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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Tutela delle persone detenute: il diritto alla vita affettiva. Una testimonianza

Tutela delle persone detenute: il diritto alla vita affettiva. Una testimonianza

Trieste - “Piccolo Universo – voci dal carcere” è un progetto nato una decina di anni fa dalla collaborazione tra la stampa cattolica, la Caritas e la Casa circondariale di Trieste.

Non solo una redazione, formata da alcune persone detenute ed alcuni giornalisti, ma anche un laboratorio di idee, un’opportunità per condividere le paure e i desideri di chi sta “dentro” col mondo che lo aspetta “fuori”.

In questo testo-testimonianza si affronta un tema importante e spesso trascurato: la vita affettiva delle persone detenute.


Sfido ogni detenuto che sta scontando una pena in custodia cautelare a dire di non aver bisogno di una figura femminile. Ovviamente si viaggia con la fantasia, perché in Italia è solo consentito avere colloqui con le proprie mogli. Colloqui dove ci si possono scambiare parole dolci, qualche carezza e semmai un bacio volante".

Ci sono delle carceri dove invece viene concessa una stanza che, ad esempio, in Spagna si chiama “La camera dell’amore”. Stanze dove un detenuto passa del tempo nella massima discrezione con la propria compagna e ha a disposizione dei momenti di intimità.

Poi ci sono detenuti che la compagna non ce l’hanno, ma che comunque pensano alla libertà per avere un contatto con una donna anche solo per un semplice dialogo.

Perché in carcere si pensa, si pensa molto, e ti fai un quadro generale di che persona sei e quanto puoi dare ancora a una donna, e il tipo di messaggio che vorresti dare è farle capire che non sei una brutta persona, che nella vita si ha sbagliato, ma che comunque dentro abbiamo tanti sentimenti da regalare.

E ti inizi a fare mille paranoie tipo: la troverò una persona che accetti il mio passato? O verrò sempre giudicato per quello che ho commesso? Ce la farò ancora a sposarmi e a creare una famiglia? O sarò destinato ad essere giudicato come una persona inaffidabile?

Quello che sto cercando di dire è che le persone vanno conosciute e non giudicate per ciò che hanno fatto in passato, ma d’altronde qui in carcere questi sono i pensieri che ti assalgono, non pensi a una donna solo a livello di sfogo sessuale, ma qui dentro — torno a ripetere — non si fa altro che pensare.

E quando si pensa a una figura femminile la immagini che ti ascolti, che riesca a guardare dentro di te e che magari dica che un detenuto che ha sofferto potrebbe avere più sentimenti di chiunque altro.

(Nicola - testimonianza raccolta da Corinna Opara)

"Celle aperte": attivata la sorveglianza dinamica nella Casa Circondariale di Udine

Udine - Anche nella Casa Circondariale di Udine si è finalmente attivata l’organizzazione della “sorveglianza dinamica” ovvero il modello delle "celle aperte", che è operativo, o deve diventare operativo, in tutti gli istituti penitenziari del nostro paese. Attualmente tale modello è applicato in una sezione, ma dovrà trovare applicazione, a breve, in tutta la struttura carceraria di via Spalato.

Nello specifico le persone detenute possono godere di una “maggiore mobilità” in quanto le celle, da circa un mese, sono aperte dalle ore 8 alle ore 12 e poi dalle ore 13 alle 20 (per il pranzo vengono chiuse un’ora dato che nel carcere non c’è una mensa e quindi il vitto deve essere distribuito e consumato in cella per ovvi motivi organizzativi).

Tale modello permette a ogni persona detenuta di recarsi nelle altre celle e muoversi nel corridoio evitando però “assembramenti”; inoltre non vengono utilizzate, durante la notte, le porte blindate con lo spioncino. Accanto alle quattro ore d’aria, per chi non svolge altre attività, è un passo minimo per migliorare la vivibilità.

Indubbiamente un’innovazione che affievolisce però solo in parte la condizione di costrizione e sicuramente non risolve il problema del sovraffollamento a cui, come si sa, è legata la condanna della Corte Europea dei Diritti Umani che entrerà in vigore a fine maggio se non ci saranno altri provvedimenti utili a ridurre il numero delle persone detenute.

Ascoltando proprio i detenuti negli incontri settimanali con gli assistenti volontari, il riscontro è senza dubbio positivo dato che si facilita una più ampia socializzazione tra le persone, un diverso rapporto con gli agenti di polizia penitenziaria, che non devono essere chiamati costantemente per poter uscire dalla propria cella e, in definitiva, si riducono le tensioni e la cosiddetta “ansia da cella” con un minimo di mobilità in più. Certo le carenze sono ancora molte, dati i limiti della struttura udinese: assenza di una palestra, di spazi laboratoriali, di un auditorium, di un “giardino degli incontri” per i colloqui con i familiari…

Forse con l’avvio dei lavori di ristrutturazione della sezione femminile, non più utilizzata dopo il 2004, alcune di queste lacune potranno essere superate, come impone peraltro l’ordinamento e il regolamento penitenziario. Se poi si considerano i modelli carcerari del Nord Europa - hanno evidenziato alcune persone detenute - le nostre strutture penitenziarie rimangono ferme ancora al medioevo.

