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Gio11212024

Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

L'editore Giovanni Santarossa della Biblioteca dell'Immagine presenta il progetto "Il Friuli, la nostra casa"

L'editore Giovanni Santarossa della Biblioteca dell'Immagine presenta il progetto

Udine - Un’opera monumentale, il disvelamento dell’antica geografia della Piccola Patria cosí come la delinearono e definirono per la prima volta i topografi francesi al servizio di Napoleone Bonaparte. Le tracce della storia in 530 mappe, paese per paese, borgo per borgo.

È il contenuto de “Il Friuli, la nostra casa”, un’antologia illustrata che l’editore Giovanni Santarossa ha dato alle stampe e che presenta mercoledí 19 dicembre, alle 17, nel palazzo della Provincia di Udine, ente che ha contribuito al progetto insieme con la Filologica friulana, la Fondazione Crup, Il comitato regionale dell’Unione delle Pro loco, Livenza viaggi e Gls.

Il volume è firmato da Roberta Corbellini e Giuseppe Bariviera. Ecco come Giovanni Santarossa descrive l’immane lavoro affidato agli storici: "L’archivio di Stato di Udine conserva, con cura, parte importante dei documenti della Storia del Friuli. Conserva anche un lavoro impressionante e incredibile compiuto da pochi uomini agli inizi dell’Ottocento. Uomini che a piedi e a cavallo, sotto la pioggia e il sole, cucinati dal caldo o congelati dal freddo hanno percorso metro per metro la nostra terra. Su ordine di Napoleone hanno mappato e poi disegnato campi e case,chiese e strade,ruscelli e fiumi, orti e giardini, viottoli e boschi".

"Usando colori dai rossi ai verdi,dai celesti ai gialli hanno "fotografato" dall’alto piccoli borghi e grandi città. In pochi anni, dal 1810 al 1821, questi uomini hanno compiuto un vero e proprio miracolo. Lavoro utile a Napoleone per conoscere il territorio e dispiegare l’esercito, utile per conoscere le proprietà e tassarle e utile per i grandi lavori da farsi quali strade, argini e altro ancora".

"Da questo lavoro ripreso dagli Austriaci nasce il moderno catasto. Ma a noi interessa entrare con tutti i sensi dentro le mappe. Gli occhi corrono subito a vedere quella mappa che racconta ogni nostra singola storia. Dentro la mappa la storia piccola o grande della propria famiglia. Ecco la casa lasciata in eredità,ecco il campo, ecco la Chiesa dove ci siamo sposati. Ecco quella piccola strada che porta fuori dal borgo e ci porta in campagna e allora pare uscire dalla mappa l'odore della terra e quel ricordo di lucciole cosí care a Pasolini".

"Ma non basta, perché il volume ci consente di capire che cosa abbiamo fatto e come abbiamo trasformato la nostra terra e quanti peccati sono stati perpetrati. Dove abbiamo violato la terra e dove invece, per nostra fortuna, l’abbiamo rispettata".

"Pagina dopo pagina troviamo borghi e paesi mantenuti nel loro antico splendore ma anche borghi e paesi dove abbiamo agito in maniera insensata. Possiamo vedere se i fiumi li abbiamo modificati e come siamo intervenuti nei centri storici".

"Da Adegliacco a Zugliano sono presenti i 254 Comuni censuari del periodo napoleonico. Tra questi piccoli insediamenti dimenticati oramai da tutti che riprendono a vivere la loro piccola storia nella grande storia".

"Continuare a scrivere può togliere il gusto di andare in libreria a sfogliarlo, a noi pare una bella impresa averlo fatto e consigliarvelo e consigliarlo anche ai nuovi o vecchi amministratori che presi dalla voglia di fare e strafare considerano i centri storici modelli sui quali giocare. Provate a vedere tutte le mappe di Udine per rendervi conto di quanta raffinata intelligenza esisteva. Ritornare alla cura della nostra terra può, forse, costituire la vera modernità".

“La fiaba nera del Carso” alla Minerva

“La fiaba nera del Carso” alla Minerva

Trieste – Un nuovo libro edito da Mgs press, “La fiaba nera del Carso” di Lucio Fabi, verrà presentato giovedì 13 dicembre con inizio alle ore 18, alla Libreria Minerva dal regista e scrittore Lino Marrazzo

Il libro: Estate 1616. Nell’attacco all’austriaco Forte Stella – vicino a San Martino del Carso – un giovane ufficiale veneziano viene decapitato dai difensori del forte e la sua testa mozzata viene issata su una picca ed esposta per dileggio. Da questo episodio, ricordato nelle memorie storiche, si dipana la storia nera di un teschio maledetto ricercato nei paraggi del carsico monte San Michele da più generazioni di un’unica complicata famiglia: dalle battaglie tra Veneziani e Arciducali agli assalti italiani alle trincee austriache del 1916 in cui si incontra la figura di un poeta speciale in cui è facile riconoscere Giuseppe Ungaretti, passando per la bonifica dei tanti cimiteri di guerra carsici degli anni Venti e Trenta fino all’edificazione – nel 1938 – del grande Sacrario di Redipuglia, per arrivare ai giorni nostri – anzi nel prossimo 2016 – con l’ultimo “ricercatore” che, suo malgrado, si troverà a gestire l’inatteso epilogo, con contorno di sottrazioni, sotterfugi e splatter finale.

