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Categoria: Teatro
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Pubblicato Lunedì, 20 Aprile 2015 18:34
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Scritto da Gabriele Franco
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Luci soffuse. Sipario silenzioso. Quel poco che si intravede della scenografia è in un passo a due con l’oscurità. Ombre teatrali. Guardiamo al palcoscenico e a noi stessi come sempre e come prima. I nostri pensieri, i nostri progetti, amici, famiglia, amori. I nostri pregiudizi. Umani certo, eppure bestiali. Poco meno di due ore in apnea mentale, silenzio riflettuto per provare, alla fine, a rimettere in gioco molto, se non tutto. Speranza conscia di chi recita, spinta inconscia per chi guarda. Aperti a tutto. “Open for Everything”.
Lo spettacolo, andato in scena al Teatro Nuovo Giovanni da Udine il 17 e 18 aprile, è l’ultima creazione della coreografa argentina Costanza Macras e della sua compagnia Dorky Park, progetto cosmopolita ed itinerante voluto e programmato a Udine dal concerto tra CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, Fondazione Teatro Nuovo Giovanni da Udine e Comune di Udine.
Ciò che colpisce è tutto. Racconto in danza della diaspora Rom, non solo spaziale, più che altro sociale. Le storie sincere e toccanti, divertenti nella complessità di alcuni personaggi, sono il time-lapse di secoli di spostamenti e condanne per chi nomade ci è nato e cresciuto, ma che ormai ha trovato il suo posto nel mondo, diga purtroppo non ancora sufficiente a fermare il corso di accoglienze fredde e ghetti ideologici, conati di insulti che feriscono l’animo, in silenzio.
Il palco è multiforme testimone di un campo gitano in trasloco perenne, di una cultura e uno stile di vita testardo più che mai nel non abbattersi. La danza è l’animo che germoglia in primavera, il fiore più rigoglioso per trasmettere sentimenti e paure, urla mute di gioia e di dolore. Corpi singoli in movimento aggraziato, coppie che imprimono solo due impronte sul terreno, coreografie all’unisono emozionanti. La musica ne è il filo conduttore, la musa ispiratrice del ricordo e della speranza.
Ed è normale allora che il racconto di un viaggio diventi essi stesso viaggio. Si sfogliano le pagine di un diario collettivo davvero colorato, passato di generazione in generazione e di territorio in territorio, offrendo tuttavia un’istantanea alla volta, forte e veloce. Il processo di apprendimento è in atto nello spettatore: nozionismo di esistenze, disorientamento inziale, epifania da primo tempo, stravolgimento interiore, comprensione retroattiva.
Il tutto con parole pungenti e movimenti ammalianti, il ballo come parola della passione, per raggiunge vette sconosciute al verbo: 19 tra musicisti, danzatori e artisti Rom provenienti da Slovacchia, Repubblica Ceca e Ungheria, in aggiunta ai 5 cittadini del mondo della Dorky Park, prestano così la loro arte e il loro corpo al costume e alla tradizione di un popolo mai del tutto integrato, mai del tutto compreso, sempre più discriminato.
Luci accecanti. Sipario silenzioso. Lasciamo con calma quelle poltrone che hanno condiviso con noi un viaggio di immobile nomadismo. Torniamo ai nostri pensieri, ai nostri progetti, amici, famiglia, amori. E accogliamo l’unica cosa bella dei pregiudizi: quel momento in cui, con liberatorio rammarico, comprendiamo finalmente quanto erano errati. Aperti a tutto.