È davvero non commentabile l’inerzia della nostra giustizia, che ha guardato altrove fin dal 1975, anno in cui è entrata in vigore la legge di riforma penitenziaria, e ha atteso quasi quarant’anni per avviare una modalità così minimamente diversa, ma decisamente più umana (non a caso il provvedimento della “sorveglianza dinamica” si pone la finalità di “umanizzare” la pena detentiva, ammettendo quindi che le attuali modalità esecutive sono disumane…) di espiare la pena carceraria.

L’auspicio è che il modello delle “celle aperte” diventi un primo passo per mutare radicalmente le condizioni della detenzione nel nostro paese, esempi non ne mancano (Bollate, Gorgona…), eppure non emerge nessun disegno riformatore, basti pensare alla blanda discussione parlamentare sul messaggio inviato dal Presidente della Repubblica inerente al sovraffollamento carcerario.

Non rimangono a questo punto che le sanzioni della Corte Europea, che però non possono essere superate semplicemente adottando il modello delle “celle aperte”, e per il paese che ha visto nascere le riflessioni di Cesare Beccarla, non è proprio cosa da poco.

Maurizio Battistutta - Conferenza Regionale Volontariato Giustizia FVG

Chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari: l'esperienza del Friuli Venezia Giulia

Chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari: l'esperienza del Friuli Venezia Giulia

Trieste - Riforma sanitaria, nuove strutture penitenziarie e, non ultima, la questione della chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg): il tema del disagio nelle carceri continua ad essere in prima linea nel Friuli Venezia Giulia, anche attraverso le personalità coinvolte nei dibattiti di portata nazionale.

Tra gli ultimi esempi, la presenza di Peppe Dell'Acqua, ex direttore del Dipartimento di Salute mentale di Trieste, al seminario della Commissione sanità del Senato organizzato a Roma nella giornata di giovedì 27 marzo.

A lui è stato affidato il compito di aprire l'incontro di approfondimento dedicato alle politiche di salute mentale, ma, soprattutto agli impegni da assumere per il superamento degli Opg, la cui chiusura, prevista per lo scorso 1° aprile, è stata rinviata al 31 marzo 2015 con una seconda proroga (la prima era stata decisa nel 2013 per il 2014).

"Mi è stato chiesto di aprire i lavori di questo incontro non in qualità di semplice cittadino, ma come membro del Forum salute mentale e del comitato nazionale StopOpg, balzato di recente alle cronache nazionali come promotore del viaggio di Marco Cavallo", specifica Dell'Acqua.

E prosegue spiegando come l'invito da parte della Commissione sanità a lui rivolto sia dovuta in quanto "esperto del lavoro di cambiamento avvenuto in Friuli Venezia Giulia e soprattutto del diffuso assetto dei servizi di prossimità che vedono la persona e i suoi bisogni al centro degli investimenti, delle strategie, delle organizzazioni, delle intenzioni di vicinanza. Un assetto di servizi che permette alla nostra regione di utilizzare pochissimo, meno di ogni altra Regione italiana, gli Opg".

Tra le motivazioni che hanno reso necessaria la proroga firmata con grande rammarico dallo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, infatti, la mancata messa in atto della nuova alternativa alle sei strutture presenti in Italia e prossime alla pensione, a scapito delle persone che vi sono ospitate.

Di fronte a questa situazione la Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia di recente aveva preso posizione attraverso un breve documento che ha impegnato l'Assessore alla Sanità Telesca, attualmente alle prese anche con la riforma sanitaria nelle carceri regionali, a "riscrivere l'accordo con il Governo - si legge in una nota stampa - rifiutando qualsiasi impegno di spesa per le nuove strutture (le Rems, residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza) ipotizzate dalla stessa normativa che delibera la chiusura degli attuali sei Opg italiani".

La Regione punta invece ad investire sull'ulteriore rafforzamento dei Dipartimenti di Salute Mentale, sui progetti terapeutici individuali e sulla diffusione di un adeguato servizio di assistenza in carcere.

Una richiesta che dimostra la coerenza dell'impegno preso nel novembre scorso in occasione della partenza del Viaggio di Marco Cavallo, quando la presidente del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani aveva affidato ai "viaggiatori" un messaggio che invitava gli amministratori delle regioni toccate dal viaggio ad andare in questa direzione".

E se da un lato il rinvio della chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari può essere letto come un fallimento da parte dello Stato nella sua capacità di raggiungere gli obiettivi preposti, è anche vero che quest'anno in più può rappresentare un'ulteriore opportunità per studiare nuove e più efficaci alternative agli Opg.

Corinna Opara

Nella foto: copertina di "Una via d'uscita - l'esperienza dell'Ospedale psichiatrico nello Stato di Minas Gerais", di Virgilio De Mattos (ed. alpha beta Verlag, 2012)

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Redazione di Trieste: Serenella Dorigo
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