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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Star bene

Successo della raccolta fondi per "FRiKo" il gioco in scatola per la conquista del Friuli Venezia Giulia

Successo della raccolta fondi per

Trieste - Che il Friuli e Trieste siano due luoghi totalmente distinti ed incompatibili risulta chiaro anche al più sprovveduto degli stranieri: per uno che viene da Pordenone, tanto per citare una località ai confini del mondo, è inconcepibile chiedere un nero a Talmassons aspettandosi un caffè.

La diatriba infinita tra friulani e triestini, dopo le gustose parodie basate su Star Trek e Star Wars tradotte nei rispettivi idiomi, diventa ora l'ispirazione per un gioco da tavolo chiamato "FRiKo!", il cui scopo è la conquista del Friuli Venezia Giulia, la regione più ambita del mondo.

Frutto della mente vulcanica di Diego Manna e della penna di Erika Ronchin, giovani ricercatori triestini dotati del gusto del witz, la scatola richiama il famosissimo "RisiKo!" e si propone di far conoscere le culture, le tipicità ed i tic dei due territori irriducibilmente "nemici".

Al posto dei carrarmati a far da segnalino ci sono pacifiche porzioni di frico, piatto-bandiera del Friuli; a contrassegnare le opposte armate, i colori dei vini delle due regioni: Terrano per i triestini e Tocai per i friulani.

Ciascun giocatore, sei al massimo, può scegliere quale delle due popolazioni interpretare durante la partita. I triestini sono divisi in bobe, legere e nagane, i friulani in citadìns, contadìns e cjargnei.

A seconda della scelta, può usufruire nell'arco del gioco delle carte triestine o di quelle friulane, quaranta per ciascun mazzo, ognuna raffigurante un elemento caratteristico della tradizione locale.

Gli ideatori del gioco, dopo aver creato un prototipo fatto in casa, per produrre tutti i materiali hanno aperto una sottoscrizione su kisskissbankbank, un sito francese di raccolta fondi ("crowfunding").

Il passaparola ha funzionato ed ora l'obiettivo della colletta - 3000 euro - è stato superato: 134 kissbankers, con offerte che vanno dai 5 ai 500 euro, in 27 giorni, hanno fatto arrivare la raccolta a 3440 euro.

Il progetto ha conquistato anche i media nazionali, divenendo tema di un articolo sull'inserto "Nòva" del Sole 24Ore".

Non è il "Paese delle Meraviglie", il Friuli teme il terrorismo dietro la cornetta

Non è il

Udine - La notizia della telefonata anonima alla sede del Consorzio Acque del Friuli Centrale, in breve Cafc, in viale Palmanova a Udine è sicuramente poco tranquillizante.

L'episodio è ormai noto a tutti in regione, ma per chi se lo fosse "perso", ecco un breve riassunto del tutto: nel pomeriggio del 4 settembre l'ente che si occupa di rifornire i rubinetti dei cittadini di 83 comuni in provincia di Udine è stato contattato da una donna che, in italiano e inglese stentati, ha detto di far parte di un gruppo terroristico islamico e che una bomba si trovava all'interno dell'edificio.

Dopo aver minacciato di farla esplodere se la struttura non fosse stata evacuata, ha rivolto la stessa minaccia per Gorizia, Pordenone e ancora Udine.

Alla fine, riagganciando, il panico ha trovato terrerno fertile nei dipendenti (avvisata di ciò solo alle 17 però) e nella dirigenza che, nonostante "l'invito" della voce, ha sgomberato tutti gli uffici dopo l'arrivo dei carabinieri.

Nessun ordigno è esploso fortunatamente, né è stato trovato qualcosa di simile all'interno del Cafc. Si sa che il messaggio veniva da una registrazione lasciata in segreteria ma non è stata memorizzata, tanto che ora le forze dell'ordine stanno tentando di recuperarla per analisi e accertamenti.

L'audio, secondo quanto riferito dalla segretaria che l'ha ascoltato, era poco chiaro ma una frase le è rimasta impressa: era riferita al Consorzio? Questo la voce non l'ha specificato e ci fermiamo qui con la cronaca. Perché i protagonisti principali di ieri sono proprio la bomba, o presunta tale, e la paura scoppiata dopo la telefonata.

Entrambe figlie di ciò che sta succedendo in questi giorni, con lo spettro degli estremisti islamici dell'ISIS in Iraq e ancora di più dai terribili fatti dell'11/9. Anche se il Medio Oriente è lontano e noi non siamo gli USA, l'Italia non è estranea, ahimè, alla parola "terrorismo". Il nostro Paese è pur sempre un alleato degli americani, tanto più che proprio in Friuli, ad Aviano, c'è una loro base militare da cui partono gli elicotteri verso est. 

