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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

A conclusione di Mille Occhi: un ritratto di Marc Scialom, vincitore del Premio Anno Uno

A conclusione di Mille Occhi: un ritratto di Marc Scialom, vincitore del Premio Anno Uno

Cala il sipario su quest'ultima edizione dei Mille Occhi, e cala dopo un'ultima giornata intensa al termine della quale il Premio Anno Uno 2012 è stato consegnato nelle mani di Marc Scialom, autore del film proiettato in anteprima europea proprio ieri sera all'Ariston “Nuit sur la mer”.

Presente in mezzo al pubblico per tutto il festival, sin dalla presentazione dei suoi primi lavori Marc Scialom si è rivolto agli spettatori con tono pacato e disponibile.

Da studioso di Dante spiega: “Il mio primo corto, Exils, non mi piace più. Piace agli altri, ma io non mi riconosco più in un lavoro sulla Divina Commedia che dura appena diciassette minuti”

Scusandosi – a torto – per un italiano che definisce incerto, parla del suo lavoro e afferma di non sentirsi un regista, ma di aver realizzato queste poche opere cinematografiche sull'onda della volontà di esprimere idee, concetti e punti di vista che evidentemente nel cinema trovano il loro sbocco naturale – in una narrazione visiva, di carrellate, di voci fuori campo.

Un cinema a tratti visionario, specie nei due corti, ma anche nel primo lungometraggio firmato Scialom, “Lettre à la prison”, il cui montaggio ricorda quasi il “montaggio sovrano” del muto sovietico.

“In verità – racconta – è stato quasi un montaggio di fortuna. Ho lavorato in una piccola sala, di notte. L'audio, poi, è stato realizzato a casa mia. Avevamo un piccolo magnetofono e l'abbiamo registrato così, senza la possibilità di realizzarlo guardando il girato. Fisicamente non vedevamo il labiale degli attori e molte volte infatti i dialoghi sono fuori sincrono. Ma erano altri anni, è un film che volevo realizzare e l'ho fatto praticamente senza un vero budget.”

E “Nuit sur la mer”? Un secondo film che viene prodotto a più di quarant'anni di distanza dal primo  può avere continuità con esso? E cosa ha riempito questi quarant'anni in cui il primo film è rimasto al buio? In verità i pochi film di Marc Scialom rientrano in un percorso intellettuale e culturale coerente, che tocca il tema della comunicazione, dell'identità, dell'esilio, della perdita di sé. Se “Lettre à la prison” non è stato immediatamente capito è forse perché l'Europa non era – non è? - realmente pronta per questo genere di temi e per questo modo di affrontarli.

Nel pluralismo culturale che lo stesso Scialom rappresenta “Lettre à la prison” è attuale quanto e forse più di quarant'anni fa, come lo è oggi  “Nuit sur la mer”, che ai temi dell'esilio – l'esilio contemporaneo, quello dell'emigrante – e dell'identità affianca quello del cinema.

Eloquente la dedica: “Aux sans retour, aux Ulysses sans Ithaque, qui plusiers fois meurent et revivent” - Ai senza ritorno, agli Ulisse senza un'Itaca, che più e più volte muoiono e rinascono.

Piccola nota su un'altra anteprima del festival, “La ballade de  Quidam et Lambda”, di Chloé Scialom e Nicolas Le Bras, proiettato nel pomeriggio di ieri: quando dei film come questo non trovano distribuzione si tratta di un demerito per le case di distribuzione e di un peccato per gli spettatori che non li vedranno. Non resta che aspettare di vedere se questa “Ballade” uscirà dal circuito dei festival per essere presentata a un pubblico più vasto.

 

Nella foto, Marc Scialom.

Da “Lettera da una sconosciuta” a “Lettre à la prison”: è iniziato l’atteso percorso su Marc Scialom a Mille Occhi

Da “Lettera da una sconosciuta” a “Lettre à la prison”: è iniziato l’atteso percorso su Marc Scialom

Trieste - Sesta e penultima giornata di lavori, quella di mercoledì 19 settembre, per il Festival Internazionale del Cinema e delle Arti Mille Occhi.

La mattinata si è aperta con il percorso “Prima che vi uccidano”, dedicato all'omaggio a Giuseppe Fava, con gli episodi della serie “Siciliani”, del programma “Il tempo, la bellezza, il silenzio”, ideato da Fava e trasmesso dalla Rai nel 1982, e di “Anonimo siciliano”, anch'esso realizzato dal grande giornalista siciliano che ne ha curato regia e sceneggiatura.

Riprende l'omaggio a Lia Franca con “Gli uomini, che mascalzoni...” che ha dato inizio alle proiezioni pomeridiane, seguito dalla commedia zurliniana tratta dal romanzo omonimo di Vasco Pratolini “Le ragazze di San Frediano”.

Dopo le due commedie ha avuto inizio il percorso “L'avventura dell'esilio”, l'attesissimo omaggio a Marc Scialom, alla vigilia della consegna del premio Anno Uno per “Nuit sur la Mer” che, ricordiamo, sarà trasmesso nella serata di chiusura del festival in anteprima europea.

