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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Metodo stamina, il pediatra di Trieste Andolina: "spenta speranza per pazienti"

Metodo stamina, il pediatra di Trieste Andolina:

Trieste - "Accetto come definitiva questa sentenza, che non può che confermare che in Italia ogni speranza di cura compassionevole con staminali è spenta". Lo afferma il pediatra triestino Marino Andolina, in una nota del 6 giugno in cui commenta la sentenza della Cassazione che nega il dissequestro dei materiali per le infusioni con il metodo Stamina.

Nel testo, Andolina ribadisce che "la terapia cosiddetta 'Stamina' non ha mai avuto effetti collaterali rilevanti" e aggiunge che "alcuni pazienti sono morti dopo la sospensione della cure, e a causa di questo. Accreditare queste morti a Stamina (post hoc propter hoc) mi sembra irragionevole o peggio. Questa terapia ha ottenuto nella maggior parte dei pazienti risultati eclatanti, ma non per sempre. Dopo qualche mese i sintomi riprendono. Se questo dimostra che la terapia non funziona - puntualizza - lo stesso varrebbe anche per l'insulina nel diabete: è una cura efficace ma non guarisce per sempre".

"Proprio stamane - prosegue il medico - ho avuto notizia di una bambina che non abbiamo potuto curare, che sta per essere trasferita in Israele, dove potrà essere curata al prezzo di 35.000 euro ad iniezione".

Andolina sostiene inoltre L'uscita di "un articolo internazionale nel quale due luminari nel campo della Sma (atrofia muscolare spinale, seconda causa di morte nell'infanzia) hanno descritto in maniera inequivocabile i risultati in alcuni bambini che hanno ripreso i movimenti irreversibilmente perduti. Il prof. John Bach si è premurato, a differenza di quanti hanno sconfessato il metodo, di venire in Italia a visitare i bambini prima e dopo le infusioni. Ora questa pubblicazione che ha scatenato l'interesse di tutta la comunità scientifica internazionale - conclude - in Italia viene ignorata".

Crisi: in Europa 2 famiglie su 3 hanno risparmiato su consumo di carne e pesce. Rischio malnutrizione

Crisi: in Europa 2 famiglie su 3 hanno risparmiato su consumo di carne e pesce. Rischio malnutrizion

Trieste - La crisi economica iniziata nel 2008 continua a colpire: in particolar modo le tavole dei cittadini europei, dove il 68% delle famiglie ha dovuto ridurre i consumi di proteine derivate da carne e pesce.

A dirlo è un'indagine condotta dalla SWG di Trieste sul tema dell'accesso al cibo nei Paesi Ue, commissionata dal Movimento Enough di Elanco e presentata il 26 maggio a Milano.

Secondo l'indagine, condotta su 2mila persone rappresentative delle popolazioni di Italia, Germania, Francia e Regno Unito, "circa il 50% ammette di non avere una dieta equilibrata. In particolare, tra gli alimenti assenti più spesso nell'alimentazione o consumati meno di una volta alla settimana spiccano le carni e il pesce".

Secondo Maurizio Pessato, presidente della SWG, "si tratta di una carenza legata non solo a scelte e preferenze individuali, ma dettata soprattutto da ragioni economiche. Le criticità maggiori sono in Italia e Francia: in Italia, dove la crisi è stata più forte, la percezione è che si siano ridotti tutti i consumi di carne, con un picco sulle carni di vitello e manzo".

Il rischio è che un'alimentazione carente si trasformi in malnutrizione. Secondo il Movimento Enough "è necessario agire ora per garantire alla popolazione mondiale di domani il diritto a nutrirsi in modo completo, a prezzi accessibili".

Secondo l'indagine, per i cittadini sono due le strade percorribili per affrontare questo problema alimentare: la prima è la "riduzione degli sprechi e la realizzazione di azioni educative"; la seconda passa dalla "innovazione tecnologica e del commercio: due cittadini su tre sono favorevoli a un maggiore investimento in ricerca e tecnologia, per ridurre il problema della sostenibilità alimentare, migliorando l'efficacia delle produzioni agricole e dell'allevamento".

