Diritti umani in Russia sempre più in pericolo. A colloquio con l'attivista Andrei Mironov
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- Categoria: Uomini e diritti
- Pubblicato Martedì, 03 Dicembre 2013 23:52
- Scritto da Tiziana Melloni
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Trieste - Lo spartiacque è stata la manifestazione del 6 maggio 2012, a Mosca. Il motivo, i brogli elettorali per far tornare al potere il partito Russia Unita – il partito di Putin.
In quella data, immediatamente prima dell'insediamento del presidente Putin, circa 100mila persone parteciparono a una protesta pacifica a Mosca. La polizia aveva improvvisamente bloccato la strada per piazza Bolotnaya, dove la marcia sarebbe dovuta terminare, provocando così uno scontro con i manifestanti. Poi la polizia aveva attaccato i manifestanti con manganelli e gas lacrimogeni.
Circa 600 persone furono arrestate, centinaia i feriti. Sono ancora in corso pesanti azioni penali contro i manifestanti per la partecipazione a “disordini di massa e atti di violenza” - così le autorità russe hanno definito la protesta.
Da lì in poi è salita continuamente la protesta in Russia contro corruzione e “sbirrocrazia”, termine con cui gli oppositori del premier – che qualche giorno fa era a Trieste per un vertice con il primo ministro Letta – definiscono la Federazione russa.
E proprio a Trieste è venuto il 3 dicembre, per due incontri (uno al liceo “Galilei”, l'altro nella sala Tessitori del Consiglio regionale) organizzati dalla sezione locale di Amnesty International, guidata da Giuliano Prandini, Andrei Mironov, giornalista e attivista russo, che nel 1985, quando era al potere Gorbaciov, fu arrestato e chiuso in un gulag. Mironov venne condannato a quattro anni di detenzione e tre di esilio interno per propaganda sovversiva antisovietica.
Durante la guerra in Cecenia Andrei Mironov organizzò incontri segreti tra rappresentanti ceceni e deputati russi per una soluzione pacifica del conflitto. Le sue iniziative erano in contrasto con i piani governativi di schiacciare con la forza lʼinsurrezione. Mironov subì un'aggressione in cui venne ferito alla testa.
Anche oggi continua a battersi per il rispetto dei diritti umani in Russia.
Recentemente la legge russa ha limitato la libertà di associazione, di espressione e di riunione, ed ha introdotto norme discriminatorie nei confronti delle persone omosessuali. Giornalisti ed attivisti sono perseguitati; di fatto la libertà di opinione è fortemente in pericolo.
Abbiamo rivolto alcune domande ad Andrei Mironov.
Che cosa contesta al governo di Putin il movimento di protesta russo?
Mancanza di democrazia e falsificazione dei risultati elettorali. L'indignazione contro un risultato elettorale frutto di brogli è stata forte. I cittadini si sono sentiti umiliati. In certi seggi, dove non c'erano i controlli del partito, Russia Unita arrivava appena al 22%. Invece il risultato finale è arrivato a più del 60%.
Da chi è costituito questo movimento?
Oggi sta crescendo una nuova generazione, quella dei ventenni e trentenni, che in qualche modo è “orfana” del paternalismo che caratterizzava il regime sovietico, e quindi non ha niente da perdere. Prima la maggior parte dei russi stavano zitti per non perdere quello che dava il partito. Ora i giovani non si aspettano nulla dal potere, quindi in un certo senso sono più liberi.
Qual è il ruolo di internet? C'è accesso alla rete?
L'accesso è libero, dove esiste la connessione. Più del 50% della popolazione ha accesso alla rete. Spesso si parla di un maggiore controllo di Internet da parte delle autorità, ma questo alla fine non avviene perché la burocrazia è molto lenta, il potere è estremamente verticale, e questo finisce per favorire la rete, che invece si muove velocemente.
Il caso delle Pussy Riots, che ha fatto il giro del mondo proprio attraverso il web, ha dimostrato che è in atto un processo di ampliamento della democrazia tramite i nuovi media.
Il potere in Russia è arcaico, “premachiavellico”: ogni decisione finale spetta al capo supremo, non c'è divisione delle funzioni. Tempo fa scoppiò un grosso incendio; i soccorsi tardarono per ore perché mancava un ordine diretto di Putin.
Quale ruolo ha l'educazione in tutto questo?
I vertici del governo russo si sono resi conto che la scuola è un nodo fondamentale per il controllo. Tanto che esiste il progetto di un manuale di storia unificato per tutti gli studenti, improntato al principio secondo cui nella storia non contano i fatti, ma i miti positivi che portano i giovani a provare l'orgoglio della loro patria.
Tradotto in poche parole, ciò significa che la storia si può falsificare, a favore dello Stato. Sono convinto però che la diffusione delle informazioni attraverso la rete sia un fatto irreversibile contro cui le autorità non sono preparate a confrontarsi.
Il processo per l’uccisione della giornalista Anna Politkovskaja è nuovamente fermo; altri giornalisti sono stati uccisi: qual è lo stato dell'informazione in Russia?
Putin ha affermato che Anna Politkovskaja ha fatto più danni con la sua morte che con i suoi articoli. Le indagini e gli attentati che la giornalista aveva subito prima della morte fanno pensare ad una precisa volontà di eliminarla da parte del regime.
Ci sono però giornalisti che si battono a favore della verità, ad esempio Yulia e Alexei Polukhin della Novaya Gazeta, che recentemente hanno denunciato il caso di Mikhail Kosenko, condannato ad un trattamento psichiatrico obbligatorio.
C'è il rischio di tornare ad uno stato di polizia? Cosa ne è del temuto KGB?
In Russia c'è una vera e propria “sbirrocrazia”. Il 75% delle decisioni viene preso dal Servizio Federale di sicurezza, erede a pieno titolo del KGB. Il regime di Putin, impaurito dal crescere delle proteste, sta facendo ritornare il peggio della dittatura sovietica.