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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Domenica inizia "Prepariamoci" allo Splendor: in anteprima gli spettacoli del Palio studentesco

Domenica inizia

San Daniele del Friuli (Ud) - Lo slogan è già munito di hastag, come questi tempi di Twitter vogliono, per condividere ogni istante sui social: #Prepariamoci! Ma a cosa? Semplice: a sei appuntamenti teatrali di grande richiamo, portati in scena da altrettanti istituti scolastici udinesi che ben presto solcheranno i palchi dei teatri Palamostre e Giovanni da Udine, cornici da anni del Palio studentesco, quest'anno intitolato a Pasolini.

Si svolgerà dal 26 aprile al 17 maggio, presso il Teatro Splendor, "Prepariamoci": la rassegna di alcune delle opere che prenderanno parte alla celebre manifestazione amatoriale teatrale che ogni anno, ad aprile, vede centinaia di ragazzi darsi "battaglia" a colpi di recitazione. E nella cittadina dei prosciutti gli attori in erba porteranno in anteprima i propri lavori, in preparazione al debutto nel capoluogo friulano.

I gruppi coinvolti saranno: "Stupidi...forse, sognatori SÌ!" dell'Isis "Manzini" di San Daniele, che aprirà l'evento domenica sera con "Sogno di una notte di mezza estate" di Shakespeare; il 29 sarà il turno dei "I conti che tornano" dell'ITC "Zanon" con la Lisisastra di Aristofane; il testimone passerà quindi il 6 maggio ai "Cavalli impazziti" dei licei Classico e Scientifico "Bertoni" e il loro Antigone di Sofocle. 

Il 10 arriveranno quelli de "Il muro eccezionale", alias l'Isis "Malignani" con "Fools" di Neil Simon; tre giorni dopo toccherà ai "Mattiammazzo" del liceo Scientifico "Marinelli" con "L'avaro" di Molière e, infine, il 17 concluderà il calendario il gruppo "Retroscena!" con "I segreti della famiglia Brewster", ispirato a un'opera di J. Kesselring e prodotto dall'associazione culturale TeatroTuttoTondo di Buttrio.

Gli spettacoli proposti spazzieranno, come si può notare, dai classici greci alla fiaba popolare yiddish, portando nel centro collinare una ventata di novità grazie alle interpretazioni dei giovani attori. Un qualcosa che si mischierà all'attesa che coinvolgerà pubblico e, soprattutto, teatranti, desiderosi di salire sul palco ma al tempo stesso intimoriti da possibili errori o prestazioni deludenti. Ma ciò non farà altro che rendere ancora più unica questa rassegna.

Organizzate da Officine d'Autore, queste sei serate saranno solo una parte delle numerose novità organizzate per i dieci anni dello Splendor, già entrate nel vivo. L'ingresso a ognuna, a partire dalle 20.30, costerà 3€ e sarà un'occasione d'oro per "gustare" in anteprima la magia del teatro giovane e puro, quello che regala emozioni.

“In fondo agli occhi" di Berardi: metafora del nostro Paese

“In fondo agli occhi “ di Berardi: metafora del nostro Paese

Trieste - In fondo agli occhi di e con Gianfranco Berardi, Gabriella Casolari  con la regia di  César Brie, va in scena mercoledì 22 e giovedì 23 aprile al Teatro Miela, giungendo così all’ultimo spettacolo della riuscita collaborazione fra Bonawentura/Teatro Miela e il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, una sinergia sul piano artistico e su quello logistico.

Con il loro  spettacolo Berardi e Casolari mettono a nudo la condizione, senza prospettiva, del nostro Paese, che viene paragonata alla cecità, attraverso una vicenda ironica e acuta.

«Gianfranco Berardi è lo spirito libero di un teatro non addomesticato – ha scritto Sara Chiappori nella recensione per La Repubblica – nel suo e nel nostro buio accende lampi spavaldi di intelligenza, risate e struggenti dolcezze. La regia di Cèsar Brie sorveglia con discrezione, la complicità di Gabriella Casolari arrotonda gli eccessi. Inutile resistere a Berardi: anche se non vuoi ti porta in fondo agli occhi, dalle parti del cuore». 

Abbiamo dialogato con lui, chiedendogli perché uno spettacolo come “In fondo agli occhi”?

Lo abbiamo scritto a quattro mani, io e Gabriella, per raccontarsi e raccontare il nostro  Paese. Sono partito da un’esperienza autobiografica per tradurre e catalizzare una situazione collettiva, universale, cercando e trovando punti di connessione con la mia storia personale, fatta di vizi, non solo di virtù. Uno spettacolo fatto di ricerca, ricerca ed esplorazione che prosegue, anche, attraverso gli altri con i quali portiamo avanti la nostra ricerca.

Un reciproco scambio di situazioni, di “vedute”,  che arricchiscono l’uno e l’altro, nel mio caso e di Gabriella. Perché soli non si può stare, non si fa niente e non si cresce. Gli occhi del cieco sono quattro in questo caso, i miei e quelli di Gabriella che raccontano.

Questo spettacolo pur partendo dall’espediente della mia  condizione fisica,  quale la cecità, vuole offrire allo spettatore l’ occasione per riflettere del nostro Paese, che versa in una condizione di crisi, di frustrazione e di mancanza di prospettiva,  e se non è questa cecità.

