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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Paris Kebab edito da Safarà Editore

Paris Kebab edito da Safarà Editore

L’autore è Marco Trucco nato a Novara nel 1971, milanese per adozione. E' docente e consulente nel settore Moda e Design. Muove i primi passi letterari per passione, fortemente influenzato dai lavori dei nuovi filoni letterari europei e statunitensi, che vedono fra altri esponenti come Carver, Lansdale e Palahniuk. Ha passato gli ultimi anni per motivi professionali tra Milano, Marrakesh, Barcellona e Parigi Profondamente affascinato da culture e tradizioni differenti da quelle occidentali, ha iniziato ad interessarsi alla cultura islamica a metà degli anni novanta, raccogliendo testimonianze ed esperienze dirette in numerose città del Marocco, Oman, Egitto e Tunisia. La sua opera letteraria vuole raccontare le dinamiche sociali contemporanee, ponendo particolare accento sui “contrasti culturali” che la società metropolitana occidentale sta vivendo come effetto collaterale della globalizzazione e dei fenomeni di migrazione di massa, uscendone fortemente contaminata e modificata nelle strutture di base.

Parliamo del suo libro con l'autore.

Com'è iniziata la stesura del libro Paris Kebab?

Sono convinto che le storie di confine siano sempre meritevoli di essere raccontate. Oggi i confini sono molto diversi dal passato: viviamo in un contesto multietnico e multi-religioso e ci siamo abituati a tollerare o a non curarci di diversità che fino a una ventina di anni fa trovavamo insopportabili ed offensive. Oggi i confini son attorno a casa nostra, fra le palazzine popolari assegnate alle famiglie musulmane e l’oratorio della chiesa sotto casa dove Matteo, mio figlio, gioca con Omar e Mohammed.

Paris Kebab disegna su una tela noir gli scenari di una storia di confine che trova come perfetto teatro le contrapposizioni culturali e visive della lussuosa Parigi, città nella quale ho vissuto e che ho imparato a scoprire sotto la sua luminosa e morbida epidermide. Vivendo nel cuore del 18° arrondissement, chiuso fra Montmartre e Pigalle, ho conosciuto molte bocche che mi hanno raccontato le loro storie, le strade che li hanno condotti fino a Parigi alla ricerca di denaro e di lavoro. Jacques è uno di loro, identico nell’aspetto ma con motivazioni che lo rendono, a differenza di loro, conscio e determinato. Il romanzo parla dei luoghi che amo e frequento nella Parigi che ho la fortuna di vivere come cittadino e non come turista occasionale.

Avviciniamoci al contenuto. Poco tempo fa, in Francia, si è consumata una tragedia legata al terrorismo islamico, con un ragazzo, che poteva essere benissimo un Jacques  - il protagonista del libro Paris Kebab, ndr -  del 2012, ha ucciso accecato dall'odio bambini e professori ebrei.

Quanto c’è di questo personaggio in Jacques?

Le barche cariche di persone che arrivano in Europa sono migliaia ogni anno, ormai da generazioni questo si ripete. L’Europa cova secoli di non integrazione culturale e razziale e di ghettizzazione sistematica, situazioni che trovano espressione estrema in atti folli e indecifrabili, come gli omicidi di Tolouse. Merah, il killer che ha seminato morte a Tolouse, ha tratti che apparentemente possono essere simili a Jacques. E’ evidente che la matrice religiosa alla quale si riferiscono entrambi è la stessa, oltre al fatto che entrambi si trovano in un’età incerta nella quale è difficile realizzarsi pienamente. Jacques, a differenza di Merah, ha avuto e ha dei maestri. Ha dei compagni che lo supportano sia nella vita sia nella religione, ma è ugualmente fragile e miope come Merah. Paragonando i due vedo Merah come una sorta di deflagrazione spontanea: un’esplosione di odio, terrore e morte imprevedibile e con effetti programmati a breve termine. Jacques, invece, è una deflagrazione programmata, fortemente voluta e motivata da solide radice culturali. L’orizzonte delle azioni di Jacques va oltre la vita o la morte di se stesso. Non è importante che lui viva o muoia, è fondamentale la frattura che provocherà nella società francese ed europea. Il suo lavoro deve avere una capitalizzazione differente e rimanere nelle menti dei popoli occidentali Questa la differenza fra i due. Sottile ma radicale.

