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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Fanatismo religioso, interessi economici e politici: sentieri di violenza e messaggi di pace

Fanatismo religioso, interessi economici e politici: sentieri di violenza e messaggi di pace

Trieste - C’è nel mondo attuale un ritorno potente di violenza fisica e morale, e anche di intolleranza verso ogni diversità. Un Medio Oriente messo a ferro e fuoco, un Nord Africa nel disordine, un terrorismo islamico audace e spietato, rinnovate persecuzioni a sfondo razziale e religioso, persecuzioni patite in particolare, ma non solo, dai cristiani del Medio Oriente, del Pakistan, dell’India, uccisi, cacciati o costretti a fuggire, ed anche un rinascente antisemitismo, specialmente in Europa.

Brutti segnali di regressioni umane e un quadro d’insieme deprimente. Alla sua radice la violenza è sempre un cedimento al male oscuro che si nasconde in ogni uomo e che viene alimentato da passioni deviate, fanatismi, interessi economici o politici.

Bisogna però prendere anche atto che si sta formando e consolidando, tra fatiche e continue battute d’arresto, un’etica universale della non violenza, che attraversa le diverse religioni e tocca le sponde delle visioni umanitarie anche non religiose.

Leggiamo infatti con stupore e ammirazione le recenti parole del famoso scrittore ebreo David Grossman, padre di un militare israeliano morto in combattimento, tenace assertore della pace e della conciliazione: "La strada della guerra, dell’occupazione, del terrorismo, dell’odio, l’abbiamo provata senza stancarci. Come mai invece ci affrettiamo a respingere quella della pace dopo un solo fallimento? Noi che da moltissimi anni chiediamo la pace, continueremo a insistere sulla speranza".

Come anche la testimonianza di Robin Damelin, israeliana, un figlio perso in guerra, e di Bassam Abramin, palestinese, una figlia uccisa, membri di un’associazione mista impegnata a favorire la pace tra i due popoli: "Con la vendetta non si va da nessuna parte, io non odierò".

Così come le parole della più giovane candidata al premio Nobel per la pace, Malala Yousafzai, studentessa pakistana sedicenne, musulmana, vittima di un attentato talebano per il suo impegno  a favore dell’istruzione delle donne, parole pronunciate il 12 luglio 2013 alle Nazioni Unite: "Non odio nemmeno il talebano che mi ha sparato. Anche se avessi una pistola in mano e me lo ritrovassi davanti, non gli sparerei. Questa è la compassione che ho imparato da Maometto, il profeta della misericordia, da Gesù Cristo e da Budda. Questa è la tradizione del cambiamento che ho ereditato da Martin Luther King, Nelson Mandela, Gandhi e Madre Teresa di Calcutta. Questo è il perdono che ho imparato da mio padre e mia madre. Questo è ciò che la mia anima dice: sii in pace e ama tutti".

E apprendiamo con altrettanta ammirazione la vicenda di padre Justin, giovane sacerdote cattolico in Centro Africa, sfuggito alle persecuzioni islamiche, che però rifiuta di vendicarsi e ospita centinaia di mussulmani in fuga da milizie di animisti e di cristiani, questi ultimi ben distanti dalla loro ispirazione, impedendo così il massacro dei musulmani in fuga.

Parole e storie che rimettono in circolo gli anticorpi di alcune testimonianze pagate di persona, le sole che poi possono cambiare il mondo. Le sole in verità che, per quanto è stato finora possibile, lo hanno davvero cambiato.

                                                     Silvano Magnelli    

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