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Mar09242024

Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

"Black Mass", storia e orrori dell'allenza tra Male e FBI con un grande Johnny Depp

Udine - Ci sono storie dove finzione e realtà diventano così simili da apparire irreali nell'insieme: un gangster che diventa il signore indiscusso della città, grazie all'aiuto delle forze dell'ordine, ad esempio. Quando poi la realtà si svela per l'orrore che è, i brividi assalgono anche il più temerario amante del noir.

Il quale, sicuramente, non può essersi lasciato sfuggire l'ultimo film di Scott Cooper, “Black Mass. L'ultimo gangster”, uscito qualche giorno fa nelle sale italiane: incentrato sulla vita del boss di Boston James “Whitey” Bulger, per l'occasione interpretato da uno stravolto Johnny Depp, è la storia dell'ascesa di questo criminale con la complicità del FBI. Tutto per stroncare la mafia italoamericana locale.

Correva l'anno 1975: in città Bulger è ancora un pesce piccolo, che subisce la potenza delle varie mafie che si spartiscono la zona. Quando però ritorna John Connolly (Joel Edgerton), cresciuto lì e ora agente dell'FBI, incaricato di spazzarle via, questo ha subito in mente un piano: stringere un alleanza con il boss, suo amico d'infanzia, così che lui potesse passargli informazioni sui nemici di entrambi e, nel frattempo, prendere il loro posto.

A prima vista, potrebbe apparire come il minore dei mali possibili: puntare su un criminale “di quartiere” per arrivare alla mafia non è male come piano, ma non tutto va come dovrebbe. Vuoi il passato del boss (9 anni passati ad Alcatraz, facendo la cavia per test sul LSD), la complicità eccessiva tra lui e l'agente che pian piano si forma e i drammi familiari del primo (gli muore prima il figlio e poi la madre), ecco che un criminale senza freni emerge.

Fatti e finale, come spesso accade in film che si dividono tra realtà e invenzione, lasciano molto alla fantasia romanzata degli sceneggiatori, ispiratisi peraltro al libro “Black Mass: The True Story of an Unholy Alliance Between the FBI and the Irish Mob” (2001) di Dick Lehr e Gerard O'Neill.

E ciò permette a un Johnny Depp vitreo di dar sfogo alla malvagità fatta persona, che non si fa scrupolo di uccidere una ragazzina solo per paura che abbia raccontato qualcosa di lui alla polizia. Tutto ciò sempre sotto la protezione dei Federali, che grazie a Connolly lo coprono per anni.

Quando però i vertici vogliono andare affondo, ecco che il torbido emerge sempre più veloce, ma ormai i cancelli sono spalancati: il “toro” “Whitey” è senza più freni, in un delirio di onnipotenza che investe tutti. Chi riesce a sottrarglisi, racconta tutto per uno sconto di pena: il film è narrato proprio da loro, in lunghi flashback davanti a un agente e un registratore audio.

Dopo gli applausi per Deep, il riconoscimento più grande va al regista, capace di dar vita a un noir-crime capace di far gelare il sangue per il terrore, nonostante impieghi meno violenza di tanti altri. Un merito che indica una forte psicologia dei personaggi, cosa che quello di Bulger condensa tutto su di sé: un vero tuono del mare del Male. Cose che non capitano tutti i giorni.

Per la V giornata al Festival Latino Americano in città la giornalista cilena Faride Zeran Chelech

Per la V giornata al Festival Latino Americano in città la giornalista  cilena Faride Zeran Chelech

Trieste - Quinta giornata di Festival del Cinema Latino Americano e continuano ad arrivare numerosi ospiti: nella Giuria della Sezione Contemporanea non possiamo non nominare la presenza a Trieste della giornalista cilena Faride Zeran Chelech, oggi alla cattedra di Etica e Trattati Giornalistici dell’Università del Cile, già fondatrice di prestigiose riviste del paese sudamericano e del Direttorio della Televisione Nazionale Cilena. Oltre a lei sono già presenti a Trieste registi e produttori protagonisti delle prossime serate del Festival, a cui nella giornata di mercoledì si aggiungerà anche Juan Ferrer, Direttore del Festival del Cinema Latino Americano di Catalogna, che sabato pomeriggio riceverà il Premio Gestor Cultural 2015 per essersi distinto nella promozione della cultura latino americana in Europa.

Le proiezioni intanto continuano sia all’Auditorium del Civico Museo Revoltella di Trieste con i film in concorso della Sezione Ufficiale e Contemporanea mentre al Cinema dei Fabbri si proietta Cooperando – Il Meglio di Florianopolis, 7 cortometraggi del celebre festival brasiliano di cui è presente a Trieste la coordinatrice Marilha Naccari, e alcuni dei film in concorso nella Sezione Ufficiale.

