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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Troppo amore che diventa odio: il mito di Medea in una veste inaspettata

Troppo amore che diventa odio: il mito di Medea in una veste inaspettata

Trieste – Quando Mozart ascoltò la Medea di Jiri Antonín Benda - la medesima messa in scena alla Sala Tripcovich ieri 15 febbraio - era il 1778 e disse al padre: “…non si canta, solo recitazione al cui rispetto la musica si comporta come una specie di accompagnamento obbligato… A volte si parla mentre la musica prosegue e ciò produce un magnifico effetto…”.

Mozart diede così, nel medesimo tempo, una definizione del “melologo” e indicò nell’opera di Benda la direzione estetica che attraverso il Singspiel, Cherubini, Beethoven e Weber sarebbe giunta fino alla Carmen di Bizet, marcando la via alla questione del rapporto tra parola e musica, questione iniziata dall’avvocato Marco Tullio Cicerone e dall’oratore Dionigi di Alicarnasso.

In secondo luogo, a un giorno dal ballo mondiale delle donne contro la violenza, una donna su un palcoscenico invoca vendetta presso gli dei, furiosa, agguerrita e appassionata - e se la procura con le proprie mani, nel sangue - contro un marito che l’ha usata e abbandonata per un’altra.

Evento ricco e denso quindi, questo “Intorno a Medea”, buono per femministe, classicisti, filologi, attori, cultori del public speaking e, in modo speciale, per gli amanti della lirica. A due passi dal teatro in cui alle repliche di Carmen non entra più neanche uno spillo, alla prima della Medea di Benda sono stati in molti a snobbare il magnifico effetto suggerito da Mozart, sebbene sarebbe stato naturale un tutto esaurito.

Spettacolo raffinato, il melologo, è vero. Molto intellettuale. E finanche snodo fondamentale per intendere l’opera, compresa quella moderna.

E questo lo ha capito e realizzato benissimo Marco Taralli, il musicista che ha composto “Riflessioni su Medea di Jiri Antonín Benda”, l’intervento corale che funge da preludio all’opera: una musica aliena da sperimentazioni, che rientra nel solco melodico e timbrico di Brahms e Wagner, efficace anche nel tratteggio vocale d’insieme, originale e implicante - pur nella sua brevità – nell’anticipare il dramma che sarà consumato.

A fare da sfondo alla recitazione di Clara Galante che interpreta Medea, la musica di Antonín Benda: al confine tra barocco e preromanticismo, manifesta la sua tendenza neoclassica con un equilibrio formale e una sintassi compositiva simmetrica e coerente pur senza rinunciare alle invenzioni drammatiche che anticipano le soluzioni mozartiane che ricordano il “Ratto dal serraglio” e il “Don Giovanni”.

Ma è dell’attrice Chiara Galante la parte più impegnativa. Doppiamente difficile: non solo è chiamata a interpretare un mito della femminilità complicato dalla marginalità e dal conflitto interiore, lacerato dal troppo amore che diviene odio e dolore inferto a se stessa e agli altri, ma anche a ricoprire la funzione di figura recitante nel delicato rapporto tra voce e musica, caratteristico del melologo.

All’interno di una musica così marcatamente settecentesca, legata al rigore formale e alla “nobile semplicità e quieta grandiosità” dell’antichità classica così come fu rivalutata qualche anno prima da Winckelmann, la recitazione di Galante, pur coinvolgente e trascinante in taluni momenti, in altri risulta impetuosa ed enfatica rispetto la musica. Non sempre la sua declamazione è in equilibrio con la severa simmetria dei movimenti della parte musicale.

Infatti Benda, formatosi presso i gesuiti che erano estimatori della retorica e della recitazione classica, si ispirò agli esempi dei grandi monologhi del teatro greco in modo che appoggi di recitazione, curve di intonazione e varietà ritmica della prosa non dominassero sulla musica.  

Tuttavia il risultato complessivo è più che soddisfacente. La direzione del M° Diego Dini Ciacci è bene coordinata con lo spirito dei compositori. La regia di Alessio Pizzech è perfettamente funzionale alla continuità tra i due momenti.

