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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Una sobria versione di "Carmen" al Verdi di Trieste, con la mezzosoprano friulana Luciana D'Intino

Una sobria versione di

Trieste – Secondo appuntamento del cartellone lirico del Verdi di Trieste, nella serata del 5 febbraio è andata in scena “Carmen” di Georges Bizet, opera tra le più rappresentate al mondo, apprezzata da Nietzsche, Wagner e Strauss. Una partitura difficilissima e un esempio di invenzione musicale continua, inarrestabile e fluente.

Per l’edizione attuale è stata scelta la versione con i recitativi musicati da Guiraud, amico del compositore, in luogo dei dialoghi parlati della prima stesura. Elisabetta Brusa ha ripreso la regia di Carlos Saura, statica e scarna. Pannelli nudi ed essenziali, su cui si proiettano ombre allusive all’azione, costituiscono le scene di Laura Martinez, forse con l’intento di concentrare tutta l’attenzione sul dramma.

Ricchi, fastosi e colorati i costumi di Pedro Moreno che formano composizioni visive di gusto fotografico e gradevole. Le luci esatte e suggestive di Paco Belda. Le coreogafie sobrie e poco spagnoleggianti di Goyo Montero.

Eppure qualcosa non ha funzionato nella trasmissione di quel pathos bifronte che è tipico di “Carmen”. Il doppio registro teatrale, costituito da alternanza e fusione di atmosfera brillante e tragica che dovrebbe commuovere, esaltare e tramortire, si è rivelato privo di equilibrio. Il congegno miracoloso proprio di quest’opera, realizzato attraverso l’insieme di personaggi musicalmente definiti e caratterizzati con estrema precisione sotto il profilo psicologico, si è inceppato.

Fin dalle prime note del preludio, quello che per Nietzsche dovrebbe essere “un magnifico baccano da circo”, si percepisce una direzione allentata e poco incisiva, come se il M° Donato Renzetti (apprezzato anche per il discorso estemporaneo, pieno di calore ed emozione  rivolto ai giovani presenti al concerto di Ferruccio Busoni) avesse privilegiato grazia e sobrietà a scapito della definizione vigorosa, nervosa e chiaroscurale della partitura. Il che ha dato l’impronta a tutta l’azione.

Attesa star della serata è la mezzosoprano Luciana D’Intino che festeggia i 30 anni di una carriera luminosa. Celebrità internazionale di origini friulane (è nativa di San Vito al Tagliamento), interpreta Carmen con padronanza della scena e di mezzi vocali. Timbro pastoso, buona estensione, emissione duttile e sicura sono confortati dal personale latino e fascinoso con cui sa colorare il mistero mutevole e inafferrabile del suo personaggio.

Il tenore Andrea Carè (Don José) sfodera un prodigioso volume di voce, un timbro squillante, un’emissione sicura e naturale che sembra non gli costi nessuna fatica. Bella la figura schiva e introversa, anche se nel finale la regia lo vuole una specie di psicotico ossessivo compulsivo. Sarebbe – e ha tutte le potenzialità per essere - perfetto se controllasse la mezzavoce e migliorasse la messa di voce.

Molto convincente la Micaela della soprano Serena Gamberoni che sostiene il lirismo intenso e puro della parte con competenza canora e scenica. Con naturale dolcezza, riesce a dare corpo e profilo a un personaggio convenzionale allontanando ogni ombra stucchevole.

Alle soglie dell’imbarazzo la prestazione del basso-baritono Lucio Gallo, tanto più perché uno tra i momenti più attesi: nei famosi couplets del secondo atto, ovvero l’arcinota aria “Toreador” su cui si articola ed esaurisce la figura di Escamillo - personaggio difficilissimo, di studiata superficialità, fanfarone sicuro del successo e della seduzione -  dimostra un’intonazione imprecisa e traballante, acuti con la rincorsa e bassi non proprio rotondi e percepibili.
 
Yukiko Aragaki (una piacevole e spiritosa Frasquita, soprano giapponese), Cristina Damian (Mercédès, mezzo soprano rumena), Gianluca Sorrentino (Il Remendado, tenore) e Dario Giorgelè (Il Dancairo, baritono) conferiscono la giusta vitalità ai rispettivi personaggi e al quintetto del secondo atto, altra prova impegnativa per ritmo, velocità, intonazione e recitazione.

Completano il cast il baritono Nicolò Ceriani, un Moralès dalla buona presenza e dizione, e il basso Federico Benetti (Zuniga).

Una tradizionale sicurezza è il coro preparato dal M° Paolo Vero. Una menzione particolare per le signore coriste, attive con cognizione recitativa nelle concitate scene d’insieme. Un plauso al Coro di voci bianche dei Piccoli Cantori della Città di Trieste preparati da Cristina Semeraro, spiritosi e spigliati.

Tiepido il pubblico alla fine. Pioggia di fiori rituale più che spontanea.

Repliche: venerdì 8 febbraio, ore 20.30 turno C. Sabato 9 febbraio, ore 20.30 B (Carmen: Chiara Calli. Don José: Mario Malagnini). Domenica 10 febbraio, ore 15.30 D. Mercoledì 13 febbraio, ore 20.30 C. Sabato 16 febbraio, ore 15.30 S.

Prossimo appuntamento: 8 marzo 2013 con Macbeth di Giuseppe Verdi

[Roberto Calogiuri]

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Direttore: Maurizio Pertegato
Capo redattore: Tiziana Melloni
Redazione di Trieste: Serenella Dorigo
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