L'ambientazione parigina non è causale ce ne parli...

Parigi è una città piena di contrapposizioni e, in certi casi, insicura e violenta. Generalmente la viviamo da turisti e non vediamo quello che si muove sotto i musei, i locali del Quartiere Latino e la passeggiata per lo shopping del Rue saint-honoré. La pratica del turismo ci permette di vedere solo quello che vogliamo: automaticamente selezioniamo quello che non amiamo e lo buttiamo in un cestino accanto ai bei ricordi che colori, odori e sapori ci hanno regalato.

A uno sguardo più approfondito Parigi si rivela profondamente diversa: multietnica, violenta nelle periferie ghetto che la circondano, razzista ed antisemita. Il centro di Parigi è come una fortezza che cerca di resistere alla pressione che i quartieri periferici, le etnie emarginate delle banlieue, esercitano da molti anni sul centro della Ville Lumière.

Il romanzo si svolge in questa terra di confine fra il percepito e l’impercettibile da parte dei visitatori occasionali della città, fa emergere peculiarità e prospettive che solo chi ha vissuto per lungo tempo nella città conosce. Trovo sempre sorprendente leggere in modo nuovo e approfondito di una città che ho conosciuto da turista e che qualcuno mi aiuta a reinterpretare e a scoprire nella sua anima più profonda. Paris Kebab non trascura quest’aspetto ma, anzi, se ne nutre dando spazio ad architettura, pittura, scultura e dibattito sociale.


Nel romanzo c'è un respiro europeo non sempre frequente negli scrittori italiani. C'è un intento preciso per cui hai scritto il libro?

Il romanzo ha una vocazione internazionale, sia per il tema trattato, sia per il mio approccio letterario e narrativo. Sono conscio del fatto che alcuni dibattiti siano scarsamente frequentati in Italia e che abbiano maggiore sfogo in altri Paesi. Nel romanzo si fa espresso riferimento al rapporto fra la religione ebraica e le religioni nate dai profeti. Il respiro europeo è determinante per la comprensione delle dinamiche terroristiche. Tenendo conto che la terza economia mondiale, come fatturato, è quella che viene definita l’“economia del terrore”, e riguarda anche la protezione, o la sensazione di protezione che tutti noi dobbiamo avere. Paris Kebab tocca un nervo scoperto di questo tema: la sensazione di protezione non significa essere indenni.  Il romanzo trasmette un senso di fragilità sul quale dobbiamo riflettere per capire che il divieto di portare una bottiglia d’acqua in aereo nulla ha a che fare con il terrorismo. La difesa dal terrorismo deve passare per altre strade.

C'è qualcosa d’altro del tuo Paris Kebab che ci vuoi raccontare?

Tutti gli ambienti nei quali i personaggi si animano sono ambienti reali: dalle Catacombe di Parigi alla serra immersa nel Jardin Des Plantes, ai viali del Cimitero di Montmartre. Esistono un’infinità di storie di persone che approdano sulle coste del sud europeo per trovare una prospettiva di vita diversa. Molti lasciano le loro famiglie nelle periferie povere delle città del magreb per cercare fortuna nelle terre nelle quali fin da ragazzini hanno visto il mito del benessere e della realizzazione. Paris Kebab parla anche di questo.  Nella ricerca sulla strada che ho fatto, ho trovato decine di giovani arabi nei boulevards del decimo e diciottesimo quartiere di Parigi che mi hanno raccontato le loro storie, i loro sogni e i loro problemi. Il libro trasuda anche di questo dibattito, pur mantenendo una matrice narrativa chiaramente noir-thriller.


Ha già pensato a un seguito di questo libro?

Paris Kebab è il primo di tre libri incentrati sul protagonista. Il secondo sarà ambientato fra il medio oriente e Milano. Il sequel di Paris Kebab, in lavorazione, sarà un’opera che potrà essere letta in modo indipendente da Paris Kebab e che trarrà spunto da alcune strade aperte e non seguite da Paris Kebab. In ogni caso questo sequel non sarà il mio prossimo romanzo, per il quale ho scelto altri ambienti e altri temi.

NOTE sul libro:

Dopo lo choc dell'episodio violentissimo recentemente occorso a Tolosa, in Francia, questo libro, che sembra quasi essere un «instant book», è un monito e uno spunto di riflessione. Nella frenesia dei titoli di giornali, testate online e telegiornali, il romanzo di Trucco risulta, invece, carico di realismo.

