"Suburra", atrocità e onnipotenza mafiosa in una finzione troppo reale
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- Categoria: Cinema
- Pubblicato Lunedì, 19 Ottobre 2015 07:55
- Scritto da Timothy Dissegna
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Udine - Che questo sia un periodo d'oro per il noir e crime italiano sul piccolo e grande schermo, lo si era capito già da qualche tempo. Ma alla notizia dell'uscita di un titolo destinato a tracciare un solco, ecco arrivare la conferma dell'apice di questo exploit. Che ha un nome: Suburra.
Nell'antica Roma, si chiamava così il quartiere dietro il Foro di Traiano, dove già all'epoca politica e criminalità si incontravano. Oggi, a oltre mille anni di distanza, i luoghi sono cambiati ma la sostanza no, e le cronache degli ultimi anni lo confermano: il Male invade tutto e tutti. Politici e clero inclusi.
Per cui "Suburra" diventa il titolo perfetto per l'ultimo film di Stefano Solima, regista già di Romanzo Criminale e Gomorra-La serie, tratto dall'omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini. E uscito il 14 ottobre nelle sale italiane, tra cui quelle del Visionario di via Asquini, non può che sembrare un filone legato alle inchieste agghiaccianti su Mafia Capitale. Ma il tutto risale ancora a prima.
Novembre 2011, Filippo Malgradi (interpretato da Pierfrancesco Favino) è un deputato della maggioranza di governo, mai dichiaratamente esplicitato di che fazione, ma basta un po' di memoria e occhio acuto per i particolari. Una sera, durante un'orgia a tre a base di coca e minorenni, una delle escort muore di overdose e il politico e l'altra prostituta (Giulia Elettra Gorietti) cadono nel panico.
La "soluzione" arriva da un amico di lei, uno zingaro imparentato con un boss della Capitale, che si sbarazza facilmente e brutalmente del corpo. Ma sarà solo l'inizio di una concatenazione di eventi tragici, che orbitano attorno all'affare milionario del fronte mare di Ostia, destinato a diventare una Las Vegas "de noi altri". Basta far approvare una legge in Parlamento.
"Pianeti" che riempiono quest'orbita, spesso scontrandosi tra di loro, sono la creme di una Roma oscura e maledetta: Samurai (Claudio Amendola), l'ultimo testimone della Banda della Magliana e padrone della città; il pr Sebastiano (Elio Germano); il mafioso Numero 8 (Alessandro Borghi), figlio di un altro celebre delinquente da cui non ha ereditato il carisma; e Manfredi (Adamo Dionisi), boss zingaro con mire di espansione.
Come saette impazzite, questi schizzano da un rapimento a una sparatoria, macchiandosi le mani di sangue per una faida che rischia di far saltare tutti i progetti su Ostia. E quando sembrerà che tutto sia a posto, si fa per dire, ecco che arriverà... L'Apocalisse.
Solima ha dato forma a un film inquietante ed estremamente macabro, ricco di sesso e violenza che tuonano nell'aria invasa dalla droga. Ma riconoscere in lui il presente attuale appare difficile, nonostante tutti gli scandali: sarebbe come ammettere di essere tutti sotto una colte di malvagità che se ne frega dello Stato di diritto. E quindi la rivoluzione sarebbe il minore dei mali da scegliere.
Ma l'intento non è tanto di denunciare il presente, nonostante i chiari riferimenti a un oggi ben preciso (durante l'ultimo governo Berlusconi), quanto anticipare un futuro a cui rischiamo di andare incontro. Anche se, nel complesso, un particolare sfugge: l'inserimento delle dimissioni del Papa, che non centrano sostanzialmente nulla.
L'interpretazione di Favino lascia qualcosa in sospeso, alla fine appare un personaggio incompleto, che forse in una serie TV avrebbe dato di più. A risaltare sono invece le pedine minori, vere chiavi di svolta nella narrazione e che lasciano intuire un sequel: astenersi da idee simili, per favore.