Suggestiva ed elegante la scena di Pier Paolo Bisleri (ideatore anche dei costumi) che interpreta bene la geometria diametrale di amore e odio. Efficacissima l’unica nota di colore con la colata di sangue purpureo nel grigiore cinereo e desolato della devastazione affettiva.
Buone le prove sia dell’Orchestra sia del Coro preparato dal M° Paolo Vero, entrambi della Fondazione del Teatro Lirico “Giuseppe Verdi” di Trieste.
Prossimi appuntamenti: per le scuole giovedì 7 marzo (ore 10.30) e martedì 23 aprile (ore 10.30). Per tutti: domenica 28 aprile ore 16.00

Informazioni e vendita alla Biglietteria del Teatro Verdi e, da un’ora prima dello spettacolo, direttamente alla Sala Tripcovich
Biglietteria: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

[Roberto Calogiuri]

Il mito di Medea, la maga che uccide i suoi figli, rivive in un insolito recital. Nostra intervista

Il mito di Medea, la maga che uccide i suoi figli, rivive in un insolito recital. Nostra intervista

Trieste - Il mito greco mantiene la sua continuità con il presente: Medea, la potente maga che aiuta il marito Giasone da cui è ripudiata, diviene fratricida, omicida e assassina dei propri figli, assurge a simbolo permanente della vendetta ma anche della dissoluzione della famiglia e della complicata condizione della donna. Una Filumena Marturano alla rovescia.

Da Euripide a Pasolini, Medea ha ispirato letterati, pittori e musicisti. Ora approda a Trieste in una manifestazione rara e speciale, voluta dalla Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi e articolata in due parti complementari che congiungono l’antichità mitica con il moderno. Il medium è il genere poco praticato ma intenso e suggestivo del “melologo”, vale a dire un monologo in prosa recitato assieme a un commento musicale che ne evidenzia gli accenti drammatici.

Lo spettacolo, infatti, verterà sulla Medea di Jiří Antonín Benda, il compositore boemo settecentesco che con i suoi melologhi sarebbe entrato nel curriculum formativo di Mozart e di Beethoven e avrebbe influenzato lo sviluppo del melodramma tedesco, anche con le musiche di Ariadne auf Naxos e Pigmalione, per stimolare più tardi anche Liszt e poi Schönberg, Honegger e Stravinskij.

La Medea di Benda, che comprende una selezione dal testo greco di Euripide, sarà preceduta - e qui consiste la novità sperimentale e l’interesse dello spettacolo - dalla prima assoluta di Riflessioni su Medea di Jiri Antonín Benda del M° Marco Taralli a cui la Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi ha commissionato l’opera.

Marco Taralli, compositore versatile e conosciuto in entrambe gli emisferi, è noto al pubblico triestino per aver curato l’edizione critica e la revisione del “Sabato del villaggio” di Ferruccio Busoni in occasione della sua prima esecuzione moderna.

Ora ritorna con una composizione musicale originale che si confronta e si combina dialetticamente con la Medea di Benda, ne introduce il dramma dando voce al coro – escluso dalla composizione di Benda - che osserva e critica l’azione, si esprime con il linguaggio antico delle emozioni primitive per attingere direttamente al nucleo profondo della tragedia e, infine, aggiungere il commento dell’uomo moderno per un pubblico moderno.

È per questo che la Fondazione ha indirizzato lo spettacolo anche (e soprattutto) al pubblico delle scuole della Regione, al quale ha riservato tre delle cinque repliche dello spettacolo. Il melologo, infatti, per sua natura permette di apprezzare la funzione e l’importanza della musica in una rappresentazione teatrale, di far notare ai più giovani come la musica possa rappresentare e interpretare sentimenti, emozioni e azioni dei protagonisti, per scoprire le tecniche che i compositori utilizzano per descrivere, commentare o sottolineare una scena, evocare o anticipare situazioni o fatti, come del resto accade nelle colonne sonore in tutta la filmografia, dal cinema muto ai giorni nostri.

Per introdurre l’evento, abbiamo posto qualche domanda direttamente al compositore M° Marco Taralli che ha risposto con grande disponibilità.

Maestro, il melologo è un genere musicale particolare. In quest’occasione è rivolto anche agli allievi delle scuole. Con quale intento culturale?
Il melologo è, in effetti, un genere musicale particolare, tra l'altro a me molto vicino poiché in passato ho avuto modo di cimentarmi con questo genere più volte e nei più diversi contesti. Rispetto all’opera lirica, e ancor più alla musica sinfonica o da camera, il melologo può essere veicolo di comunicazione realmente “essenziale” e “diretto”.

È possibile "raccontare una storia", per così dire, con pochi e chiari gesti, senza per questo andare a compromettere o limitare il messaggio che sta “oltre” la storia stessa e che viene comunque trasmesso attraverso il metalinguaggio artistico.

