Pupkin Kabarett: “Chi non lascia raddoppia” in prima nazionale al Teatro Miela
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- Pubblicato Mercoledì, 12 Novembre 2014 08:09
- Scritto da redazione ilfriuliveneziagiulia
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Trieste – Torna è ufficiale: quest’anno la compagnia di indomiti picchiatelli mitteleuropei che animerà non solo l'inizio settimana ma anche il week end. Inizia così venerdì 14 novembre ore 21.01 al Teatro Miela e la replica lunedì 17 novembre sempre alle ore 21.01.
Nella sua eroica dodicesima stagione, il Pupkin Kabarett si rinnova nel format e nel calendario e si produrrà un imperdibile appuntamento mensile il venerdì sera, uno spettacolo-evento preparato con cura maniacale, riproposto in “replica disordinata” il lunedì successivo.
Questo per accontentare quelli che hanno bisogno di affrontare il fine settimana con leggerezza e non solo quelli che con ritmo vogliono iniziarla. Per la prima volta, nella storia delle serate al Miela, la compagnia del Pupkin Kabarett si concederà il lusso di replicare lo spettacolo avendo poi due giorni a disposizione per "rovinare" quello che funzionava e potenziare la demenzialità di alcuni numeri.
Troppa la concorrenza nella serata del lunedì: corsi di lingue, pilates, ceramica, danza afro cubana, psicoterapie di gruppo e consigli comunali hanno tolto negli anni l'esclusività al Pupkin di operare in città nel primo giorno della settimana. Il gruppo "instabile" è, tra l'altro, alla ricerca di nuovi complici da inserire nelle serate e sta cercando giovani attori capaci, nel corso di qualche stagione, di rottamare la vecchia classe dirigente della Compagnia. Sono favorevoli all'abolizione dell'articolo 18, a patto che un operaio licenziato senza giusta causa, possa ricevere almeno un quinto della liquidazione di Montezemolo. Tutte queste modifiche e riforme strutturali dell'attività, ci sono state richieste dall'Europa
Prevendita c/o biglietteria del teatro tutti i giorni dalle 17.00 alle 19.00; www.vivaticket.it
Organizzazione: Bonawentura
“Ballet Black” apre la stagione Danza del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
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- Pubblicato Lunedì, 10 Novembre 2014 21:20
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Trieste - La compagnia inglese Ballet Black apre la stagione Danza del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, domani martedì 11 novembre alle 20.30, con un ricco programma che prevede coreografie di Martin Lawrance, Christopher Marney e – in prima per l’Italia la divertente e suggestiva A Dream Within a Midsummer’s Night Dream del portoghese Arthur Pita.
«Il nostro obiettivo finale è quello di vedere un cambiamento fondamentale nel numero di ballerini neri e asiatici coinvolti nelle compagnie di balletto tradizionali – scrive la compagnia nella propria presentazione – e di rendere dunque l’esistenza di Ballet Black meravigliosamente inutile».
Nel frattempo coinvolgono il pubblico internazionale, conquistano la stampa, ricevono premi, uno fra tutti il Dance Awards 2012 come miglior compagnia indipendente del Regno Unito. Il programma composto per la serata a Trieste prevede un evento importante: la prima esecuzione taliana della coreografia A Dream Within a Midsummer’s Night Dream.
Sarà il numero conclusivo, danzato dall’intera compagnia ed è un lavoro lungo e molto suggestivo, che il coreografo portoghese Arthur Pita ha creato appositamente per il Ballet Black. È una nuova e divertente versione del Sogno di una notte di mezz’estate shakespeariano.
Direttore artistico nonché fondatore del Ballet Black è Cassa Pancho: discendenze inglesi e di Trinidad, ha studiato alla Royal Academy of Dance. Tutti i componenti del Ballet Black sono ballerini internazionali di discendenza africana e asiatica: a Trieste si esibiranno sei danzatori, perfetti, dotati nel classico, emozionanti nel contemporaneo, intenti con il loro lavoro a diversificare il balletto classico che per la sua tradizione non offre ai danzatori di colore o orientali molte possibilità.
In questi 13 anni di vita la formazione si è costruita un ampio repertorio che tocca i balletti più classici e arriva fino ai contemporanei creati da coreografi di punta, come Liam Scarlett, Shobana Jeyasingh, Will Tuckett, Richard Alston e Martin Lawrance.
I biglietti ancora disponibili si possono acquistare presso tutti i punti vendita dello Stabile regionale, i consueti circuiti e accedendo attraverso il sito www.ilrossetti.it alla vendita on line.
Ulteriori. Informazioni al tel 040-3593511.
"La Montagna incantata" da Thomas Mann apre la stagione al teatro Stabile Sloveno
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- Pubblicato Domenica, 09 Novembre 2014 15:36
- Scritto da Marzio Serbo
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Trieste - Hans Castorp è mediocre e sano, candido ed egoista, inquieto e curioso, ma non fino al punto da poter affrontare la verità della vita. Incapace, piuttosto, di prendere parte al dibattito e decidere da che parte stare, il protagonista de “La montagna incantata” di Thomas Mann sale sul palcoscenico del teatro Stabile Sloveno di Trieste dal 7 al 9 novembre per l’apertura di stagione.
