Cultura
Intervista a Euro Rotelli in mostra allo Spazio Espositivo EContemporary di Trieste.
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- Pubblicato Lunedì, 17 Marzo 2014 18:17
Trieste – Continua la personale del fotografo Euro Rotelli, “Sleepy Places dreaming a different world”, allo Spazio Espositivo EContemporary di Trieste che resterà aperta fino al 19 aprile.
Euro Rotelli fotografo toscano trapiantato in Friuli, ha una formazione che parte dalla pittura, per poi scoprire la fotografia. Da qui nasce e si sviluppa una passione che lo porterà a fare della fotografia non solo il proprio lavoro, ma anche il suo mezzo espressivo ideale. Diventa fotografo pubblicitario, dedicandosi contemporaneamente alla ricerca. Lo attraggono allo stesso modo i paesaggi e le persone che ritrae con personali sperimentazioni in camera oscura. L’uso della Polaroid costituisce una fase fondamentale del suo percorso artistico. Questo tipo di pellicola gli permette infatti di intervenire “manualmente” sulla fotografia e sperimentare procedimenti di sviluppo e stampa, con risultati sempre diversi e originali.
Lo abbiamo incontrato e gli abbiamo chiesto:
In questa mostra "Sleepy Places dreaming a different world " il tema toccato dalle fotografie la conduce ad un contenuto originale "il mare d'inverno", cosa l’ha portata in questa dimensione?
La ricerca della solitudine, fondamentalmente. Immaginare gli stessi luoghi e cose che conosciamo nella stagione estiva, abbandonati e chiusi durante quella invernale, in una dimensione diametralmente opposta, mi ha spinto a ritornare mesi dopo per ritrovarli esattamente come li avevo immaginati. Ho scelto di fotografarli al buio per immedesimarmi ancor di più in questo loro letargo, immersi in un sonno irreale, nell'attesa del prossimo inevitabile risveglio. Alla fine credo di aver rappresentato la metafora dell'uomo, che troppo spesso usa e mette in disparte cose e persone dopo averle usate, dimenticandole nell'oblio dell'opportunismo e della superficialità della società odierna.
Immagino sia un percorso artistico iniziato precedentemente a questa mostra?
E' iniziato nel 2011 e ancora "work in progress".
Qual'è la cifra stilistica che sente propria?
Non ne ho. Non mi sento di appartenere ad un particolare genere di ricerca o di stile. Uso la macchina fotografica come un mezzo per realizzare un'idea, un progetto, senza sentirmi legato ad una tecnica in particolare. Ho usato per molti anni le pellicole polaroid, sperimentandole personalmente in vari modi, dedicando le mie ricerche sia al nudo che al paesaggio.
Il mio ultimo omaggio alla polaroid è stato con il progetto "The Body The Soul", con cui ho interpretato alcuni tra i più importanti ballerini e compagnie di ballo a livello internazionale, raccogliendo in un libro le immagini più significative. E' stata un'esperienza e un'avventura fantastica. Poi ho chiuso con la polaroid e non perché la pellicola non è più in produzione, bensì perché avevo concluso questo mio periodo. Attualmente sto portando avanti altri tre progetti con supporti e tecniche completamente diversi uno dall'altro.
Colore o bianco e nero nei suoi scatti?
Non ho preferenze, essendo legato alla mia creatività del momento. Posso solo dire che ho iniziato con il bianco e nero che ho sempre sviluppato e stampato personalmente.
Ci dice qualcosa di lei che gli altri non sanno?
Forse non lo so nemmeno io … So solamente che quando ho un'idea, o penso ad un progetto, lo devo assolutamente realizzare, diventa quasi un tormento, un'ossessione.
Quando una persona guarda una sua foto quale crede sia la ricaduta ?
Non me lo chiedo, perché penso che ognuno possa, anzi, debba leggere e trovare una sua impressione, una sua emozione, positiva o negativa che sia, davanti ad una foto. Quando realizzo un'immagine, o una serie, lo faccio seguendo un mio istinto, una mia idea e non mi domando mai se possa piacere o meno.
