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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

“Racconto dei racconti”: magica allegoria dei desideri della contemporaneità

“Racconto dei racconti”: magica allegoria dei desideri della contemporaneità

Trieste - Matteo Garrone stupisce tutti, dopo il successo di Gomorra, con un film completamente atipico per il cinema italiano, cimentandosi in un genere appannaggio del cinema hollywoodiano, il Fantasy. E lo fa, attingendo dalla propria cultura, ovvero dai racconti fiabeschi del Basile, narratore fantastico napoletano del XVII secolo. Il film prende libero spunto da tre delle cinquanta fiabe de Lo cunto de li cunti (Il Racconto dei Racconti), che dà il titolo al film.

C’erano una volta… tre regni senza tempo abitati da re e regine, principesse e principi, giullari e saltimbanchi, animali mitologici e fantastici, personaggi improbabili e paesaggi incantati ma reali. Tre storie parallele che raccontano di una regina intenzionata a tutto pur di avere un figlio, una principessa in cerca di marito, un re libertino e ossessionato dal piacere e dal possesso.

Personaggi molto diversi ma che hanno in comune il desiderio di ottenere un qualcosa, chi un figlio, chi la giovinezza perpetua, chi l’amore materno, chi il piacere, a tutti i costi o per diritto reale. Ma, “ogni azione prevede una reazione. Solo così si mantiene l’equilibrio del mondo”, sono le parole scoccate dal primo, fantomatico e oscuro, personaggio con cui si apre il film.

Magica allegoria dei desideri della contemporaneità, le storie si susseguono in maniera non lineare ma fluida, offrendo allo spettatore un caleidoscopio fantastico di eventi attesi ma egualmente stupefacenti in cui ognuno vi può riconoscere delle corrispondenze. Impeccabile e di grande gusto estetico la fotografia, la scelta del montaggio “sfumato” e spesso invisibile, l’architettura barocca delle scenografie, i costumi sgargianti e ben curati e le ambientazioni, di una bellezza mozzafiato (tutte girate in e Italia, ndr), fanno di questo film un quadro antico, bellissimo e deforme, in cui la cornice siamo noi, con le nostre pulsioni, i nostri desideri, la perpetua ricerca, le nostre debolezze e le nostre vette – come quelle su cui si inerpicano castelli inespugnabili – alle quali spesso tendiamo, attraverso i sogni o d’improbabili battaglie in vita.

Nota sulle ambientazioni: a volte sembrano finte, costruite ad hoc per le scene, per quanto sono d’effetto, in realtà sono tutti luoghi veri e italiani. Come il castello di Donnafugata, con annesso il labirinto, a due passi da Ragusa; non lontano, le stupefacenti gole di Alcantara, che sembrano fatte di cartapesta. Il castello si Roccascalegna, inerpicato sulla cima del monte, a Chieti. E poi il verdissimo bosco del Sasseto, nel Lazio. Molti avranno riconosciuto infine le mura ottagonali del famoso Castel del Monte in Puglia. E molti altri posti naturali di incantevole bellezza tutti da scoprire, per una suggestiva cartolina d’Italia. 

Daniele Benvenuti

 

“Forza Maggiore”: emblema della fragilità umana

“Forza Maggiore”: emblema della fragilità umana

Trieste – “Forza Maggiore”, del regista svedese Ruben Ostlund, un film molto originale che ha ricevuto il premio della Giuria al festival di Cannes nella sezione Un Certaine Regard e candidato ai Golden Globe e agli European Film Awards.

La storia nasce da un’idea molto semplice quanto geniale. Una famiglia nordica, apparentemente felice ed unita, decide di trascorrere una settimana di relax in un resort di montagna in Francia. Il secondo giorno, lui, lei e i loro due bambini stanno pranzando su una terrazza a vista su un pendio.

Ad un tratto, da lontano, una valanga si dirige, sempre più grossa e minacciosa, verso di loro e gli altri turisti presenti fino quasi a raggiungerli. Lui, preso dal panico, scappa all’interno.  

Lei, diversamente, rimane lì, proteggendo i bimbi col suo corpo. La valanga, fortunatamente, si arresta prima e la normalità riprende. Ma l’incidente scampato è solo l’inizio di un dramma famigliare in cui entrambi scoprono di non conoscersi realmente e vengono letteralmente travolti da emozioni che non riescono a gestire.

Lui nega l’evidenza del suo gesto, evidenziando tutto il suo lato “nascosto” in cui si celano il suo carattere infantile (mostrato dal regista in diverse riprese), la sua fragilità, la sua incapacità ad assolvere il ruolo di padre, di marito, e di uomo che gli compete per “natura”.  