Perché scegliere Udine per un attentato? E perché contro un ente minuscolo se paragonato a giganti come Eni, Enel o altri? Sui social network la notizia è stata immediatamente presa d'assalto dai commenti, più o meno "gentili", verso gli stranieri in generale. Senza però sapere se il pericolo era vero o si trattasse di uno scherzo imbecille come poi si è rivelato. 

La voce non avrebbe, inoltre, nemmeno parlato in arabo per cui dire che è una di "quei beduini là" è abbastanza difficile. Certo é che, la prima impressione che hanno avuti tutti, è stata sentire la morte in gola. Perché una bomba a Udine significa il crollo di tutte le sicurezze che una cittadina di provincia assicura, buone o cattive che siano.

In contesti come questi dilaga facilmente la xenofobia, nata dalla scintilla di un semplice sospetto che trova consistenza nel terrore nero dell'Occidente. Basta un nulla per far gridare all'untore e oggi come oggi l'ultima cosa che serve a questo Paese, al mondo intero, è un'altra assurda caccia alle streghe. Sarà stato un semplice scherzo cretino, ma ha fatto morire di paura. Per fortuna soltanto di quella.

Fanatismo religioso, interessi economici e politici: sentieri di violenza e messaggi di pace

Fanatismo religioso, interessi economici e politici: sentieri di violenza e messaggi di pace

Trieste - C’è nel mondo attuale un ritorno potente di violenza fisica e morale, e anche di intolleranza verso ogni diversità. Un Medio Oriente messo a ferro e fuoco, un Nord Africa nel disordine, un terrorismo islamico audace e spietato, rinnovate persecuzioni a sfondo razziale e religioso, persecuzioni patite in particolare, ma non solo, dai cristiani del Medio Oriente, del Pakistan, dell’India, uccisi, cacciati o costretti a fuggire, ed anche un rinascente antisemitismo, specialmente in Europa.

Brutti segnali di regressioni umane e un quadro d’insieme deprimente. Alla sua radice la violenza è sempre un cedimento al male oscuro che si nasconde in ogni uomo e che viene alimentato da passioni deviate, fanatismi, interessi economici o politici.

Bisogna però prendere anche atto che si sta formando e consolidando, tra fatiche e continue battute d’arresto, un’etica universale della non violenza, che attraversa le diverse religioni e tocca le sponde delle visioni umanitarie anche non religiose.

Leggiamo infatti con stupore e ammirazione le recenti parole del famoso scrittore ebreo David Grossman, padre di un militare israeliano morto in combattimento, tenace assertore della pace e della conciliazione: "La strada della guerra, dell’occupazione, del terrorismo, dell’odio, l’abbiamo provata senza stancarci. Come mai invece ci affrettiamo a respingere quella della pace dopo un solo fallimento? Noi che da moltissimi anni chiediamo la pace, continueremo a insistere sulla speranza".

Come anche la testimonianza di Robin Damelin, israeliana, un figlio perso in guerra, e di Bassam Abramin, palestinese, una figlia uccisa, membri di un’associazione mista impegnata a favorire la pace tra i due popoli: "Con la vendetta non si va da nessuna parte, io non odierò".

Così come le parole della più giovane candidata al premio Nobel per la pace, Malala Yousafzai, studentessa pakistana sedicenne, musulmana, vittima di un attentato talebano per il suo impegno  a favore dell’istruzione delle donne, parole pronunciate il 12 luglio 2013 alle Nazioni Unite: "Non odio nemmeno il talebano che mi ha sparato. Anche se avessi una pistola in mano e me lo ritrovassi davanti, non gli sparerei. Questa è la compassione che ho imparato da Maometto, il profeta della misericordia, da Gesù Cristo e da Budda. Questa è la tradizione del cambiamento che ho ereditato da Martin Luther King, Nelson Mandela, Gandhi e Madre Teresa di Calcutta. Questo è il perdono che ho imparato da mio padre e mia madre. Questo è ciò che la mia anima dice: sii in pace e ama tutti".

E apprendiamo con altrettanta ammirazione la vicenda di padre Justin, giovane sacerdote cattolico in Centro Africa, sfuggito alle persecuzioni islamiche, che però rifiuta di vendicarsi e ospita centinaia di mussulmani in fuga da milizie di animisti e di cristiani, questi ultimi ben distanti dalla loro ispirazione, impedendo così il massacro dei musulmani in fuga.

Parole e storie che rimettono in circolo gli anticorpi di alcune testimonianze pagate di persona, le sole che poi possono cambiare il mondo. Le sole in verità che, per quanto è stato finora possibile, lo hanno davvero cambiato.

                                                     Silvano Magnelli    

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Direttore: Maurizio Pertegato
Capo redattore: Tiziana Melloni
Redazione di Trieste: Serenella Dorigo
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