre a Pordenonelegge), ultima “fatica” letteraria del giornalista e critico cinematografico Gian Paolo Polesini è un racconto, che si legge in un fiato, dedicato al mondo della bellezza “made in Italy”, mondo che l’autore conosce bene perché, come scrive Patrizia Mirigliani nella prefazione del libro, “Polesini è uno di quei giornalisti che per quasi nulla al mondo farebbe a meno della finale di Miss Italia. Uno di qui volti, senza la presenza dei quali, noi preferiremmo rinunciare ad assegnare il titolo.” Insomma, verrebbe da dire, uno che è di  casa al concorso più nazional popolare della tivù italiana, quello che negli anni cinquanta faceva sognare milioni di italiani mostrando i corpi morbidi delle Lollo e delle Loren e delle Bosè.

Certo le ragazze 2012, sono ben differenti da chi le ha precedute e Polesini le racconta perfettamente concedendosi uno stile impeccabile e ironico entro un meccanismo narrativo cinematografico dove il tempo la fa da padrone. Lo sguardo dell’attore di teatro, (il giornalista ha calcato le tavole da palcoscenico ben prima di usare  la penna) è ben presente e gli consente di individuare e descrivere i meccanismi del “dietro le quinte”, che poi sono i più interessanti per il lettore. Il tutto scandito da un giro di lancette che inesorabilmente porta alla tanto agognata  e luccicante corona. E alla fine si capisce che il tema del tempo che corre a perdifiato è solo un escamotage, un trucco per far parlare le ragazze che non chiocciano come gallinelle ed hanno le idee piuttosto chiare sulla vita e soprattutto sul loro futuro. Ma è l’occasione, quella che cambia il corso di una vita, la capacità di coglierla grazie all’aiuto della dea bendata, guardata e racconta con occhi disincantati, che  sembra essere, alla fine, la  vera protagonista di questa storia che si apre su splendide gambe femminili ( un omaggio dell'autore a Francois Truffaut) e si chiude con la leggerezza e la sospensione di un racconto perfetto.

Pino Cacucci a Trieste con il suo ultimo libro “Nessuno può portarti un fiore”

Pino Cacucci a Trieste con il suo ultimo libro “Nessuno può portarti un fiore”

Trieste - Pino Cacucci (1955) è sceneggiatore, traduttore, saggista e narratore versatile e fecondo. Ha una profonda passione per il Messico. È, per lo meno, noto ai cinefili per aver ispirato a Gabriele Salvatores il film “Puerto escondido” dal suo romanzo del ’90, ad Alessandro Cappelletti il film “Viva San Isidro” l’anno successivo e per aver partecipato alla sceneggiatura di “Nirvana”.  L’ultimo suo libro, “ Nessuno può portarti un fiore”, (Feltrinelli, pagg.205, €14,00)  è stato presentato a Trieste il 19 settembre scorso presso la sede del gruppo Germinal. Sala gremita, pubblico in piedi, atmosfera informale e accogliente, che si è surriscaldata quando la presentazione è diventata dibattito.

Qualcuno degli intervenuti ha sollevato la questione della moralità in letteratura, rimproverando a Cacucci la mancanza di una direzione etico/didattica. Ma l'autore si è difeso invocando la funzione ricettiva della creazione artistica per la quale ogni opera può essere fruita come meglio può e crede il lettore - che può anche rifiutarsi di leggere - al di là dell’istanza morale.

Per la precisione, il romanzo è un insieme di racconti e ognuno descrive un personaggio di quelli che piacciono a Cacucci: ribelli, anarchici, audaci e anticonvenzionali fino al sacrificio di sé e degli altri, e perciò vittime e carnefici in una società repressiva. E allora, dopo un’attenta collezione delle fonti, Cacucci ci racconta di persone comuni che le coincidenze della storia costringono a gesta distruttive, ma anche all'espiazione e, in alcuni casi, alla redenzione. Presenta la sua galleria di uomini e donne alla maniera romantica, celebrando la loro semplicità o le umili origini, rendendoli attori di altrettante commoventi tragedie che sarebbero rimaste nell’oblio.

E così, dagli interstizi del passato in cui erano relegati, iniziando dal crinale tra ‘800 e ‘900 per arrivare a ridosso dei giorni nostri, si materializzano sette vite sciagurate. Quella di Sante Pollastro, l’amico di Girardengo, il bandito della canzone di De Gregori, spina nel fianco di Benito Mussolini, simbolo della ribellione al fascismo entrante. Poi Edera De Giovanni, fiera e coraggiosa, torturata e fucilata a ventuno anni per essere stata animatrice della resistenza e per aver taciuto i nomi dei suoi compagni. Oppure Sylvia Ageloff, tradita dall’uomo che adorava, “usata nella carne e nello spirito” da colui che finse di amarla per insinuarsi nella cerchia degli amici di Trockij e assassinarlo.  E poi c’è Clément Duval, anarchico rivoluzionario francese, oppositore del nascente capitalismo industriale, processato, condannato a morte e spedito nella Guyana da dove tentò di evadere una ventina di volte, finché vi riuscì 1901. Ancora Antonieta Rivas Mercado, tra le prime suffragette, mecenate di Frida Kahlo, amica di Tina Modotti e Garcia Lorca. È lei la donna a cui nessuno può portare un fiore perché, suicidatasi con una pistolettata al cuore a Parigi, nella cattedrale di Notre-Dame, fu seppellita in una fossa comune. Poi Louis Chabas, proletario ebreo francese, il cui cane sapeva fiutare i “nazi”, che lottò per liberare le Langhe dai tedeschi,  tanto abile nel travestirsi che, camuffato da ufficiale tedesco, fu ucciso da un partigiano che non lo aveva riconosciuto.  E infine Horst Fantazzini, il ladro gentile, rapinatore sì ma rigorosamente con pistole giocattolo, per non cadere nella tentazione di fare del male. Colui che regalò un mazzo di fiori a una cassiera per scusarsi dello spavento inflittole durante una sua rapina. Fantazzini muore nel 2001, proclamandosi innocente fino alla fine, non prima di aver citato a propria difesa la famosa frase di Brecht: “È più criminale fondare una banca che rapinarla”. 