Un film che mette a nudo tutta la fragilità della coppia, in particolare del maschio,  in maniera cinica e inconfutabile. Il regista   dipinge il quadro usando la cornice, fredda e trasparente, della neve, della natura, come specchio – impietoso – di quella umana nel quale si intravede, chiaramente, l’involuzione del genere maschile.

Ne esce un dilemma umano intricato e dalla risposta non scontata. Il regista mette in bocca di una seconda coppia lo stesso dilemma, in maniera retorica ed ipotetica, certo, ma la domanda è ovviamente rivolta anche a noi. Come ci saremmo comportati, se fosse accaduto a noi? Bella domanda.

 

Ottimo esempio di produzione low cost dal grande impatto emotivo e di una certa qualità filmica, che strizza l’occhio al maestro Haneke per il clima di tensione psicologica e di sperimentazione sociologica ricercati (e a Von Trier per la successione delle sequenze secondo lo schema dei capitoli, qui rappresentati dai giorni). Da vedere. 

Daniele Benvenuti

“Leviathan”: drammatico, iconoclasta, tremendamente bello

“Leviathan”: drammatico, iconoclasta, tremendamente bello

Trieste - Palma d’oro nel 2003 con Il Ritorno, il regista russo Andrey Zvyagintsev firma un’altra perla di cinema, Leviathan, premiato col Golden Globe come miglior film straniero e, per la sceneggiatura, al festival di Cannes 2014, dove rappresentò la Russia diventando oggetto di molte riserve da parte del Ministero della Cultura per i tratti, cupi ed impietosi, con cui dipinse la società russa contemporanea, lacerata da corruzione e abuso di alcool, sconfitta per la mancanza di libertà e speranza.

Il film è ambientato in una remota cittadina di mare del Nord della Russia e narra di un uomo semplice, ex militare, Kolya, che vive una vita semplice nella casa, che ha costruito con le sue mani, assieme a suo figlio e alla compagna. Un giorno si presenta il sindaco, personaggio inetto e corrotto, esigendo il suo pezzo di terra. Ma Kolya non vuole vendere la sua casa col terreno, è tutto ciò che ha e vuole mantenerlo. Si trova coinvolto dunque, suo malgrado, in una battaglia legale impari, in cui lo Stato userà qualsiasi mezzo per ottenerlo. L’uomo decide di affrontare il Potere a testa alta – in nome della giustizia e della libertà –, aiutato dal fratello avvocato, ma anche quest’ultimo assaggerà la potenza corruttiva e implacabile a sue spese.

Il regista non risparmia nessuno: mette a nudo da una parte il potere politico, rappresentato dal sindaco, che approfitta della sua posizione predominante e delle sue “alte” conoscenze, dall’altra la Chiesa, potere occulto e simbiotico di quello politico, che si serve ancora della potenza delle immagini sacre e di parole belle quanto vuote, per tenere buono il gregge. Il mostro del titolo ha una doppia identità: mitico-religiosa e politica. Quest’ultima si ispira alla filosofia di Hobbes in cui descrive il potere tentacolare e immanente delle Istituzioni – dello Stato assoluto e despota – sulle vite, sulle pulsioni, sulle libertà dei suoi cittadini, e la sua reciprocità con quello ecclesiastico. 

La macchina da presa si ferma spesso, con inquadrature fisse e prolungate (campi medi), sui resti di vecchi natanti arenati su sponde desolate e infine sullo scheletro di un enorme dinosauro, fotogrammi in chiaroscuro di sublime bellezza, per mostrare ciò che resta del suo Paese: carcasse senza vita e senza tempo. Un Paese alla deriva pieno di paradossi (mostrati in alcuni dettagli durante il film come le figurine attaccate sul cruscotto di donnine nude poco distanti da immagini di santi), di ferite di guerra, della piaga dell’alcol come consolazione dove l’unico punto di riferimento, l’unico conforto, si trova nelle belle, quanto false, parole del Pope.

Leviathan è un film complesso dove si mescolano amore, spiritualità, natura, morte, potere in un crescendo di tensione, pathos ed eventi che si sviluppano in un dramma a tinte fosche. Una storia mostrata e raccontata da una regia sapiente, con una fotografia sublime, una sceneggiatura solida e un cast di ottimi attori.  

Con questa opera ultima Zvyagintsev si supera. Il suo film è uno di quelli che rimarranno sicuramente nella storia ed un must see per tutti coloro che amano il cinema.

Proiezioni: da giovedì 21 maggio, ore 21. Calendario in aggiornamento sul sito aristoncinematrieste.it

Daniele Benvenuti

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