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Letta – Renzi: un passaggio problematico che pone interrogativi e crea attese
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- Pubblicato Lunedì, 24 Febbraio 2014 19:29
- Scritto da Silvano Magnelli
Trieste - Est modus in rebus, dicevano i latini, ossia ogni scelta implica un’esclusione e un’adesione, ma c’è modo e modo di affrontarle. La rapida svolta politica che ha portato al cambio di guardia al vertice del governo italiano ha lasciato non pochi strascichi e suscitato numerosi consensi e dissensi. Diciamo che non si è trattato di una manovra elegante e di un gentleman agreement.
Anzi: è parsa un’autentica acrobazia politica escludere un presidente come Enrico Letta, che aveva dato l’impressione di aver fatto il possibile, guadagnandosi stima e considerazione, ma che forse aveva dato pure l’impressione di una lentezza nelle scelte con l’inesorabile giudizio di inefficacia rispetto ai troppi problemi del Paese.
Rimane comunque un vulnus metodologico innegabile e per certi aspetti ingrato verso un politico preparato, ma non si può del tutto respingere la preoccupazione di chi, come l'attuale premier Matteo Renzi, si è mosso, magari in forma disinvolta, sospinto da un vento tempestoso che sale dalla gente comune assediata dalle ansie e dalle paure.
Renzi ha deciso di rompere gli indugi e di tentare il doppio salto mortale, perché a suo avviso, come ha detto nel discorso di insediamento in Senato, “c’è un’Italia più avanzata della politica che si è stancata di aspettare i cambiamenti del mondo politico arretrato ed autoreferenziale”.
Siamo perciò come sospesi nel giudizio tra una sensazione di frettolosità eccessiva ed ambiziosa e una stentata adesione (la fiducia, a detta dello stesso Renzi, è un parola grossa oggi… ) a quella fretta “renziana” di scegliere e di far contare la politica come potere che fa valere la legge del bene comune e mette in riga mercati, mercanti, speculatori, disonesti, evasori, lobbies ingombranti, interessi personali, inqualificabili ambizioni e insostenibili privilegi.
E faccia funzionare le istituzioni con passione ed efficienza verso i bisogni dei cittadini stremati da disoccupazione e spese non più affrontabili. E cerchi di cucire e proteggere il territorio ferito e bucato dai dissesti e dalla faciloneria di chi costruisce e da chi non sorveglia sui piani urbanistici.
E dia forza e rinascita alla scuola, di cui Renzi parla per fortuna spesso, e agli studi universitari, così come ai progetti economici, che possono avviare procedure virtuose per dare lavoro. Renzi ha scritto in un documento sintetico del suo pensiero che “non bisogna aver paura della modernità, il costante movimento dei tempi presenti va visto come una benedizione e non come un intralcio”, affermando inoltre che i democratici devono uscire dalle categorie ideologiche ed entrare nella dinamica “innovazione ed uguaglianza” con uno sguardo lungo e fiducioso, perché “serve una narrazione temporale dinamica più ricca”.
Il gelo che si è visto al congedo tra i due premier Letta e Renzi ha fatto male a chiunque abbia a cuore il comune senso di appartenenza statale, ma ormai , a cose fatte, rimane l’impegno di chi ha cercato questa svolta di farla capire ai cittadini storditi da tante convulsioni politiche, e non tanto con le spiegazioni verbali, quanto con il coraggio di quelle scelte in assenza delle quali ci siamo trovati nello scompiglio attuale.
Silvano Magnelli
“Diamo un calcio all’omofobia – Chi allaccia ci mette la faccia”
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- Pubblicato Giovedì, 20 Febbraio 2014 18:02
- Scritto da Redazione ilfriuliveneziagiulia
È stata inaugurata da qualche giorno a Milano la campagna “Diamo un calcio all’omofobia – Chi allaccia ci mette la faccia” ideata dall’agenzia di scommesse Paddy Power con il sostegno delle Associazioni Nazionali ArciLesbica e Arcigay e della Fondazione Cannavò per lo sport.
Sono numerosi gli sportivi e le sportive dei campionati di calcio, basket e pallavolo, che hanno ricevuto il “kit” contenente i lacci, il manifesto della campagna e l’invito formale ad allacciarli per dimostrare il proprio sostegno nella lotta contro le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere.
Le grandi battaglie umanitarie hanno scelto, spesso, simboli semplici come una sciarpa, una coccarda, un fiocco per attivare le coscienze e spingere all’azione. Paddy Power, insieme a Arcigay e ArciLesbica e alla Fondazione Candido Cannavò per lo Sport, ha scelto un gesto egualmente semplice per combattere l’omolesbotransfobia. Un gesto di tutti i giorni che “ruba” pochi istanti alla frenesia della quotidianità: allacciarsi le scarpe. E in un mondo veloce, che comunica per spot, ha pensato a uno slogan che diventa impegno e colore: “Chi allaccia ci mette la faccia”.