Una fortunatissima coproduzione con il Drama di Lubiana, il teatro nazionale sloveno, che utilizza per lo spettacolo la rilettura della drammaturga Katarina Pejovič, fedele allo spirito dell’articolato noto racconto tedesco, dal baricentro inclinato in direzione di una narrazione di quella crisi sociale che sconvolse il mondo sul nascere del Novecento, più che verso lo stile dei romanzi di formazione a cui solo in parte appartiene.
Un viaggio metafisico nel cuore dell’incubo della malattia, ripensata come unica possibile contorta via di accesso alla vita. Malattia e cura in mano al Vecchio, un grande Vladimir Jurc nella parte del primario Behrens, che, sciamano della Montagna, esorcizza la morte e protegge da tutte le aggressioni del mondo.
Un pianeta riflesso in un’agguerrita contesa fra intellettualistiche razionalizzazioni e impulsi emotivi, dibattuta dai due personaggi simbolo: Settembrini, filosofo illuminato e discepolo di Carducci, interpretato qui brillantemente da Igor Samobor e il gesuita ebreo Leo Napha, Marko Mandič, contraddittorio oscuro specchio dei dubbi irrazionali dell’umanità, che sottratto alla morte in duello dallo stesso amico-nemico Settembrini che lui stesso aveva sfidato, si uccide, prefigurando la caduta stessa di quel mondo del quale è espressione, sotto i colpi feroci della Grande guerra che incombe.
Tre settimane di permanenza sono previste al sanatorio montano di Davos, nel Cantone dei Grigioni, per il giovane Castorp, uno straordinario Aljaž Jovanovič, popolare stella del panorama teatrale sloveno, qui capace di incarnare il volto in parte ingenuo e in parte egoista del suo meschino personaggio.
Una breve visita soggiorno all’ammalato cugino Joachim, il bravo Romeo Grebenšek, che dà forma ad un personaggio fuori contesto in perenne tensione con la Montagna da cui fuggirà per rientrare nel mondo e a cui ineludibilmente farà ritorno per concludere la sua breve giovane vita di soldato con la morte. Tre settimane che diventano sette anni, non per il «mal sottile» di cui Castorp non soffre, ma nella dilatazione del tempo metafisico che attraversa il suo senso di vuoto e le parole degli strani ospiti-pazienti e di coloro che se ne prendono cura, la signora Stöhr (Silva Čušin), Paravant (Gašper Jarni), Hermine Kleefeld, (Saša Mihelčič) e il dottor Krokowski (Luka Cimprič), Adriatica von Mylendonk (Sabina Kogovšek), la cameriera (Nina Valič), efficace e divertente cast cui si aggiungono due giovani attori appena diplomati, Lovro Finžgar e la triestina Patrizia Jurinčič.
Il tema dell’amore si avviluppa attorno alla “gatta” madame Clawdia Chauchat, la brava Nataša Barbara Gračner, intrigante nella magica erotica freddezza di cui è la testimone chiave, che costruisce con il suo compagno, l’imprenditore Mynheer Pieter Peeperkorn, Ivo Ban, il corpo delle passioni di Castorp. E matericamente, proprio su di un corpo, sulla schiena nuda del giovane, scrive le parole della conoscenza-consapevolezza che soltanto nel dramma vorticoso del desiderio possono prendere forma.
La regia è stata affidata alla slovena Mateja Koležnik, che è stata capace di asciugare i gesti e le azioni mantenendo in equilibrio ironia e riflessione, accattivante surrealismo, sostenuto anche dai costumi di Alan Hranitelj, e la drammatica realtà proiettata sul concavo metallo di un grande cannone, disegnato da Henrik Ahr, che aprendo le sue viscere diventa ricovero della malattia del mondo.
Dopo un’apertura scintillante e coinvolgente, la seconda parte è risultata forse un po’ troppo scarna, affidata al solo virtuosismo interpretativo di Samobor e Mandič, ma il riscatto del terzo atto, risolve lo spettacolo con un grande impatto emotivo chiudendosi sulle parole di Castorp:
«Sono qui, e in me ancora resistono brandelli di sogni.
So di aver diritto, inoppugnabile, di esser qui e sognare.
Ma devo svegliarmi, è mortalmente rischioso, per me.
La morte è una forza potente, vicino a lei si va in punta di piedi,
ci si toglie il cappello.
E la ragione nulla può di fronte a lei.
Più forte di lei è solo... non lo devo dimenticare.
Penserò a questo.
Il cuore mi batte forte, ma non sa perché.
Svegliati.
Apri gli occhi.»
Poi, giù nella bocca di un grande cannone, dove la consapevolezza della fine si spezza nella feroce inutile tragedia della grande Guerra.
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