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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

"Mio padre votava Berlinguer":l'ultimo libro di Pino Roveredo è una confessione al padre

Sabato 19 ottobre, ha radunato una piccola folla, la presentazione dell’ultimo libro di Pino Roveredo, “Mio padre votava Berlinguer” (Bompiani editore). L’autore di “Mandami a dire” (Premio Campiello 2005) di “Caracreatura” e “Attenti alle rose”, intervistato dalla giornalista e scrittrice Elena Commessatti, ha incontrato, ieri pomeriggio, il pubblico presente alla libreria Ubik, intrattenendolo con una conversazione sulla sua ultima “fatica” letteraria. “Non un romanzo, ha spiegato l’autore triestino ma una lettera scritta in un mese, le lettere non si possono interrompere, indirizzata a mio padre.” Il titolo del libro nasce come è spesso consuetudine  dello scrittore, perché suggerito, ispirato da una canzone. “Gaber cantava, ha proseguito Roveredo, qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona”. Ecco io sono partito da li, dal ricordo di una meravigliosa canzone e per  raccontare la vita di mio padre, per tenerlo in vita e portarlo con me.” Il libro è un dialogo continuo ed un confronto anche duro con il  presente di oggi. Scrive Roveredo: “caro papà mi dispiace ma le brave persone oggi non ci sono più, sono finite, esaurite, terminate, morte.” Così se da una parte la scrittura è un modo per tenere un uomo che stava con le brave persone vicino a sé, dall’altra c’è l’occasione di raccontare un presente storico politico in cui il termine “onorevole” ha completamente perduto il suo significato. “Pertini, Anselmi, Zaccagnini, Iotti sono maledettamente lontani, dalla storia e dall’esempio”, dice l’autore. E in questo libro più che in altri racconta sé stesso, in un gioco di specchi dove padre e figlio, spesso hanno la stessa voce.

"Il tessitore di incubi" presentato alla Lovat

Trieste - C’è Altan e Altan. Si chiamano tutti e due Francesco, ma uno è l’inventore della Pimpa e di Cipputi, l’altro è un ex investigatore esperto di serial killer. Siamo agli antipodi. Niente in comune tranne l’omonimia e le origini venete. È stato il secondo tra i due Altan, ora affermato autore di romanzi polizieschi, che ha presentato “Il tessitore di incubi”  alla libreria Lovat di Trieste domenica 21 ottobre, attirando un pubblico curioso e attento. Perché Altan, prima di mettersi a scrivere, ha sperimentato sul campo, e di persona, il brivido che sa così efficacemente trasmettere ai suoi lettori, fin dal primo capitolo, con un impiego originale e coinvolgente dell’io narrante.

Quand’era ufficiale dell’anticrimine di Portogruaro, infatti, ha indagato sul famigerato Unabomber. Poi, collocato a riposo, ha interpretato questo caso, rimasto irrisolto, nel romanzo “Dietro la maschera di Unabomber” (Robin Edizioni, 2011). Versione letteraria, come tiene a specificare l’autore, eppure non priva di spunti utili a rispondere agli interrogativi angoscianti di quei giorni.

Ora Altan ha conferma la sua vasta e profonda cultura criminologica, e anche la particolare propensione alla comunicazione brillante e diretta. Oltre a una raffinata abilità retorica: con le sue reticenze e sospensioni sul più bello, instilla dubbi, suscita riflessioni e spinge il lettore/ascoltatore a raggiungere autonomamente le conclusioni, con istinto pedagogico.

Con la medesima inclinazione didattica, sono analizzati i moventi e i tipi dell’assassino seriale delineati in base agli studi delle principali polizie, smentiti i luoghi comuni più triti, esaminate le scuole criminologiche con i pregi e difetti delle loro teorie. Sono delineate le fasi attraverso le quali il killer seriale prende coscienza di sé, attiva i suoi propositi, studia la vittima, la cattura… E poi ricordati i concetti come “geografic targeting”, scena del crimine, vittimologia o “criminal profiler”, cui si è abituati dalle serie televisive statunitensi. In base ai quali Altan ha precisato che del doppio omicidio di Lignano, i colpevoli non siano i due fratelli cubani, estranei – in quanto latino americani – a un modus operandi di matrice magrebino-balcanica. Si vedrà…

Calibrato tra il romanzo e il saggio criminologico, “Il tessitore di incubi” porta in esergo le sette fasi del modus operandi del serial killer, così come sono state codificate dallo psicologo americano Joel Norris. Crude e terribili, quasi un’avvertenza al lettore che sarà istruito sì, ma anche risucchiato nel gorgo dei turbamenti suscitati dal crimine immotivato e irrazionale, dalle imprese atroci e sanguinarie di un euro-killer che terrorizza - e chissà come? – molte nazioni, cominciando dalle brume ottobrine di Venezia.

Era naturale che l’incontro si svolgesse in un clima di attenta partecipazione, tanto più per il fatto che Altan è noto al pubblico fin dal 2008, anno in cui ha vinto il premio letterario ” I sapori del giallo” col suo romanzo d’esordio “Il segreto dell’oca dorata” (Terra Ferma Edizioni). La sua lunga esperienza e le sue conoscenze specialistiche hanno creato un nuovo tipo di poliziesco: ora il lettore, informato sui segreti dell’indagine più moderna e immerso tra le cause profonde dei più cruenti delitti, non può più starsene comodamente seduto in poltrona, a leggere, ed è arruolato a buon diritto nella squadra di investigatori.

