“Ballet Black” apre la stagione Danza del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
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- Pubblicato Lunedì, 10 Novembre 2014 21:20
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Trieste - La compagnia inglese Ballet Black apre la stagione Danza del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, domani martedì 11 novembre alle 20.30, con un ricco programma che prevede coreografie di Martin Lawrance, Christopher Marney e – in prima per l’Italia la divertente e suggestiva A Dream Within a Midsummer’s Night Dream del portoghese Arthur Pita.
«Il nostro obiettivo finale è quello di vedere un cambiamento fondamentale nel numero di ballerini neri e asiatici coinvolti nelle compagnie di balletto tradizionali – scrive la compagnia nella propria presentazione – e di rendere dunque l’esistenza di Ballet Black meravigliosamente inutile».
Nel frattempo coinvolgono il pubblico internazionale, conquistano la stampa, ricevono premi, uno fra tutti il Dance Awards 2012 come miglior compagnia indipendente del Regno Unito. Il programma composto per la serata a Trieste prevede un evento importante: la prima esecuzione taliana della coreografia A Dream Within a Midsummer’s Night Dream.
Sarà il numero conclusivo, danzato dall’intera compagnia ed è un lavoro lungo e molto suggestivo, che il coreografo portoghese Arthur Pita ha creato appositamente per il Ballet Black. È una nuova e divertente versione del Sogno di una notte di mezz’estate shakespeariano.
Direttore artistico nonché fondatore del Ballet Black è Cassa Pancho: discendenze inglesi e di Trinidad, ha studiato alla Royal Academy of Dance. Tutti i componenti del Ballet Black sono ballerini internazionali di discendenza africana e asiatica: a Trieste si esibiranno sei danzatori, perfetti, dotati nel classico, emozionanti nel contemporaneo, intenti con il loro lavoro a diversificare il balletto classico che per la sua tradizione non offre ai danzatori di colore o orientali molte possibilità.
In questi 13 anni di vita la formazione si è costruita un ampio repertorio che tocca i balletti più classici e arriva fino ai contemporanei creati da coreografi di punta, come Liam Scarlett, Shobana Jeyasingh, Will Tuckett, Richard Alston e Martin Lawrance.
I biglietti ancora disponibili si possono acquistare presso tutti i punti vendita dello Stabile regionale, i consueti circuiti e accedendo attraverso il sito www.ilrossetti.it alla vendita on line.
Ulteriori. Informazioni al tel 040-3593511.
"La Montagna incantata" da Thomas Mann apre la stagione al teatro Stabile Sloveno
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- Pubblicato Domenica, 09 Novembre 2014 15:36
- Scritto da Marzio Serbo
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Trieste - Hans Castorp è mediocre e sano, candido ed egoista, inquieto e curioso, ma non fino al punto da poter affrontare la verità della vita. Incapace, piuttosto, di prendere parte al dibattito e decidere da che parte stare, il protagonista de “La montagna incantata” di Thomas Mann sale sul palcoscenico del teatro Stabile Sloveno di Trieste dal 7 al 9 novembre per l’apertura di stagione.
Una fortunatissima coproduzione con il Drama di Lubiana, il teatro nazionale sloveno, che utilizza per lo spettacolo la rilettura della drammaturga Katarina Pejovič, fedele allo spirito dell’articolato noto racconto tedesco, dal baricentro inclinato in direzione di una narrazione di quella crisi sociale che sconvolse il mondo sul nascere del Novecento, più che verso lo stile dei romanzi di formazione a cui solo in parte appartiene.
Un viaggio metafisico nel cuore dell’incubo della malattia, ripensata come unica possibile contorta via di accesso alla vita. Malattia e cura in mano al Vecchio, un grande Vladimir Jurc nella parte del primario Behrens, che, sciamano della Montagna, esorcizza la morte e protegge da tutte le aggressioni del mondo.