È la condizione di un intero Paese rabbioso e smarrito che brancola nel buio alla ricerca di una via d’uscita. «Chi è più cieco di chi vive, senza avere un sogno, una prospettiva davanti a sé, di chi essendone consapevole, non può far altro che cedere alla disperazione? Un paese cos’è in fondo se non le persone che al suo interno vivono e si muovono?»

Berardi spiega che ogni punto di forza può essere, nella vita, punto di debolezza: allo stesso modo la fragilità, in scena, può divenire il perno su cui esprimere tutto il proprio potere. Ecco dunque la voglia di costruire «a partire da noi – sottolinea – da ciò che sta in fondo ai nostri occhi, un affresco del contemporaneo». In scena, una barista, Italia, donna delusa e tradita, e Tiresia, suo socio ed amante, non vedente, raccontano le loro delusioni e speranze. 

In fondo agli occhiè uno spettacolo che sa parlare del nostro non facile presente senza pesantezze, ma anzi, usando l’arma tagliente e vivace dell’ironia.

Lo spettacolo è una produzione della Compagnia Berardi-Casolari con il sostegno del Teatro Stabile di Calabria, va in scena al Teatro Miela mercoledì 22 e giovedì 23 aprile alle ore 21.

I biglietti ancora disponibili si possono acquistare presso tutti i punti vendita dello Stabile regionale, ed i consueti circuiti e accedendo attraverso il sito www.ilrossetti.itall’acquisto on line. Interi € 15.00, Under 26 € 12.00, last minute € 12.00. Prevendita anche presso la biglietteria del Teatro  Miela tutti i giorni dalle 17 alle 19. e a partire da un’ora prima dello spettacolo. 

Ulteriori informazioni al tel 040-3593511.

"Open for Everything", la danza Rom che sconfigge i pregiudizi

 
Luci soffuse. Sipario silenzioso. Quel poco che si intravede della scenografia è in un passo a due con l’oscurità. Ombre teatrali. Guardiamo al palcoscenico e a noi stessi come sempre e come prima. I nostri pensieri, i nostri progetti, amici, famiglia, amori. I nostri pregiudizi. Umani certo, eppure bestiali. Poco meno di due ore in apnea mentale, silenzio riflettuto per provare, alla fine, a rimettere in gioco molto, se non tutto. Speranza conscia di chi recita, spinta inconscia per chi guarda. Aperti a tutto. “Open for Everything”.
 
Lo spettacolo, andato in scena al Teatro Nuovo Giovanni da Udine il 17 e 18 aprile, è l’ultima creazione della coreografa argentina Costanza Macras e della sua compagnia Dorky Park, progetto cosmopolita ed itinerante voluto e programmato a Udine dal concerto tra CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, Fondazione Teatro Nuovo Giovanni da Udine e Comune di Udine.
 
Ciò che colpisce è tutto. Racconto in danza della diaspora Rom, non solo spaziale, più che altro sociale. Le storie sincere e toccanti, divertenti nella complessità di alcuni personaggi, sono il time-lapse di secoli di spostamenti e condanne per chi nomade ci è nato e cresciuto, ma che ormai ha trovato il suo posto nel mondo, diga purtroppo non ancora sufficiente a fermare il corso di accoglienze fredde e ghetti ideologici, conati di insulti che feriscono l’animo, in silenzio.
 
Il palco è multiforme testimone di un campo gitano in trasloco perenne, di una cultura e uno stile di vita testardo più che mai nel non abbattersi. La danza è l’animo che germoglia in primavera, il fiore più rigoglioso per trasmettere sentimenti e paure, urla mute di gioia e di dolore. Corpi singoli in movimento aggraziato, coppie che imprimono solo due impronte sul terreno, coreografie all’unisono emozionanti. La musica ne è il filo conduttore, la musa ispiratrice del ricordo e della speranza.
 
Ed è normale allora che il racconto di un viaggio diventi essi stesso viaggio. Si sfogliano le pagine di un diario collettivo davvero colorato, passato di generazione in generazione e di territorio in territorio, offrendo tuttavia un’istantanea alla volta, forte e veloce. Il processo di apprendimento è in atto nello spettatore: nozionismo di esistenze, disorientamento inziale, epifania da primo tempo, stravolgimento interiore, comprensione retroattiva.
 
Il tutto con parole pungenti e movimenti ammalianti, il ballo come parola della passione, per raggiunge vette sconosciute al verbo: 19 tra musicisti, danzatori e artisti Rom provenienti da Slovacchia, Repubblica Ceca e Ungheria, in aggiunta ai 5 cittadini del mondo della Dorky Park, prestano così la loro arte e il loro corpo al costume e alla tradizione di un popolo mai del tutto integrato, mai del tutto compreso, sempre più discriminato.
 
Luci accecanti. Sipario silenzioso. Lasciamo con calma quelle poltrone che hanno condiviso con noi un viaggio di immobile nomadismo. Torniamo ai nostri pensieri, ai nostri progetti, amici, famiglia, amori. E accogliamo l’unica cosa bella dei pregiudizi: quel momento in cui, con liberatorio rammarico, comprendiamo finalmente quanto erano errati. Aperti a tutto.
 

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