La storia è quella di un ragazzo, poco più che ventenne,  in una Parigi multirazziale ma in realtà estremamente razzista, a metà degli anni Duemila. Jacques, questo il suo presunto nome, è nella capitale francese con un preciso scopo: quello di servire la strada delle Scritture e dell’Imam al quale è stato affidato. In nome di Allah, di una guerra santa e di una verità incomprensibili agli occhi degli occidentali, raggiungerà una posizione di importanza nella «cellula attiva» nella quale è inserito. Entrerà a far parte, infatti, di una cellula terroristica addestrata per gestire il traffico di droga nella capitale francese, rimanendo pronta a entrare in azione attiva e armata.

Il delirio di un ragazzo dalla vista e dalla volontà ottenebrate dall'integralismo religioso, Marco Trucco l'ha voluto esplicitare tutto nel suo libro, attraverso le riflessioni del ragazzo — in prima persona — che nel volume sono contenute.

Pagine: 304
Lingua: Italiano
Prezzo: 18,50 euro
ISBN: 978-88-97561-02-6

 

Serenella Dorigo

Esce "La Messa non è finita. Il Vangelo scomodo di don Tonino Bello"

Esce

Esce mercoledì 16 maggio per i tipi di Rizzoli il libro biografico "La Messa non è finita. Il Vangelo scomodo di don Tonino Bello", di Gianni Di Santo, con Domenico Amato. «Don Tonino - scrive Gianni Di Santo - non solo ci manca, a livello affettivo, umano. Ma il fatto che le sue parole ci siano state, che il suo vissuto sia stato evidente a tutti, ci dicono che la speranza (cristiana) e l’utopia (laica) di una società più giusta e sorridente sia, sì, ancora oggi, possibile. Persino una Chiesa migliore di quella di oggi appare possibile».

Il volume è frutto di due anni di lavoro al fianco del postulatore della causa di beatificazione del vescovo di Molfetta: «Ripercorrere la sua vita e le sue opere attraverso i suoi scritti e ricordi di chi lo ha conosciuto, è come sedersi di fronte a un monumento di saggezza e santità del quotidiano - scrive ancora Gianni Di Santo nel suo blog. - Ho cercato, anche da cattolico, di andare oltre le ristrette mura della cultura cattolica. Sono convinto, infatti, che don Tonino sia un personaggio che appartenga a tutti. Laici e cattolici».

Ecco cosa si legge nel risvolto di copertina del libro:

«Perdonami se non ti ho mai chiesto se leggi fedelmente il Corano. Se hai bisogno di un luogo dove riassaporare i silenzi misteriosi della tua moschea», così si rivolge il vescovo Tonino Bello a un giovane musulmano sbarcato sulle coste pugliesi.

La sua non è una semplice provocazione. Agli ultimi – immigrati, tossicodipendenti, ex detenuti, sfrattati – ha dedicato la sua intera esistenza: un vescovo che incontra sui marciapiedi un’umanità dolente e indifesa, che accoglie in episcopio i bisognosi e manifesta con chi ha perso il lavoro, ma anche un uomo innamorato della Parola di Dio.

Al ladro ucciso in una rapina dice: «Siamo ladri anche noi perché, prima ancora che della vita, ti abbiamo derubato della dignità di uomo». A molti non è gradito: dal pulpito e negli scritti indirizzati ai fedeli della diocesi come a illustri interlocutori usa parole sferzanti e punta il dito contro i potenti di turno richiamando la Chiesa al servizio dei poveri.

Ma per don Tonino, formatosi alla scuola dei preti operai di Bologna e nel clima innovatore del Concilio Vaticano II, il Vangelo è un messaggio rivoluzionario, che deve scardinarci dalle nostre comode certezze. Per anni si batte contro la guerra. E il 12 dicembre 1992 – pur provato da un cancro che di lì a poco lo porterà via – marcia per le strade di una Sarajevo assediata insieme a cinquecento persone, facendo tacere le armi.

