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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

“I due Mori”: mostra fotografica del regista ungherese Péter Gothàr e di Gyula Salusinszky

“I due Mori”: mostra fotografica del regista ungherese Péter Gothàr e di Gyula Salusinszky

Trieste -  Si è inaugurata al Caffè San Marco, ieri venerdì 15 maggio alle ore 19, “I Due Mori” la prima mostra fotografica italiana del regista ungherese Péter Gothàr e di Gyula Salusinszky. 

L’esposizione, promossa dall’Antico Caffè San Marco in collaborazione con Alpe Adria Cinema, è a ingresso gratuito e sarà esposta nelle sale del Caffè fino al 7 giugno 2015.

Gli scatti esposti di Gothàr sono scatti artistici, foto impalpabili che rappresentano gli spostamenti. Secondo il concetto dell’artista, infatti, il termine “spostamenti” significa che tra la percezione e l’esecuzione, anche durante la pressione che viene fatta sul pulsante che permette lo scatto, vi è un minimo movimento dei soggetti, e attraverso le sue fotografie cerca di rappresentare proprio questa situazione. Le fotografie possono sembrare statiche, ma se osservate attentamente, si nota uno spostamento appena percepibile.

Salusinszky, invece, preferisce “inseguire” i movimenti delle persone, cogliere il loro sguardo, attraverso il quale cerca di entrare “dentro” i suoi personaggi. Immortalare la gente nel proprio ambiente, aiuta a capire anche le diversità e di conseguenza la necessità e la volontà di convivenza. Salusinszky infatti, si immedesima nella frase del grande artista russo del ventesimo secolo,

Aleksandr Rodčenko: “Non mentire! Fotografa e fatti fotografare!”. Cristallizzare l’uomo non con un ritratto “sintetico”, bensì con una moltitudine di istantanee scattate a ore diverse e in diverse condizioni. Dare valore a tutto ciò che è reale e contemporaneo per essere reali e non recitare la parte di esseri umani.

Alla vernice, presenti gli autori e Judith Pinter, scrittrice e sceneggiatrice ungherese, già nota al pubblico triestino per aver partecipato nel 2002 alla rassegna, organizzata da Alpe Adria Cinema, “Graffitti Ungheresi” dedicata alla rivoluzione di Budapest dell’autunno del 1956. All’epoca il filo conduttore della manifestazione fu la rivoluzione di Budapest dell'ottobre-novembre 1956 e proprio nel programma, venne inserita una retrospettiva personale riservata proprio a Péter Gothàr ed è stato un piacere che dopo tredici anni la coppia di amici Pinter e Gothàr si è ritrovata nuovamente davanti al pubblico triestino, per parlare del loro paese questa volta però in chiave contemporanea.

ANTICO CAFFE' E LIBRERIA SAN MARCO: via Cesare Battisiti 18 TriesteTel 040 0641724

 

“Il mezzo mondo” di Andrea Mancini in esposizione al parco di San Giovanni

“Il mezzo mondo” di Andrea Mancini in esposizione al parco di San Giovanni

Trieste – A segnare un nuovo appuntamento dell’Associazione Juliet è l’inaugurazione della mostra di di Andrea Mancini, dal titolo “Il mondo di mezzo”, sabato 16 maggio 2015, alle ore 18.00, nello spazio espositivo del “mini mu” a Trieste, all’interno del comprensorio del parco di San Giovanni.

Come ricorda il curatore della mostra Roberto Vidali: la ricerca pittorica di Andrea Mancini non si inserisce all’interno del dibattito che, ancora oggi, dopo l’esuberanza trasgressiva delle neoavanguardie, continua a dominare le vicende dell’arte contemporanea; il che ci permette di buttare sul tavolo la domanda fatidica: gli extra media più consolidati (fotografia, tivù, cinema), unitamente ai principi dell’interattività e della pratica relazionale, debbono condurre un gioco di sponda o possono permettersi di puntare al predominio dell’intero mercato dell’arte?

A un problema posto in maniera così brutale e diretta, l’autore evita di rispondere, non per un ostinato voto del silenzio, ma per scelta ben precisa, ovvero per indifferenza verso codeste esperienze che, nostro malgrado, disegnano la vita moderna. In questo modo, di fronte al lavoro ossessivo e da grande equipe di autori come Jeff Koons e Damien Hirst, ipercelebrati a livello globale, egli si permette di tirare diritto lungo una strada solitaria, e questo perché, secondo il suo assunto programmatico, la pittura è, ancora oggi, la tecnica più idonea a captare il reale e che ci impedisce di sfuggire al quesito “Chi siamo? Dove andiamo? Da dove veniamo?” In questo modo la sua pittura, con la capacità di interrompere, in maniera spietata, grazie a inquadrature o a tagli arbitrari, la presa di possesso sulla realtà, risulta essere la tecnica ideale per ottenere una estesa frammentarietà iconica.