Questa apparente semplicità della forma del melologo musicale, può rappresentare per alcuni giovani un ottimo strumento di comunicazione, in quanto molto spesso il pubblico giovane è inesperto se non digiuno in fatto di teatro musicale e può quindi essere “distratto” quando non proprio “disturbato” nella ricezione del messaggio dalla complessità di una forma operistica o sinfonica.

Cosa l'ha spinta a "riflettere" proprio su una donna come Medea? Che importanza può avere, ai giorni nostri, riflettere su questa figura del mito greco?
In ogni tempo il mito di Medea ha affascinato e stimolato la fantasia di artisti che, di questa vicenda,hanno colto ed esaltato le svariate sfumature nelle forme d’arte più diverse; il mito di questa donna dai sentimenti estremi, così come i miti antichi o le antiche fiabe di qualsiasi cultura o tradizione, parlano alla nostra anima con formule archetipico e le risposte sono a volte frutto di un moto inconscio  con esiti diversi a volte sorprendenti.

I simboli archetipici insiti nel mito, offrono spesso profondi spunti di riflessione, in grado di entrare in risonanza con quegli stessi simboli che sono presenti a vari livelli, nella vita quotidiana di ognuno di noi.

Ma l’aspetto che ha stimolato ed è stato il motore della mia riflessione su Medea, è quello della contrapposizione tra il libero arbitrio umano e l'ineluttabilità del Fato. Infatti il coro iniziale si esprime proprio per mettere in evidenza questa inevitabile volontà divina, questa assoluta impotenza umana di fronte al volere degli dei, e al potere del Fato, che viene subito ed accettato come “fatale”, appunto, ed inevitabile realtà.
 
Quale rilevanza riveste Georg Anton Benda per il melologo e per lo sviluppo della composizione musicale successiva?
Da quanto ho avuto modo di studiare, Benda si è espresso più di una volta utilizzando questo particolare linguaggio, e sono ben noti a tutti i felici apprezzamenti espressi dal giovane Mozart a riguardo.

È anche vero però che la strada da lui percorsa non ebbe grande seguito; le cause posso essere più d’una ma forse la più verosimile è che il mondo di allora non era ancora pronto per la grande asciuttezza comunicativa propria del linguaggio di questo compositore ceco, che al contrario, oggi credo possa trovare riscontro positivo soprattutto quando si rivolga ad una pubblico di giovani, per i quali asciuttezza e semplicità posso a volte risultare il giusto mezzo di contatto.

Lo spettacolo è proposto nell’esecuzione dell’Orchestra e del Coro - preparato dal M° Paolo Vero - del Teatro Verdi con la direzione del M° Diego Dini Ciacci. Protagonista nel ruolo di Medea è l’attrice Clara Galante. La regia è affidata ad Alessio Pizzech. Le scene e i costumi sono di Pier Paolo Bisleri.

Trieste – Sala Tripcovich. Prima rappresentazione Venerdì 15 febbraio 2013 ore 20.30
Repliche: per le scuole venerdì 15 febbraio (ore 10.30), giovedì 7 marzo (ore 10.30) e martedì 23 aprile (ore 10.30). Per tutti: domenica 28 aprile ore 16.00


Informazioni e vendita alla Biglietteria del Teatro Verdi e, da un’ora prima dello spettacolo, direttamente alla Sala Tripcovich.

[Roberto Calogiuri]

Una sobria versione di "Carmen" al Verdi di Trieste, con la mezzosoprano friulana Luciana D'Intino

Una sobria versione di

Trieste – Secondo appuntamento del cartellone lirico del Verdi di Trieste, nella serata del 5 febbraio è andata in scena “Carmen” di Georges Bizet, opera tra le più rappresentate al mondo, apprezzata da Nietzsche, Wagner e Strauss. Una partitura difficilissima e un esempio di invenzione musicale continua, inarrestabile e fluente.

Per l’edizione attuale è stata scelta la versione con i recitativi musicati da Guiraud, amico del compositore, in luogo dei dialoghi parlati della prima stesura. Elisabetta Brusa ha ripreso la regia di Carlos Saura, statica e scarna. Pannelli nudi ed essenziali, su cui si proiettano ombre allusive all’azione, costituiscono le scene di Laura Martinez, forse con l’intento di concentrare tutta l’attenzione sul dramma.