L'autore è Lucio Fabi, storico e consulente museale. Ha pubblicato numerosi volumi sulla Grande guerra, tra cui La prima guerra mondiale. Storia fotografica (Editori Riuniti), Gente di Trincea e Il bravo soldato mulo (Mursia). Ha realizzato vari musei storici in Trentino, Veneto e Friuli Venezia Giulia, svolge attività espositiva in Italia e all’estero. Si occupa della valorizzazione storica del territorio ed è autore di diverse guide storiche sui fronti della Grande Guerra. Dopo la storia di famiglia Viva il fascio e l’acqua calda (StampaeStoria), è al suo primo romanzo.

 

 

Un caffè a nord est per insegnare che la storia è anche convivenza

Un caffè a nord est per insegnare che la storia è anche convivenza

Il libro “Il Caffè Ferrari ai volti di Chiozza”, sarà presentato al Caffè San Marco venerdì 7 dicembre, alle ore 18. A ricordare il suo autore, Renato Ferrari, nel decennale della sua scomparsa, ci saranno Maria Cristina Benussi, preside della Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università degli studi di Trieste, Daniele Ferrari, figlio di Renato e co-autore del romanzo, nel senso che a ha scritto l’ultimo capitolo fin’ora inedito, e il regista Fabio Malusà, amico di Renato.

Renato Ferrari, goriziano di nascita e milanese per adozione, come lo descrive nel libro il figlio Daniele, “era certamente un uomo intelligente, colto, affascinante, ma anche un tipetto da prendere ‘con le pinze’, perché era molto permaloso (…) era un provocatore nato. Gli piaceva stuzzicare le persone con le quali parlava, non per cattiveria, ma per il semplice gusto della polemica.”.

Con queste caratteristiche Ferrari attraversa i novantaquattro anni della sua vita con coerenza di antifascista, libertario e democratico, ma anche con quella giusta dose di spirito di osservazione e determinazione un po’ spavalda che gli permette di intervistare gli antenati della propria famiglia. Proprio così: invece del solito memoriale, Ferrari inventa una catena di interviste impossibili con le quali percorre due secoli e mezzo di storia della propria famiglia. Dai pescatori delle valli di Comacchio schiacciati dall’assolutismo papale nel 1740, qualcuno si stacca per abbandonare una vita di stenti e seguire il richiamo irresistibile di una Trieste ricca e vivace. E qui comincia l’avventura.

E questa storia la ascoltiamo direttamente da Domenico e da tutti i suoi discendenti, fino a Daniele. Una storia apparentemente patriarcale, ma in realtà tessuta anche sulle vite delle donne di famiglia, francesi, slovene o ebree, che riassumono tutte le nazionalità che gravitavano in una città cosmopolita. E vicende di viaggi, di monacazioni forzate e di amori e di morti.

Racchiuse in uno stile sorvegliato e uniforme, raccontate con una lingua immediata e colloquiale, poco poetica e molto concreta, ci sono le storie di personaggi dall’esordio romantico e che si coniuga con un realismo quotidiano in cui si riconosce una vita vissuta e commentata in modo autentico, profondo e intenso.

Impossibile non avvertire un sapore lontano di “Promessi sposi”, “Malavoglia” e “Confessioni di un italiano” che risuonano nello sviluppo del romanzo di una famiglia il cui destino si lega per caso a Trieste e si intreccia con la famiglia Fabiani che Ferrari ha già raccontato ne “Il gelso dei Fabiani. Un secolo di pace sul Carso” (1975), libro in cui si vagheggia un amore perfetto tra uomini e popoli, prima che fosse avvelenato dai nazionalismi.

Invece nel “Caffè”, tra le molte suggestioni storiche e curiosità toponomastiche locali e istro carsoline, non si può evitare si soffermarsi su alcuni nodi ancora serrati, come l’insofferenza verso l’elemento sloveno, quello friulano o meridionale, alle cui origini c’è, secondo Ferrari, “il fatto che Trieste vista da fuori è una città con un forte bisogno di avversione per qualche cosa o qualcuno, non importa che cosa né di chi si tratti”.

O ancora l’analisi dell’“Homo tergestinus” che diventa categoria storico antropologica in cui confluiscono due rami: uno “paleostorico” risalente alle scorrerie dei barbari che immisero il loro sangue tra i nativi con la violenza degli invasori. L’altro, moderno, di immigrati volontari che fondarono le dinastie con la politica dei matrimoni. Caratteri ereditari eterogenei che - scrive Ferrari - mischiandosi nei neonati, produssero l’attuale razza triestina, a partire dalla mescolanza di gepidi, carni, ostrogoti, longobardi e turchi che lambirono il Carso.

Insomma: sembra che il triestino debba fare i conti con un che di barbarico che sembra distante dalla famiglia Ferrari, almeno a giudicare dall’apparato fotografico di cui il libro è dotato. Una famiglia che rimane un documento vivente di come le nazionalità possano mescolarsi e convivere in un lembo di confine, senza strappi e senza traumi.

“Il Caffè Ferrari ai volti Chiozza” Edizione MGS press, pp. 302, € 19,50

Roberto Calogiuri

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Direttore: Maurizio Pertegato
Capo redattore: Tiziana Melloni
Redazione di Trieste: Serenella Dorigo
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