Ci sarà anche qualche calciatore dell’Udinese che sposerà questa nobile causa ed indosserà i lacci arcobaleno durante la prossima gara di campionato? Staremo a vedere…
Dopo il Ricordo: la più complessa vicenda del confine orientale e gli eroi dimenticati
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- Pubblicato Venerdì, 14 Febbraio 2014 16:48
- Scritto da Tiziana Melloni
Trieste - Come ogni anno, le celebrazioni della Giornata del Ricordo, svoltasi lunedì 10 febbraio per “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e la più complessa vicenda del confine orientale”, non mancano di risollevare emozioni e reazioni.
Al di là della commozione suscitata dalle rievocazioni, dai discorsi ufficiali e, non ultimo, dall'intenso spettacolo di Simone Cristicchi “Magazzino 18”, è opportuno soffermarsi anche sulla seconda parte del Ricordo: “la più complessa vicenda del confine orientale”.
Non sempre, nel passato come ora, viene fatta memoria di altre lacerazioni più intime, che hanno ferito profondamente il Friuli Venezia Giulia, e che hanno toccato anche chi ha combattuto sullo stesso fronte contro il fascismo ed il nazismo. Uomini della stessa terra, se non della stessa città, con un nemico comune ma con visioni diverse.
Abbiamo ascoltato la testimonianza di Vanna Pecorari, figlia di Fausto Pecorari, uno dei “cattolici della Resistenza” ricordati dallo storico e giornalista Rai Guido Botteri nel suo saggio del 1960 (I cattolici triestini nella Resistenza/documenti e scritti di Giovanni Tanasco ed altri; raccolti a cura di Guido Botteri; sotto gli auspici del circolo Giuseppe Toniolo. - Udine: Del Bianco, stampa 1960).
“Chissà se dopo quasi 70 anni se ne può parlare? Alludo a quell'episodio della lotta partigiana antifascista di cui mio padre fu protagonista”. Vanna Pecorari ricorda un fatto che viene riportato nel saggio di Guido Botteri.
Racconta Vanna Pecorari: “Quando i tedeschi invasero le nostre terre, ovviamente requisirono tutte le caserme imprigionando quanti vi si trovavano. Però dimenticarono una casermetta di carabinieri situata da qualche parte in Carso. C'erano 20 carabinieri con ufficiale e sottufficiale, i quali si nascosero; l'ufficiale venne da mio padre (cassiere del CLN) a chiedergli aiuto”.
"Papà - prosegue Vanna Pecorari - fu felice di avere sottomano una forza antifascista italiana, addestrata e con ufficiale: l'unica qui in quei tempi, dato che i partigiani locali dimostravano già aperte simpatie per Tito e la sua rivendicazione della nostra città”.
"Pensò di nasconderli e procurar loro il necessario per proseguire la lotta contro i tedeschi e li inviò in quel di S. Dorligo, stabilendo perfino una parola d'ordine per i suoi emissari: "Pavone", ricordando i mosaici di Aquileia”.
“Quando mandò loro il necessario “primo soccorso”, furono trovati tutti morti. "I tedeschi" fu detto, ma papà seppe che a farli cadere in un'imboscata tedesca furono i partigiani sloveni comunisti. So anche i nomi ma non mi sembra che 70 anni siano ancora sufficienti per farli... Il giorno 6 febbraio abbiamo ricordato Porzus. Io vi associo anche questa ventina di eroi”.
Cosa la colpisce nel rievocare quei tempi? “Il fatto che non ci si potesse fidare di nessuno. A mio padre si rivolgevano moltissime persone, in quanto tesoriere del Comitato di Liberazione Nazionale. Non poteva agire da solo, quindi era costretto a fare delle scelte. Purtroppo tra quelli che considerava affidabili c’erano delle spie”.
Fausto Pecorari pagò con la prigionia a Buchenwald il suo impegno nel CLN; fu sottratto all’ultimo momento dall’immediata condanna a morte, e fu tra i pochi a salvarsi dal campo di concentramento.
Un secolo è passato dalla prima Guerra Mondiale, 70 ci separano dall’armistizio della seconda, più di 90 dall’ascesa del fascismo.
Pure, le ferite restano, negli stessi luoghi, tramandate da nonno a nipote, o all’interno di una stessa associazione, come ha raccontato recentemente la giovane collega Martina Seleni in due importanti articoli comparsi nella sua rubrica “Una triestina a Roma” del quotidiano “Il Piccolo” di Trieste: “Caro amico romano, ecco il mio augurio per il Giorno del Ricordo” e “Simone Cristicchi, la tessera dell’Anpi e la memoria della Resistenza”.
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