Con l’aiuto di Domenico Amato, che sta portando avanti la causa di beatificazione apertasi nel 2007, Gianni Di Santo ne ripercorre i passi e dà sostanza a una santità che tutti gli riconoscevano in vita e che si auspica, anche grazie al riconoscimento dei miracoli a lui attribuiti, ottenga presto il suggello della Chiesa. Perché mai come oggi abbiamo bisogno di santi ribelli che ci aprano gli occhi sulla nostra ipocrisia facendo nascere in noi la sete di una giustizia più vera.

Supplet Ecclesia e altri racconti

Sinuhe Marotta nasce a Gorizia nel 1958. Sacerdote dal 1986, dopo diverse esperienze di studio in Italia e all’estero, ora è direttore dell’Ufficio catechistico diocesano, insegna allo Studio teologico interdiocesano ed è parroco della parrocchia dei Santi Ilario e Taziano di Gorizia.

Abbiamo avuto il piacere di conversare con don Sinuhe sulla composizione della sua prima opera letteraria: Supplet Ecclesia e altri racconti. Un testo che non può lasciare indifferenti chi lo legge. Sette capitoli, per sette racconti dal sapore agro-amaro, che provocatoriamente snodano situazioni paradossali, ma non per questo improbabili. Ci si ritrova con il suo libro a riflettere se siamo più  lettori di una smarrita consapevolezza o lettori smarriti inconsapevoli della situazione oniricamente prevista.

Libro di riflessione e di provocazione. Leggiamo le sue parole.

Con questo libro ha voluto denunciare una situazione già in corso (a mio parere). Ora come ora l’allarma di più la mancanza di consapevolezza dell’uomo di oggi o la voluta mancata consapevolezza? In una parola l’idea di questo libro nasce?

Non nasce da un’idea né da un progetto. Sono racconti nati per conto loro, in seguito a incontri durante il mio ministero, episodi, riflessioni o articoli letti qua e là. Non vi ho investito notti o studi particolari. Li considero come un “divertissement”, tanto per intenderci.

Quello che per certi versi mi allarma è l’apparente oblio di cui a volte abbiamo l’impressione di essere spettatori. Oblio della propria cultura da parte della società postmoderna, delle proprie radici religiose da parte di molti adulti, addirittura della propria appartenenza ecclesiale da parte di molti battezzati e anche da parte di alcuni noi preti.

Hic et Nunc potrebbe essere il motore sotterraneo per dare una svolta alla situazione prevista in Supplet Ecclesia. Può essere così?

I racconti non vogliono prevedere il futuro: quello sta nelle mani di Dio, prima ancora che in quelle dell’uomo. È vero che vorrebbero essere una parola sul presente, non sul futuro, anche se il genere letterario è evidentemente al futuro. Come è vero che forse in molte cose è proprio hic et nunc che potremmo risvegliarci dall’oblio delle nostre radici spirituali.

A quale, dei racconti scritti è più affezionato?

A dire il vero mi commuovono quasi tutti, ancora oggi, quando li rileggo. La “Via Crucis al Lussari” forse è il più vicino alla mia sensibilità (o ai timori…) di sacerdote. In realtà credo di essere affezionato più ai personaggi: alcune protagoniste appartenenti al mondo femminile fanno una bella figura. E anche i ragazzi più giovani ci fanno una bella figura, credo, contrariamente a tanti episodi di cronaca.

Fare e sapersi fermare, raccontare e ascoltare, abbandonare per rinascere, restare vigili ma essere mansueti, questi sono una serie di moniti che colgo dai suoi racconti. Mie congetture o qualcosa di vero c’è?

Ho scoperto che chi legge vede molte cose che neppure l’autore è stato capace di vedere: probabilmente è vero che quando qualche pensiero è affidato alla scrittura alla fine non ci appartiene più. Certo mi piacerebbe che le nostre Chiese diventino sempre più dei luoghi dove ci si può fermare, dove si può narrare la bellezza delle vita e dove si può ascoltare una Parola che venga anche dall’alto, oltre che dall’altro. E che, nella delicatezza, gli uomini di Chiesa sappiano risvegliare il desiderio della Luce in chi incontrano, specie negli adulti o nei più giovani.

Non voglio togliere o aggiungere troppo alla lettura di questo libro, ma lei consegna al lettore un testimone…

Non pretendo tanto… Se faranno riflettere qualcuno, ne sarò felice.

Serenella Dorigo

 

 

 

 








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Capo redattore: Tiziana Melloni
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