Condividere con il pubblico intervenuto i segreti della teoria criminologica e i ritmi della pratica investigativa più sofisticata con i suoi risvolti filosofici, psicologici e umani, ha suscitato un’apprensione che trova riscontro nel finale aperto del romanzo.

Una giusta dose di sesso e alcol completa una ricetta originale e sapiente che sa stuzzicare ogni palato senza annoiarlo. Il tutto insaporito da una scrittura realistica che indugia in preziosismi lessicali ma, allo stesso tempo, procede sicura con l’andamento serrato e preciso della sceneggiatura cinematografica. Tutto fa presagire un prossimo avvolgente thriller made in Italy.

Insomma: il romanzo è pronto per un sequel, e per nulla pacificante. Eppure Altan, con la sua scrittura e la sua presenza, esprime un modo di fare tanto disinvolto e coinvolgente che alla fine, dopo le sue rivelazioni, ci si sente tutti un po’ criminologi e con la sensazione che i serial killer abbiano i giorni contati.

“Il tessitore di incubi” (Minerva Edizioni, pagg. 304, € 16,90)


Un momento della presentazione del libro alla Libreria Lovat

[Roberto Calogiuri]

La nuova veste de’ “La Signora Dalloway” di Virginia Woolf

La nuova veste de’ “La Signora  Dalloway” di Virginia Woolf

Trieste , 19 ottobre - 16 maggio 1932. Di ritorno dalla Grecia, Virginia Woolf interrompe un interminabile viaggio in treno in una città banale, ricca e civilizzata, che si affaccia su un mare serico e popolato di barche, così internazionale da consentirle di comprare finalmente, dopo tanto tempo, una copia dell’agognatissimo Times.

Virginia Woolf  ritorna a Trieste 80 anni dopo, in una sera di ottobre  nel contesto raccolto e caloroso della libreria Minerva di via san Nicolò, dove la giovane studiosa woolfiana Giulia Negrello intervista Anna Nadotti, autrice della nuova traduzione di Mrs. Dalloway, forse il romanzo più amabile della scrittrice icona del gruppo di Bloomsbury.

La serata si apre sotto gli auspici della prestigiosa Virgina Woolf Society, il cui saluto alla città di Trieste viene letto dalla Negrello: un saluto in cui si sottolinea l’importanza della nuova traduzione italiana pubblicata da Einaudi che sottrae finalmente il romanzo alla fama di melanconica cupezza ispirata dall’episodio con cui esso si conclude – il suicidio di Septimus Warren Smith - restituendo le peculiarità della scrittura woolfiana. Scrittura di cui Anna Nadotti si presenta come l’interprete ideale: lei stessa presentata dall’ospite della serata, la giornalista Elisabetta D’Erme, come una studiosa legata da un rapporto passionale – e non solo professionale – con la letteratura.  Nadotti ha più volte sottolineato come nella terza traduzione italiana di Mrs. Dalloway fosse necessario restituire quel movimento “cinetico”, tanto simile a quello generato dal montaggio cinematografico. In questo processo gli spostamenti di Clarissa Dalloway corrispondono ai movimenti del suo pensiero che, nella lunga giornata di giugno destinata a concludersi nel ricevimento dedicato al marito Richard, insegue una folla di personaggi, esistenze, luoghi e ricordi ma anche colori, luci e profumi. In questa prospettiva, lo stesso suicidio del secondo alter ego di Virginia, il reduce di guerra Septimus Warren Smith, si può leggere come una protesta all’immotivata sottrazione di energie vitali perpetrata dalla furia devastatrice della guerra. La medesima lettura “vitalistica” del flusso incessante di pensieri e memorie di Clarissa Dalloway permette di interpretare in una chiave più positiva e appassionante l’esistenza stessa della Woolf, vittima per tutta la vita di ricorrenti nevrosi e propositi suicidi.

Il brillante dialogo fra la traduttrice e una studiosa ricca di energie e curiosissima come Giulia Negrello ha permesso a una platea composta per lo più da donne mature di avvicinarsi alla modernissima “macchina” della scrittura woolfiana. Una macchina straordinariamente dinamica che produce singolari contaminazioni fra diversi codici artistici con esiti paragonabili a quelli della “videoscrittura” futurista - la Nadotti ha messo in evidenza come molte pagine dedicate ai movimenti di Clarissa Dalloway nei suoi appartamenti realizzano un vero e proprio piano-sequenza in versione letteraria.

Interessanti anche le considerazioni scaturite dagli interventi di Giulia Negrello, che hanno permesso di ripercorrere la storia del personaggio di Mrs. Dalloway fin dalla sua formazione originaria nell’immaginario di Virginia Woolf: nata nel 1919 come un personaggio antipatico nella sua inarrivabile sintesi di vitalità sociale e snobismo. La figura di Mrs. Dalloway si sarebbe ammorbidita nei tratti amabili che conserva nell’ultima redazione del romanzo in seguito al suicidio della figura che l’aveva ispirata, una conoscente incontrata nel’alta società londinese che chiuse con un “tragico incidente domestico” una vita apparentemente brillante e di grandi soddisfazioni sul piano intellettuale. La pietà suscitata da questa fine inspiegabile rese più umana la figura di una potenziale rivale nei salotti cittadini e consentì alla Woolf di sdoppiarla nella ricca figura di Clarissa Dalloway, snob ed amabile ad un tempo stesso, e nella virilità spezzata di Septimus Warren Smith, con la cui tragica fine si chiude il travaglio coniugale della moglie italiana Lucrezia e l’incanto artificiale della festa data in onore del marito Richard Dalloway

Mrs. Dalloway: Einaudi Et, Torino 2012, 194 pagine, 9 euro.

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