La cosa importante è che io mi senta soddisfatto. Questo non significa assolutamente che il risultato sia oggettivamente "bello" da un punto di vista estetico, ma che io sia riuscito con le mie capacità espressive a comunicare la mia emozione.
Spazio Espositivo EContemporary (Elena Cantori Contemporary) Via Crispi, 28 – Trieste
www.elenacantori.com orario: dal giovedì al sabato dalle 17 alle 20 gli altri giorni su appuntamento.
Intervista a David Dalla Venezia: artista della collettiva “Oh, make me a mask” alla Liberarti.
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- Pubblicato Domenica, 16 Marzo 2014 12:50
- Scritto da Cristina Degrassi
Trieste – “Oh, make me a mask”, mostra collettiva inaugurata il 1° marzo, presso la galleria Liberarti in Piazza Barbacan, ricordiamo che resterà aperta sino al 14 luglio 2014.
Per rinnovare i contenuti artistici in esposizione abbiamo ascoltato David Dalla Venezia, che si inserisce nella mostra collettiva promossa dalla curatrice Maria Sanchez Puyade alla galleria “Liberarti” di Piazzetta Barbacan a Trieste, come abbiamo accennato. Il titolo della mostra “Oh, make me a mask” intende approfondire il tema della “maschera” partendo dai concetti classici risalenti alle maschere Dionisiache greche passando per i Saturnali romani ed arrivando al presupposto odierno in cui tutti vestiamo maschere per presentarci all'altro, ed in fondo forse anche per raccontarci come vorremo essere ma non siamo.
David Dalla Venezia, nato a Cannes, Francia il 10 aprile 1965 è figlio d'arte. Il padre formatosi nelle botteghe veneziane è artigiano del legno, corniciaio, doratore, restauratotore, e nel privato, lui stesso artista poliedrico. Diplomato al liceo classico ha poi studiato storia dell'arte e filosofia all'università di Venezia. Nel 1989 ha luogo la sua prima personale presso la galleria Bac Art Studio a Venezia. Attualmente trasferitosi a Trieste, lavora nel suo studio di Via Torino, e collabora con suoi colleghi pittori di livello internazionale nel tentativo di sostenere, non solo con la pittura ma anche tramite l'organizzazione di eventi espositivi, la rivalutazione di quella parte del mondo dell'arte dei nostri tempi che è stata finora penalizzata: la pittura figurativa.
Incontriamo David Della Venezia nel suo studio, in un meraviglioso Palazzo di Via Torino a Trieste.
Si è appena trasferito a Trieste e questa collettiva è il suo primo impegno in città, si è già ambientato ?
Sono arrivato a Trieste in settembre con mia moglie ed i miei bambini, ho diversi contatti con artisti della città e della regione e mi trovo bene. L'incontro con Maria Sanchez, che mi ha chiesto di partecipare alla collettiva, mi ha dato lo spunto per rielaborare una mia idea precedente sulle maschere ed ho partecipato con entusiasmo con un mio quadro.
Cosa vuole esprimere il quadro con cui partecipa alla collettiva?
Il quadro non ha un titolo, esprime una lotta ma anche una danza, tra un mio alter-ego figurativo con cui spesso mi esprimo, e la maschera di Pulcinella. “Classicamente” parlando potrebbe raffigurare un Giacobbe che lotta con l'Arcangelo in un sogno, il tutto immerso in allegorie figurative.
Sembra un quadro che svela, celando...
Sì, è un celarsi per non svelarsi, quando Maria (Sanchez, ndr) mi ha parlato della mostra mi è venuta subito l'idea ed ho iniziato il quadro.
Ha già altri programmi qui a Trieste?