Un pianeta riflesso in un’agguerrita contesa fra intellettualistiche razionalizzazioni e impulsi emotivi, dibattuta dai due personaggi simbolo: Settembrini, filosofo illuminato e discepolo di Carducci, interpretato qui brillantemente da Igor Samobor e il gesuita ebreo Leo Napha, Marko Mandič, contraddittorio oscuro specchio dei dubbi irrazionali dell’umanità, che sottratto alla morte in duello dallo stesso amico-nemico Settembrini che lui stesso aveva sfidato, si uccide, prefigurando la caduta stessa di quel mondo del quale è espressione, sotto i colpi feroci della Grande guerra che incombe.
Tre settimane di permanenza sono previste al sanatorio montano di Davos, nel Cantone dei Grigioni, per il giovane Castorp, uno straordinario Aljaž Jovanovič, popolare stella del panorama teatrale sloveno, qui capace di incarnare il volto in parte ingenuo e in parte egoista del suo meschino personaggio.
Una breve visita soggiorno all’ammalato cugino Joachim, il bravo Romeo Grebenšek, che dà forma ad un personaggio fuori contesto in perenne tensione con la Montagna da cui fuggirà per rientrare nel mondo e a cui ineludibilmente farà ritorno per concludere la sua breve giovane vita di soldato con la morte. Tre settimane che diventano sette anni, non per il «mal sottile» di cui Castorp non soffre, ma nella dilatazione del tempo metafisico che attraversa il suo senso di vuoto e le parole degli strani ospiti-pazienti e di coloro che se ne prendono cura, la signora Stöhr (Silva Čušin), Paravant (Gašper Jarni), Hermine Kleefeld, (Saša Mihelčič) e il dottor Krokowski (Luka Cimprič), Adriatica von Mylendonk (Sabina Kogovšek), la cameriera (Nina Valič), efficace e divertente cast cui si aggiungono due giovani attori appena diplomati, Lovro Finžgar e la triestina Patrizia Jurinčič.
Il tema dell’amore si avviluppa attorno alla “gatta” madame Clawdia Chauchat, la brava Nataša Barbara Gračner, intrigante nella magica erotica freddezza di cui è la testimone chiave, che costruisce con il suo compagno, l’imprenditore Mynheer Pieter Peeperkorn, Ivo Ban, il corpo delle passioni di Castorp. E matericamente, proprio su di un corpo, sulla schiena nuda del giovane, scrive le parole della conoscenza-consapevolezza che soltanto nel dramma vorticoso del desiderio possono prendere forma.
La regia è stata affidata alla slovena Mateja Koležnik, che è stata capace di asciugare i gesti e le azioni mantenendo in equilibrio ironia e riflessione, accattivante surrealismo, sostenuto anche dai costumi di Alan Hranitelj, e la drammatica realtà proiettata sul concavo metallo di un grande cannone, disegnato da Henrik Ahr, che aprendo le sue viscere diventa ricovero della malattia del mondo.
Dopo un’apertura scintillante e coinvolgente, la seconda parte è risultata forse un po’ troppo scarna, affidata al solo virtuosismo interpretativo di Samobor e Mandič, ma il riscatto del terzo atto, risolve lo spettacolo con un grande impatto emotivo chiudendosi sulle parole di Castorp:
«Sono qui, e in me ancora resistono brandelli di sogni.
So di aver diritto, inoppugnabile, di esser qui e sognare.
Ma devo svegliarmi, è mortalmente rischioso, per me.
La morte è una forza potente, vicino a lei si va in punta di piedi,
ci si toglie il cappello.
E la ragione nulla può di fronte a lei.
Più forte di lei è solo... non lo devo dimenticare.
Penserò a questo.
Il cuore mi batte forte, ma non sa perché.
Svegliati.
Apri gli occhi.»
Poi, giù nella bocca di un grande cannone, dove la consapevolezza della fine si spezza nella feroce inutile tragedia della grande Guerra.