Apre la giornata alle ore 11 la sezione Contemporanea con il film in concorso SC Recortes De Prensa  di NIcolás MartÍnez Zemborain e Oriana Castro, un film documentario che ci porta a Parigi nel 1980 dove un gruppo di giornalisti e intellettuali esiliati politici dell’Argentina, tra cui Cortázar e Soriano, si propone di far un giornale chiamato “Sin Censura” per contrastare la campagna di disinformazione delle dittature militari sparse per l’America Latina negli anni ’70. Seguirà nel pomeriggio, alle ore 16 la Sezione Ufficiale in concorso con El Secreto De Lucia di Becky Garello dove si parla nuovamente di Argentina, questa volta all’interno di un lungometraggio di fiction che ha per protagonisti Juan e Mario, artisti di strada, e Lucía, cantante e ballerina, che appena incontrata entra prepotentemente nei loro cuori. I tre intraprenderanno un tour insieme tra segreti e bugie, un viaggio dove tutti i personaggi nascondono qualcosa.

Con Ayiti Toma di Joseph Hillel, alle ore 18,  andiamo invece ad Haiti con uno sguardo ampio su un paese apparentemente ben conosciuto. Sociologi, storici, ragazzi di strada e sacerdoti vudù: ognuno ha qualcosa da dire e tutti condividono lo stesso desiderio di mostrare la diversità e la ricchezza di un popolo spesso soggetto al rigido giudizio degli stranieri, tuttavia unito e la cui storia e cultura sono tanto magiche quanto oscure.

Rimaniamo nel genere documentario ma cambiamo paese e ci spostiamo in Brasile: Corbiniano alle ore 20 di Cezar Maia è un documentario sulla vita e sull’opera di uno dei più importanti artisti plastici brasiliani, riconosciuto per aver creato figure sinuosamente allungate in alluminio fuso. Corbiniano intercala dichiarazioni e situazioni relative al lavoro di un artista unico e primordiale per le arti, specialmente per il contesto brasiliano.

E rimaniamo infine in Brasile perché la serata all’Auditorium del Museo Revoltella si conclude con la proiezione di O Outro Lado Do Paraiso, alle ore 22 di André Ristum che ambient ail suo film nel Brasile degli anni ’60 in cui Nando, un ragazzo di 12 anni, narra le avventure del padre, un idealista approdato a Brasilia dall’entroterra Minas Gerais. In un’atmosfera di agitazione politica e di riforme promesse dal presidentre João Goulart, Nando comincia una nuova vita, incontra nuovi amici e una nuova passione. Nel ‘64 irrompe però il golpe militare.

 

Al Cinema dei Fabbri verranno quindi riproiettati i film della Sezione Ufficiale Tiempo Perdido, di Alexander Giraldo e Quinuera, di Ariel Soto e il film colombiano La Sargento Matacho, di William González Zafra, uno spaccato del 1948 in cui la violenza partigiana mette a ferro e fuoco la campagna colombiana e molti contadini liberi vengono uccisi, tra i quali anche il marito di Rosalba Velasco, madre di due bambini, che assisterà al massacro e soffrirà di un processo psichico di depersonalizzazione, diventando ella stessa strumento di vendetta. Inizio della programmazione ore 16.

 

Per la prima giornata del Festival Cinema Latino Americano: la rivoluzione abita i corpi

Per la prima giornata del Festival Cinema Latino Americano: la rivoluzione abita i corpi

Trieste - Sono stati proiettati ieri, domenica 18 ottobre, i primi lungometraggi in concorso al 30o Festival del Cinema Latino Americano.

“Manos Unidas” è stato proiettato alle ore 16 nell'Auditorium del Museo Revoltella, il documentario dal taglio graffiante stile videoclip èstato girato da Roly Santos.

Si tratta di una triplice produzione argentina, boliviana e cilena, il filmato, infatti, cerca di tessere le trame esistenti tra tre vicende differenti della storia latinoamericana,  in comune hanno la presenza delle mani, viste nel video anche come elemento fortemente simbolico. Il documentario è stato distribuito nel 2014.

La sceneggiatura è dello stesso Roly Santos, la fotografia èdi Gabriel Perosino curatore anche di un blog di direzione fotografica su internet, il montaggio èaffidato a Nahuel Santos. La musica di questo documentario è interpretata da Mauricio Castillo Moya, in arte Chinoy, cantautore cileno, classe 1982. La pellicola, della durata di 106' minuti, è prodotta da Coopertiva Romana Audiovisual.

Manos Unidas è un documentario sul mistero delle mani di Che Guevara, Vìctor Jara e Juan Peròn; su quello che è successo, quello che si occulta, quello che si sa e quello che non si conosce. Cercando  risposta a che cosa rappresentino ancora oggi, simbolicamente, tanto gli uomini quanto le loro mani.  Le poche righe descrittive presenti nel catalogo introducono magistralmente alla visione di un documento davvero molto strano. Strano perché nelle forme e nei tempi questo documentario ricorda molto un videoclip musicale.

Che più che raccontare vicende, magari perse nel tempo, preferisce indagarle oggi, regalando spunti di riflessione sul senso della memoria. Come ad esempio i giovani writer per le strade di Santiago del Cile che, ancora sui muri scrivono “Victor Vive”, sono l'incarnazione di quegli ideali che hanno oltrepassato la storia e in un certo senso l'hanno anche riscritta, sorvolando dittature a colpi di vernice.