Alcuni, a maggio parteciperò ad un evento che collegherà scienza e luoghi d'arte all'Osservatorio scientifico e prima dell'estate ad un altro evento che sempre con l'intenzione di collegare arte e scienza si terrà al Museo dell'Antartide al parco di San Giovanni.
Tre/1. Tre modi di interpretare oggi la pittura” alla Galleria Sagittaria a Pordenone.
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- Categoria: Arte
- Pubblicato Martedì, 11 Marzo 2014 15:09
- Scritto da Redazione ilfriuliveneziagiulia
Pordenone – La 420^ Mostra della Galleria Sagittaria di Pordenone, “Tre/1. Tre modi di interpretare oggi la pittura”, a cura del critico Angelo Bertani, promossa dal Centro Iniziative Culturali Pordenone e dedicata agli artisti Maria Elisabetta Novello, Alessandro Zorzi e Beppo Zuccheri, verrà inaugurata sabato 15 marzo alle opre 18.30 alla Galleria Sagittaria - via Concordia 7, Pordenone.
Il percorso espositivo, visitabile dal 17 marzo all’11 maggio 2014, subito dopo l’inaugurazione, l’incontro con i tre artisti programmato nell’ambito del ciclo “Da vicino”, 3^ edizione, in programma alle 17 nella Sala Appi del Centro Culturale Casa Zanussi. La mostra, con ingresso libero, sarà aperta al pubblico da martedì a domenica in orario 16/19 e prevede laboratori e visite guidate. informazioni presso CICP tel 0434 553205 |Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. | www.centroculturapordenone.it
Cromocentrica, ma anche polimaterica, e soprattutto coraggiosa, capace di rinascere come un’araba fenice dalle ceneri incolori del tempo: la pittura del XXI secolo si espande attraverso infinite dimensioni e linguaggi pluridirezionati, filtrata da approcci e cifre stilistiche sempre più difficilmente catalogabili. Ma alcune linee direttrici si possono pur sempre individuare, perimetrare e soprattutto raccontare agli appassionati così come al grande pubblico, schiudendo i presupposti e i modi del ‘fare pittura’ di artisti del nostro tempo, rappresentativi di una ‘terrà di mezzo’ generazionale che affonda nei ‘Seventies’ e proprio in questi anni raggiunge la sua piena maturità artistica.
«L’esperienza migliore è il contatto diretto, con gli artisti e con i loro lavori – spiega il presidente del CICP Maria Francesca Vassallo - Per questo il Centro Iniziative Culturali Pordenone ha deciso di suggellare con questa mostra il 3° ciclo di incontri ‘Da vicino’, ospitando alla Galleria Sagittaria gli artisti Maria Elisabetta Novello, Alessandro Zorzi e Beppo Zuccheri. Il lungo lavoro del Centro, fatto di mostre ‘inventate’ e non semplicemente acquisite nei circuiti degli eventi, magari a caro prezzo, ha sempre curato moltissimo la condivisione fra artisti e pubblico, per conoscere ma anche sperimentare. Quindi convegni e corsi, ma anche laboratori ed esperienze man mano allargate alle espressioni culturali più disparate … Cinquant’anni di attività che, fra l’altro, ci portano istintivamente ai ‘introiettare’, per metodo di lavoro e slancio al dialogo e alle sinergie, le indicazioni emerse dal recente workshop convocato dalla Regione Friuli Venezia Giulia su “La cultura come elemento di competitività del Sistema Regione. Opportunità della nuova programmazione comunitaria 2014-2020”».
«La mostra TRE/1 propone, ovviamente senza alcuna pretesa di esaustività, una sorta di itinerario attraverso tre modi molto diversi ma ugualmente emblematici di intendere la pittura oggi – afferma il curatore, Angelo Bertani - Alessandro Zorzicon le sue opere, fa riferimento alla grande tradizione aniconica del ‘900 che incentra la ricerca sul colore come carattere specifico della pittura. Parte dalla grande lezione di maestri come Vasilij Kandinskij, Paul Klee, Josef Albers, László Moholy-Nagy, Johannes Itten, docenti al mitico Bauhaus, e e dalla nevessità di conciliare la sensibilità soggettiva con la fisiologia della percezione per prospettare un originale umanesimo della modernità.