Intervista a Lino Marrazzo regista ed autore della contemporanea "Artemisia Gentileschi"
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- Pubblicato Sabato, 08 Novembre 2014 12:06
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Trieste - Debutto serale per Artemisa Gentileschi, ieri sera venerdì 7 novembre, alla Sala Bartoli del Politeama Rossetti, pièce scritta e diretta da Lino Marrazzo, interpretato da Silvia Siravo Fulvio Falzarano con effetti sonori di Maurizio Bressan, resterà in scena fino a domenica 9 novembre con lo spettacolo pomeridiano alle ore17.
Racconto e denuncia al tempo stesso, lo spettacolo messo in scena da Lino Marrazzo, che mette a nudo l’emblematico rapporto padre-figlia, intriso di zone d’ombra. Ancora prepotentemente attuale l’argomento di cui si narra, trattato con incisività ed immediatezza in un linguaggio che non lascia spazio a fraintendimenti.
E lì la storia antica narrata per ogni donna, per ogni uomo, per ogni persona che vuole guardare dritto dentro al problema, in una crescente tensione emotiva che la bravura dei protagonisti ha saputo rendere efficace.Una storia che serve da monito per ognuno di noi, per quella donna che ha avuto il coraggio di denunciare, per quella che non ce l’ha fatta, per quella che potrebbe non farcela. Un racconto per dire ora, quello che un tempo solo pochi avevano il coraggio di denunciare, ma che incredibilmente tante donne, ancora, subiscono in silenzio e come allora sono intimate al silenzio.
Nata nel 1593 a Roma da Prudenzia e Orazio Gentileschi, Artemisia rimane orfana di madre e cresce con il padre pittore che la avvia all’arte sotto influenze caravaggesche. Mostra un talento immediato e potente, ma si scontra con i limiti della condizione femminile di allora. Di lei non si conosce molto altro, se non le note di uno scarno diario, la sua pittura, gli atti di un doloroso processo per lo stupro subito da un pittore amico del padre, il quale a propria volta le riserva morbose attenzioni.
L’attualità del tema ha indotto a riservare una replica straordinaria dello spettacolo - che si terrà lunedì 10 novembre in matinée – agli studenti delle scuole superiori che seguiranno Artemisia Gentileschi nell’ambito del già citato progetto dedicato alla promozione e divulgazione della cultura contro la violenza sulle donne dell'Assessorato Pari Opportunità della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia.
Abbiamo scambiato due parole con il regista Lino Marrazzo
Cosa ti ha portato a lavorare su un testo come Artemisa Gentileschi, di non facile rielaborazione.
I suoi quadri, espressivi, significativi e di un naturalismo spietato. La sua vita sorprendente e tanto attuale, le violenze che ha subito e che dopo 500 anni rimangono purtroppo presenti nella vita e cronaca di tutti i giorni. Così ho cercato e letto quel poco che esiste su di lei, compresi gli atti del processo e il suo percorso iconografico fermandomi su un episodio sconosciuto, la visita del padre alla figli dopo 5 anni che non si vedevano.
L'argomento della pièce teatrale non è dei più leggeri, ma hai saputo trasmettere lo strazio vissuto da Artemisia, e trascinare il pubblico con incisività e delicatezza... ti ritrovi?
Certo, anche se questo lo dovrà decretare il pubblico.
A chi ha guardato e guarderà il tuo spettacolo che imprinting vuoi lasciare?
Voglio fare cultura, desidero che lo spettacolo apporti cambiamenti significativi nella mentalità e nelle azioni di ogni giorno. Voglio che escano con la consapevolezza che la violenza verso la donna esiste non perché esiste l'uomo bensì una mentalità e cultura errate.
Ci racconti un tuo progetto futuro?
Ne ho diversi, anzi tanti ma per il momento preferisco non dirlo, sono una persona che cambia spesso idee e progetti.
Informazioni sullo spettacolo al sito www.ilrossetti.it alla vendita on line.
Foto di Rita Badalucco
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