Documentari come questi, a metàtra un video dei Beastie Boys e un film di Rodriguez, servona a farci guardare oltre a ciò che sensibilmente sentiamo e vediamo. E come se l'autore, che non a caso è anche colui che ha redatto la sceneggiatura, avesse espresso, con questa sua opera, il desiderio di disegnare una nuova immagine del mito dei tre personaggi Ernesto Che Guevara, Vìctor Jara e Juan Domingo Peròn.

Il documentario diventa cosìuna lunga opera di video arte: il suono elettrico è in costante dialogo con la fotografia, che non è mai leziosa, ma anzi riprende tutto sempre da troppo vicino oppure troppo lontano. Come a dire che la memoria, colei alla quale affidiamo la prermanenza dei ricordi, può diventare cassa di risonanza unica pur assumendo dimensione collettiva, pur esprimendo i punti di vista di molti. E quindi mani, che anche se amputate, anche se corrotte, ricordano come la forza di agire trovi proprio lìla sua sede, e da sempre, nei pugni chiusi come nelle mani levate al cielo, l'uomo riconosce sè stesso e i propri simili. Questo lavoro ci ricorda che le mani di uno possono essere quelle di tutti. E viceversa.

“Democracia em preto e branco”di Pedro Asbeg, èstato proiettato, invece, alle ore 18, presso la medesima sede del Museo Revoltella.  Si tratta di una produzione brasiliana del 2014.

La direzione della fotografia, divertente e veloce, è stata affidata all'occhio di Rodrigo Graciosa, è giovane e forse le sue scelte risentono un po' dell'assenza di esperienza, ma nel complesso i tagli delle immagini collaborano con la narrazione.

Il sonoro di questo film vede la collaborazione di molte competenze differenti, proprio, perché la musica si potrebbe dire essere uno dei personaggi: la voce narrante è affidata a Rita Lee Jones Carvalho; cantante, musicista, scrittrice, attrice e presentatrice televisiva brasiliana; affermatasi nel trio Os Mutantes.

Rita Lee è stata una tra le voci piùautorevoli della protesta del popolo contro alla dittatura militare che dal '64 attanagliòil Brasile. Le altre voci che, a quella di Rita Lee si intrecciano, sono quelle dei testimoni diretti, i giocatori della Democracia Corinthiana, squadra di calcio di matrice popolare della cittàdi San Paolo.

Chi giocava di tacco, chi si definiva sindacalista: Socrates, Wladimir, e Casagrande, assieme a tutti gli altri giocatori proletari, usando al meglio le loro caratteristiche peculiari, hanno saputo immaginare, e quindi mettere in moto qualcosa di completamente nuovo e inaspettato tanto per il calcio, quanto per il movimento sociale, politico e culturale del Brasile degli anni 70' - '80. Il montaggio e l'editing sono stati curati da Renato Martins, mentre la produzione èaffidata a TvZERO.

Democracia em preto e branco: 90' minuti per indagare un periodo affascinante della storia brasiliana: il momento in cui il calcio popolare e gli artisti rock diventarono l'eco del popolo.

Non c'èmolto da aggiungere, il resto è tutto da guardare. Democrazia in bianco e nero, per l'appunto, perché non è sempre così scontato riconoscere e riconoscersi nelle sfumature, e di conseguenza ritrovarsi.

Un film che tutti gli appasionati di calcio assieme agli appasionati di rock e punk, senza distinzioni di nazionalità, ma soprattutto di età, non possono né devono lasciarsi sfuggire. Davvero bella e inedita, almeno per orecchie occidentali, la colonna sonora.

Composita di rock suonato nei garage, da band di adolescenti che a cavallo tra gli anni 70' e gli anni 80', passo dopo passo, gabbando una censura spietata, invasero le strade, riempiendole di vita e voglia di cambiamento, quel cambiamento che nel 1983 portòben un milione di persone in piazza a San Paolo a reclamare per sé il diritto di esercitare la propria cittadinanza. Credendo ancora nella democrazia, e volendo vedersi riconosciuto il diritto di eleggere il proprio presidente, poter gridare che la dittatura militare non spaventava piùnessuno. Il corpo sociale  trovò nella collettivitàil motore per sollevare la testa da anni di sopprusi.

A fare da sfondo a tutto questo c'era stata una squadra di calcio, la “Democracia Corinthiana”, e la forza rinnovatrice che i  suoi giocatori di quegli anni posero in essere, a partire dalla realtàche più li toccava da vicino, cioè quella dei campi da calcio.

Il calcio in Brasile èil piùseguito degli sport. E i giocatori della Democracia si eranno resi conto del potere comunicativo e mediatico delle loro gesta. Il campo di gioco era diventato anche luogo di confronto politico.

E a guardar bene si potrebbe dire che i primi scossoni dati dal popolo alla dittatura militare brasiliana siano state originate proprio da queste esperienze. Scegliendo di rompere con il sistema, ci si era resi disponibili, in qualche modo, a ricostruire.

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