Aggressioni dei cani: secondo le associazioni dei veterinari serve una legge

Aggressioni dei cani: secondo le associazioni dei veterinari serve una legge

FVG - Utilizzare sempre il guinzaglio, non più lungo di un 1,5 metri. Portare con sé una museruola. Affidare il cane a persone in grado di gestirlo correttamente. E soprattutto acquisire un animale assumendo informazioni sulle sue caratteristiche fisiche ed etologiche, nonché sulle norme in vigore.

Sono alcune delle regole dettate dall'Ordinanza del ministero della Salute sulla Tutela dell'incolumità pubblica dall'aggressione dei cani, prorogata ad agosto 2014 per un anno e dunque ancora in vigore. Ma secondo le associazioni di veterinari, dopo anni di ordinanze urgenti servirebbe una legge, che ricalchi quanto dettato dal provvedimento ministeriale.

È dal 2009 che l'Italia ha abolito la lista nera delle razze canine aggressive, che includeva ad esempio Pitbull o Rottweiler, sostituita da regole che responsabilizzano i proprietari di animali. Nell'elenco, ad esempio, "non sarebbe rientrata la razza Pastore Belga", a cui appartiene il cane che ha aggredito il 25 maggio, uccidendola, una bimba a Pordenone, ricorda Enrico Loretti, coordinatore del gruppo Randagismo e gestione animali problematici della Società italiana di Medicina veterinaria preventiva (Simevep).

Un concetto, quello dei cani pericolosi che è quindi stato sganciato dall'idea di razza aggressiva. L'ordinanza prevede che sia il proprietario a doversi "assicurare che il cane abbia un comportamento adeguato alle esigenze di convivenza con persone e animali" e perciò "sono istituiti percorsi formativi con rilascio" di un patentino.

Su questo aspetto le Asl italiane si sono attivate a macchia di leopardo, "con esperienze in Toscana, Emilia Romagna, ma non omogenee in tutto il Paese ", ricorda Loretti, secondo cui "serve oggi una legge, che eviti 'buchi' temporali anche di mesi fra le proroghe delle ordinanze, che ormai si susseguono da 12 anni".

Secondo il veterinario, comunque, questo genere di aggressione canina è da classificare come "incidente domestico, che poco ha a che fare con il fatto che il proprietario abbia o meno un patentino: d'altro canto anche noi guidiamo, abbiamo la patente, ma facciamo incidenti stradali".

"Chi frequenta i corsi - evidenzia ancora Loretti - sono spesso persone appassionate, invece il problema è convincere chi possiede animali davvero potenzialmente pericolosi e non si interessa ai rischi".

Al problema delle aggressioni, ribadisce l'esperto, "non può essere data una risposta non strutturata, sotto forma di ordinanze urgenti che vengono prorogate ormai dal 2003 e l'ultima delle quali scadrà a metà agosto. Bisognerebbe arrivare a una legge, come hanno fatto gli altri Paesi europei, che preveda tutto il percorso da fare e soprattutto dica quali misure adottare se il proprietario non collabora".

Sulla necessità di una legge è d'accordo anche Marco Melosi, presidente dell'Associazione nazionale medici veterinari (Anmvi), secondo cui però "la norma dovrebbe comunque stabilire per i proprietari un percorso volontario-preventivo, che diventi obbligatorio per chi ha animali che hanno già manifestato aggressività. Purtroppo i cani, anche se sempre tranquilli - spiega - possono avere delle reazioni non prevedibili: per questo è importante conoscere i potenziali segnali di pericolo, che i corsi possono insegnare. La regola da rispettare sempre è non lasciare mai un animale, soprattutto di grossa taglia, da solo con dei bambini, che per loro natura non rispettano le distanze e non sono capaci di 'leggere' comportamenti potenzialmente pericolosi. Uomini e animali non parlano la stessa lingua: se io sorrido e mostro i denti sono felice, se lo fa il cane è il contrario. Bisogna conoscere il linguaggio e la gestualità degli animali, per capire quando si trovano a disagio e prevenire l'insorgere di problemi".

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Capo redattore: Tiziana Melloni
Redazione di Trieste: Serenella Dorigo
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