Ecco perché il Nostro, affascinato dalla capacità di produrre immagini variegate e potenzialmente estranee a qualunque sostanziale intreccio narrativo che veda nel punto “A” l’esordio della storia e nel punto “Z” il suo epilogo, si concentra su una ricerca che fonde la spazialità compressa propria delle neoavanguardie con una frontalità dell’orizzonte propria nella disposizione lineare egizia, in un accatastarsi di elementi che si compenetrano e si nutrono all’interno di un flusso percettivo, dove le emozioni sono un qualcosa che sta sulla superficie delle cose, e quindi all’interno di un’evocazione giocata su termini minimi o su piccoli riferimenti figurativi. In tale maniera, i riferimenti alla storia dell’arte (che vediamo affiorare tra i lacerti di questa pittura, come l’amore spassionato per la pastosità di Velasquez e Segantini) risultano essere solo accidenti di un discorso situato sullo sfondo, senza divenire per questo citazione ricercata: stanno lì perché sono elementi inevitabili dell’esperienza formale, e non perché aprono a sentimenti profondi e necessari o a scelte ideologiche di tipo deterministico.

Arrivati a questo punto, possiamo dire che negli intenti di Andrea Mancini c’è la ricerca dell’inquietudine come valore da assurgere al rango della pittura. Qui la luce è protagonista e l’uomo è assente. C’è la memoria, c’è la testimonianza, non più la vita. Questo almeno nelle opere del “riciclo” e degli “accumuli” (siano questi carte da macero,  libri o copertoni).

Il silenzio che aleggia su queste raffigurazioni appartiene alla categoria de “la quiete dopo la tempesta”, e la qualità del gioco di luci e ombre (i toni in definitiva di ogni sua opera) vive su un insieme di colori spenti, come se la vita se ne fosse fuggita via da questi oggetti raffigurati.

La serata, realizzata sotto l’egida della Provincia di Trieste, è stata organizzata dall’Associazione Juliet.  Il rinfresco sarà offerto da Villa Parens di Giovanni Puiatti.

La mostra proseguirà fino al 5 giugno, con orario di visita il lun / mer / ven dalle 16.00 alle 18.00. Per ulteriori info: 393 9706657.

Completata l’opera di Urban Art “Whispers – Sussurri”, murale dell’artista Alina Vergnano

Completata l’opera di Urban Art “Whispers – Sussurri”, murale dell’artista Alina Vergnano

Pordenone - Tolti i ponteggi e tornato il sole, si presenta finalmente al pubblico nella sua interezza l’opera di Urban Art “Whispers – Sussurri” dell’artista Alina Vergnano, un murale di 200mq realizzato sul condominio Incis di via Oberdan, primo ad aderire al progetto FuoriLuogo.

Promosso dall’associazione Ubik Art (presidente Giuseppe Carletti), dall’artista Mattia Lullini e Massimo Franzo dell’impresa Franzo con il patrocinio del Comune di Pordenone e dell’Unione industriali di Pordenone, FuoriLuogo è interamente finanziato da privati e si propone di realizzare nell’arco di 2 anni, 12 murales realizzati da 12 artisti internazionali su altrettanti condomini, che aderiranno al progetto: le adesioni sono in corso e aperte a palazzi, case o condomini di Pordenone e della sua cintura urbana (ma stanno arrivando richieste d’informazione anche da altre città) che vorranno aggiungere ad una riqualificazione esterna dell’edificio il valore di un’opera d’arte.

Vedere all’opera la giovane Alina, che ha realizzato l’opera da sola in 5 giorni ha incuriosito tutti: dai passanti che formavano piccoli capannelli sulla strada, agli operai del cantiere agli stessi condomini, che l’hanno un po’ adottata, passandole caffè e gelati dai balconi come ristoro durante le intense giornate di lavoro.

“È la prima volta – commenta Vergnano, che attualmente vive e lavora in Svezia – che realizzo un’opera frutto di un progetto condiviso su di un edificio abitato. Questa modalità ha un ulteriore valore aggiunto rispetto all’Urban Art e accentua ancora di più il suo carattere democratico. I condomini hanno scelto il mio bozzetto e hanno seguito i miei consigli sui colori, scelti per armonizzarlo al contesto”.

“Ogni giorno potevano osservare l’andamento dei lavori e la curiosità iniziale si è trasformata in un grande entusiasmo culminato in una piccola festa auto organizzata in cui ciascuno ha portato qualcosa. Sono stati molto coraggiosi e aperti”.

“Si sono ritrovati uniti in questo percorso e tutti sono venuti alla mostra dei miei lavori, allestita negli spazi di Ubik Art all’ex mulino De Franceschi, dove hanno voluto prendere come ricordo anche alcune mie stampe. In questo senso c’è stata una perfetta corrispondenza tra la mia opera, che mette al centro le relazioni, il senso del progetto stesso e il risultato finale”.

FuoriLuogo infatti vuole proprio creare relazioni inedite tra i condomini, tra il condominio e la città, tra l’artista e la città. Obiettivo raggiunto al primo colpo, dunque, considerando anche che il Salone Milena ha voluto un’opera di Alina per il proprio negozio. Positiva anche la valutazione dell’assessora all’urbanistica Martina Toffolo: “Il lavoro è molto bello e dimostra la validità e la qualità del progetto. L’artista ha saputo definire un progetto in relazione con la città e i condomini hanno dimostrato coraggio e lungimiranza”. A fine maggio FuoriLuogo si sposta a Porcia, grazie all’adesione del condominio Platano, situato proprio di fronte al Comune.

(Foto di Angelo Simonella)

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