Come è noto era stato lo stesso Kandinskij nel suo famoso saggio del 1912 a riaprire la questione dello “spirituale” nell’arte attraverso una connotazione psicologica dei colori fondamentali e complementari. Non a caso Zorzi ha intitolato Partiture alcune delle sue opere ora esposte: pensate per un preciso rapporto con specifiche tipologie musicali esse possono essere viste (e in un certo senso ascoltate) come vere e proprie notazioni di parti strumentali; ma il nostro giovane pittore ha voluto spingersi più in là e dunque esplorare il silenzio ricco di potenzialità proprio del bianco, il “grande silenzio che per noi è assoluto” (Kandinskij). […] Egli in realtà è ben consapevole che il bianco è “la giovinezza del nulla” da cui tutto può avere inizio, anche un concetto estremamente rigoroso di arte. In fondo anche il lavoro di Maria Elisabetta Novello prende avvio da una sfida, da un ossimoro: fare arte e addirittura fare pittura a partire da un non colore, dalla immobilità del grigio apparentemente priva di risonanza. In verità l’artista, servendosi della cenere di legna come materia costitutiva delle sue opere, intende muovere da un grado zero della forma - la cenere deriva pur sempre dalla combustione- per dare origine alle proprie forme artistiche portando allo scoperto quel principio demiurgico e alchemico che sta alla base di ogni atto creativo: da qui il valore fondamentalmente rigenerativo che assume nel suo lavoro la cenere, materia di derivazione “poverista” che si apre a mille potenzialità di riscatto simbolico.
La sequenza di lavori intitolati Liridi fa riferimento in particolare allo sciame meteorico visibile dal 15 al 28 aprile di ogni anno, ma più in generale al nostro saperci rapportare con ciò che rappresenta il cielo stellato che (kantianamente) ci sovrasta. Dal canto suo Beppo Zuccheri affronta una coraggiosa esplorazione del mito e della storia (collettiva e personale) servendosi di una pittura opaca, bituminosa e polimaterica in cui l’inserimento di materiali eterogenei caratterizza la dimensione tridimensionale, aggettante ed empaticamente coinvolgente dell’opera. Con tutta evidenza ci troviamo di fronte alla polarità opposta, ma complementare rispetto a quella di Alessandro Zorzi: se nel suo lavoro vi era la tensione verso la trasparenza musicale ed euritmica del colore, nella pittura di Zuccheri invece l’opacità e la dissonanza della materia fanno tutt’uno con la volontà di sondare la problematicità di un’esistenza dominata dalla certezza del relativo. Infatti solo questo confrontarsi corpo a corpo con la materia apre la strada alla possibilità di un riscatto proprio attraverso la pittura che oggi può (o deve) partire dai detriti rappresi e bruciacchiati della storia, fosse pure per sottoporla al bisturi dell’analisi e per riscoprirla con altri occhi. Magari sulle tracce di Argo (Relitto di Argo sul fiume in secca) o di Alessandro Magno che giunge inopinatamente fino all’India (La mia notte sul fiume Idapse) ma lascia dietro di sé anche distruzione e morte (Alba bianca – Via da Persepoli). In ogni caso rimane ben evidente il problema per così dire ermeneutico rappresentato da tutte quelle scale a pioli che non portano a nulla, da tutte quelle piste che divaricano e rendono difficile se non impossibile ogni decollo (La nebbia, la luce, Kiefer e il silenzio), da quella circolare, sgangherata e ironica macchina del tempo tenuta assieme da un po’ di spago: ma, si sa, non è certo compito dell’arte dare delle risposte, quanto piuttosto esprimere intuitivamente e per immagini le questioni cruciali riferibili all’essere uomini nella nostra epoca».
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