Ricchi, fastosi e colorati i costumi di Pedro Moreno che formano composizioni visive di gusto fotografico e gradevole. Le luci esatte e suggestive di Paco Belda. Le coreogafie sobrie e poco spagnoleggianti di Goyo Montero.

Eppure qualcosa non ha funzionato nella trasmissione di quel pathos bifronte che è tipico di “Carmen”. Il doppio registro teatrale, costituito da alternanza e fusione di atmosfera brillante e tragica che dovrebbe commuovere, esaltare e tramortire, si è rivelato privo di equilibrio. Il congegno miracoloso proprio di quest’opera, realizzato attraverso l’insieme di personaggi musicalmente definiti e caratterizzati con estrema precisione sotto il profilo psicologico, si è inceppato.

Fin dalle prime note del preludio, quello che per Nietzsche dovrebbe essere “un magnifico baccano da circo”, si percepisce una direzione allentata e poco incisiva, come se il M° Donato Renzetti (apprezzato anche per il discorso estemporaneo, pieno di calore ed emozione  rivolto ai giovani presenti al concerto di Ferruccio Busoni) avesse privilegiato grazia e sobrietà a scapito della definizione vigorosa, nervosa e chiaroscurale della partitura. Il che ha dato l’impronta a tutta l’azione.

Attesa star della serata è la mezzosoprano Luciana D’Intino che festeggia i 30 anni di una carriera luminosa. Celebrità internazionale di origini friulane (è nativa di San Vito al Tagliamento), interpreta Carmen con padronanza della scena e di mezzi vocali. Timbro pastoso, buona estensione, emissione duttile e sicura sono confortati dal personale latino e fascinoso con cui sa colorare il mistero mutevole e inafferrabile del suo personaggio.

Il tenore Andrea Carè (Don José) sfodera un prodigioso volume di voce, un timbro squillante, un’emissione sicura e naturale che sembra non gli costi nessuna fatica. Bella la figura schiva e introversa, anche se nel finale la regia lo vuole una specie di psicotico ossessivo compulsivo. Sarebbe – e ha tutte le potenzialità per essere - perfetto se controllasse la mezzavoce e migliorasse la messa di voce.

Molto convincente la Micaela della soprano Serena Gamberoni che sostiene il lirismo intenso e puro della parte con competenza canora e scenica. Con naturale dolcezza, riesce a dare corpo e profilo a un personaggio convenzionale allontanando ogni ombra stucchevole.

Alle soglie dell’imbarazzo la prestazione del basso-baritono Lucio Gallo, tanto più perché uno tra i momenti più attesi: nei famosi couplets del secondo atto, ovvero l’arcinota aria “Toreador” su cui si articola ed esaurisce la figura di Escamillo - personaggio difficilissimo, di studiata superficialità, fanfarone sicuro del successo e della seduzione -  dimostra un’intonazione imprecisa e traballante, acuti con la rincorsa e bassi non proprio rotondi e percepibili.
 
Yukiko Aragaki (una piacevole e spiritosa Frasquita, soprano giapponese), Cristina Damian (Mercédès, mezzo soprano rumena), Gianluca Sorrentino (Il Remendado, tenore) e Dario Giorgelè (Il Dancairo, baritono) conferiscono la giusta vitalità ai rispettivi personaggi e al quintetto del secondo atto, altra prova impegnativa per ritmo, velocità, intonazione e recitazione.

Completano il cast il baritono Nicolò Ceriani, un Moralès dalla buona presenza e dizione, e il basso Federico Benetti (Zuniga).

Una tradizionale sicurezza è il coro preparato dal M° Paolo Vero. Una menzione particolare per le signore coriste, attive con cognizione recitativa nelle concitate scene d’insieme. Un plauso al Coro di voci bianche dei Piccoli Cantori della Città di Trieste preparati da Cristina Semeraro, spiritosi e spigliati.

Tiepido il pubblico alla fine. Pioggia di fiori rituale più che spontanea.

Repliche: venerdì 8 febbraio, ore 20.30 turno C. Sabato 9 febbraio, ore 20.30 B (Carmen: Chiara Calli. Don José: Mario Malagnini). Domenica 10 febbraio, ore 15.30 D. Mercoledì 13 febbraio, ore 20.30 C. Sabato 16 febbraio, ore 15.30 S.

Prossimo appuntamento: 8 marzo 2013 con Macbeth di Giuseppe Verdi

[Roberto Calogiuri]

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