In attesa dell'anteprima, Marc Scialom, che con signorile discrezione ha seguito l'intero festival fra pubblico e organizzatori, ha presentato i corti “Exils” – geniale realizzazione del 1966, distribuita nel 2008, ispirata alla figura di Dante – e “La parole perdue” – corto del 1969, sul rifiuto degli orrori della guerra.

A seguire, il film “Lettre à la prison”, lungometraggio sull'identità culturale riscoperto nel 2009, a quasi quarant'anni dalla sua realizzazione.

La giornata si è chiusa con due pellicole ancora una volta di Zurlini. Ancora emozionante, anche agli occhi dello spettatore di oggi – dice bene il direttore Germani quando parla di “film del passato che sono ancora film per l'oggi” – uno dei film cult degli anni '70, “La prima notte di quiete”.

Il secondo lavoro presentato in serata è una delle “chicche” di questa edizione del festival: in una copia ritrovata da Ciro Giorgini che l'ha introdotta al pubblico in sala, in prima proiezione assoluta è stata presentata “La promessa”, regia televisiva di Zurlini – che ne aveva già curato la regia teatrale – trasmessa un'unica volta nel 1970, mai più riproposta, bistrattata, ingiustamente sottovalutata. E che a Mille Occhi ha finalmente conosciuto il grande schermo e una meritata considerazione.

Punto di contatto fra il percorso su Zurlini e quello su Scialom per le proiezioni odierne è la riscoperta, la riscoperta dell’opera dopo anni di silenzio e di attesa, la sua attualizzazione, la sua rivincita: a ricordarci che il cinema – e l’arte in genere – non è solo mercato come oggi si tende forse a credere, ma anche ricerca, partecipazione e scoperta.

Foto tratta dal film: “La prima notte di quiete”.

 

Il cinema racconta la guerra a Mille Occhi festival del Cinema e delle Arti

Il cinema  racconta la guerra a Mille Occhi festival del Cinema e delle Arti

Riprende il percorso sul lavoro di Valerio Zurlini nella quinta giornata dei Mille Occhi, che si è aperta con “La pietà di novembre”, regia televisiva di Lino Procacci da una regia teatrale del cineasta bolognese e si è conclusa con “Il deserto dei Tartari”(1976) – suo ultimo lungometraggio realizzato grazie alla stretta collaborazione del protagonista Jacques Perrin che abbiamo visto in più pellicole negli ultimi giorni – e con “Marcia o crepa” di Frank Wisbar per il percorso “Viaggio in Italia”.

Nel frattempo prosegue giungendo alla sua seconda giornata nella sala dell'Ariston l'omaggio a Giuseppe Fava, con la proiezione di tre episodi della serie “Siciliani” e uno sguardo più ampio sulla Sicilia degli anni '90: viene infatti proposto “Città-STATO (24 frammenti)” di Giuseppe Spina, un montaggio di riprese di operatori ignoti, risalenti agli anni fra il 1992 e il 1994 e ritrovate negli archivi di una piccola rete locale. Erano gli anni di Mani Pulite, gli anni della nascita della Seconda Repubblica, anni in cui la terra siciliana ha bevuto parecchio sangue. Il risultato della sequenza di frammenti, in quella bassa definizione che paradossalmente ricorda allo spettatore quanto il girato sia reale e non fiction, è una visione a tratti agghiacciante.

E pare assurdo, ma tanto quanto le immagini di sangue e di polizia davanti ai morti sono agghiaccianti le scene di devozione superstiziosa, quasi anacronistica, nelle feste di rione e nei rosari recitati in attesa di una qualche apparizione. Un pugno nello stomaco che è un capolavoro, e che è arrivato dopo la proiezione di un'altra pellicola “difficile”, il magnifico e forse poco conosciuto “Seduto alla sua destra”(1968) di Zurlini, ispirato alle vicende del leader indipendentista non violento Patrice Lumumba.

Ma in questa quinta giornata, le emozioni che le immagini "forti" del film hanno regalato è trapelata dalle mani intrecciate e dagli occhi sbarrati sullo schermo: una forza di altro genere è entrata nel festival.

Meravigliosamente letta dalla voce di Omero Antonutti, “Nino” di Umberto Saba ha aperto la serata. Da quei versi Zurlini avrebbe voluto trarre un film ma il progetto non fu mai realizzato. Sembra allora una specie di riscatto artistico il voler introdurre un film di guerra come “Il deserto dei tartari” con un rimando all'intento cinematografico sulle pagine della guerra del Canzoniere.

Sì, un altro genere di forza artistica entra nel festival e lo fa dalla porta principale: gli spettatori silenziosi e incantati hanno visto il cinema fare gli onori di casa e accogliere la poesia.

Chi siamo

Direttore: Maurizio Pertegato
Capo redattore: Tiziana Melloni
Redazione di Trieste: Serenella Dorigo
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