E con lui si conclude il giro di anti-divi anticapitalisti. Sette storie di uomini e donne che hanno lottato, consapevoli oppure no, contro il capitalismo del denaro e dei sentimenti per affermare la loro umanità, ed è giusto che siano ricordati. E non è difficile che accada grazie alla penna di Cacucci, che ancora una volta non disattende quanto Fellini disse di lui: “è un artigiano, un costruttore di trame, di atmosfere e di personaggi”. Di più: è anche prosatore chiaro e lineare, con una lingua semplice e immediata, uno stile diretto e vivace che conquista e penetra fin dalle prime parole. Insomma: uno di quegli scrittori che sanno stare dietro ai propri personaggi, rinunciano all’egotismo per lasciare che  crescano e vivano di vita propria. Così essi diventano inconsapevoli e sfortunati eroi di una mitologia quotidiana e tratteggiano un passato che la storia ha visto, ma la storiografia ufficiale non ha mai raccontato. E questo è un bene o un male?

Pino Cacucci, Nessuno può portarti un fiore, Feltrinelli, pagg.205, €14,00

[Roberto Calogiuri]

 

Il Giappone a Pordenone con una mostra e la presentazione del libro di Italo Bertolasi

Il Giappone a Pordenone con una mostra e la presentazione del libro di Italo Bertolasi

Pordenone - Dal 7 al 30 settembre Pordenone ospita la mostra fotografica sui patrimoni dell’Unesco in Giappone e altri eventi correlati riguardanti la terra del Sol Levante. Tra questi la presentazione del libro “Nell’anima del mondo” di Italo Bertolasi tenutasi martedì 18 nell’area verde situata tra la libreria Quo Vadis, che ha organizzato l’evento, e il palazzo di “Parco 2” che ospita la mostra.


L’autore altoatesino, introdotto da Gabriella Cecotti, ci accompagna alla scoperta di un Giappone segreto, completamente antitetico a quello ipertecnologico che tutti conosciamo. Questo enorme paese, formato da tremila isole, ospita 127 milioni di persone concentrate in zone circoscritte essendo il 70% del territorio costituito da montagne.

Bertolasi, che da 30 anni visita quei luoghi, ci porta a conoscere il lato spirituale, ascetico, caratteristico del shintoismo, una religione animica, sciamanica, che porta al raggiungimento di una connessione con il Sé più profondo. Il vero viaggio, spiega Italo, non è fare il turista arrivando in aereo, ma camminare umilmente sulla terra, sentendone la sacralità e diventandone parte. Il vero viaggio è ricerca interiore, introspezione per conoscere sé stessi, è un sogno di libertà.


L’estremo nord e l’estremo sud della nazione, sono abitati da minoranze, quelle del nord, gli Ainu, con tratti somatici prettamente siberiani, quelle del sud tipicamente australoidi che non hanno nulla in comune con i loro connazionali delle metropoli. In queste zone non ci sono templi per pregare, l’unico grande tempio sacro è la montagna, e la preghiera è un percorso meditativo che rispecchia le principali fasi della vita.

Ci si ritira nel grembo materno della montagna, in una caverna-utero a rivivere la nascita, ci si fonde con un albero, gli si parla, lo si abbraccia, lo si massaggia per sperimentare l’amore, mentre a richiamare la morte, c’è l’abbandono della vita comunitaria per un periodo di isolamento nei boschi.

Si chiama “tirocinio di coscienza”, e prevede alcune prove che rafforzano corpo e mente e mettono il praticante in contatto con la propria essenza. Tali prove sono correlate ai 4 elementi: il bagno di cascata, sotto un getto di acqua gelida, di notte nei mesi invernali, permette di percepire l’anima dell’acqua che diventa maestra del sacro mistero della vita; la camminata sulle braci ardenti, e il salto nel vuoto, dove, appesi in un baratro a testa in giù, si sperimenta il sacro terrore. Ultima è la sepoltura, durante la quale si rimane sotterrati vivi per un determinato periodo per sperimentare la morte.

A completamento dell’esposizione, un filmato, realizzato dell’autore nel 2007, ci mostra alcune immagini di questi rituali, la salita alla montagna una volta l’anno, un pellegrinaggio di guarigione guidato dallo sciamano, a cui partecipano tutti gli abitanti del villaggio.

Vediamo inoltre alcune figure particolari di questa spiritualità primordiale, come i monaci della zona dell’ Honshu, che quando sentono che il loro tempo sulla terra sta per finire, praticano un digiuno rituale che può portare all’automummificazione, in seguito alla quale vengono dichiarati santi, i loro corpi ricoperti d’oro e trasformati in statue da venerare. Ci sono poi le Itako, donne cieche che si radunano sulle sponde di un lago sacro vulcanico del sud del Giappone, che mettono in contatto le persone con i defunti.

Molto interessante questo spaccato culturale e spirituale di un paese che tutti immaginiamo solo come fulcro di modernità e tecnologia, mentre in realtà nasconde tanti segreti, questo è il Giappone che Italo Bertolasi ci invita a scoprire in un prossimo eventuale viaggio.
 

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Direttore: Maurizio Pertegato
Capo redattore: Tiziana Melloni
Redazione di Trieste: Serenella Dorigo
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