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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Star bene

Alla scoperta del fiume sotterraneo con la Società Adriatica di Speleologia: le foto e la storia

Alla scoperta del fiume sotterraneo con la Società Adriatica di Speleologia: le foto e la storia

Trieste – Il prossimo 9 agosto un'importante spedizione speleosubacquea tenterà di aggiungere qualche tessera al mosaico del mistero del Timavo, il fiume sotterraneo che scompare nella grotta di San Canziano, in Slovenia, per ricomparire a San Giovanni di Duino, in provincia di Trieste.

Gli speleologi, nel tempo, hanno tentato di intercettarne il corso dall'alto del costone carsico. La Grotta 17 VG (numero di catasto della Venezia Giulia), meglio nota come Grotta di Trebiciano o Abisso di Trebiciano, e tradizionalmente legata alla Società Adriatica di Speleologia, è un esempio di questo tipo di esplorazione. Ed è proprio dal fondo di questa grotta che inizierà la parte più interessante della spedizione subacquea.

“Trovare un accesso al Timavo dal Carso triestino è stato uno degli obiettivi preminenti della Società Adriatica nel corso di svariati decenni – spiega Marco Restaino, speleologo del gruppo. - Dal 1974 la Sas detiene la concessione della Grotta di Trebiciano. Da quel momento in poi abbiamo lavorato per attrezzarla ed ora essa è percorribile fino in fondo con una via ferrata. Grazie a quest'opera sono possibili spedizioni subacquee come quella di 20 anni fa, che prosegue ora con l'intervento dello stesso gruppo di speleosub francesi, a cui daremo il nostro appoggio logistico e l'assistenza”.

“Ci aspettiamo molto dalla spedizione – dice ancora Marco Restaino. - Il lago sotterraneo che si trova in fondo all'abisso può riservare molte sorprese. Con le nuove tecnologie di immersione speleosub, i tempi di permanenza in acqua sono aumentati in modo non immaginabile 20 anni fa, ed anche i mezzi di illuminazione si sono evoluti. Sarà possibile effettuare rilievi e misurazioni di grande interesse scientifico, che accresceranno il patrimonio delle nostre conoscenze sul Timavo e sui fenomeni carsici”.

Il nostro fotografo Stefano Savini, a 10 giorni dall'arrivo degli speleosub francesi, è sceso nell'abisso ed ha scattato una impressionante serie di foto, che vi proponiamo di seguito, assieme al suo racconto della discesa:

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"Grottenarbaiter. Giorgia apre la botola e comincia la discesa, sono in ansia... a 50anni farmi 340mt nelle viscere della terra, beh mi sembra troppo.

Ma scendo, gradino dopo gradino riscopro le sensazioni di quando avevo 15 anni,il buio rotto dalle torcie sui caschi e quel fango, tanto fango, dappertutto, che subito ti sporca le mani anche se porti i guanti, si scivola e devo tenermi ben stretto alla scaletta che sembra non finire mai sotto i miei piedi.

Un cavo d'acciaio e due moschettoni che escono dall'inbragatura sono l'unica sicurezza per evitare di cadere nel vuoto. Parlo, parlo e parlo per esorcizzare l'ansia che mi accompagna sempre più in basso, ma non ho paura o panico, sento solo tutto troppo stretto attorno a me (non ne vado matto).

Arrivo al ponte del brivido, tiro dritto senza pensar troppo al vuoto che sta sotto di noi (30-35mt). Ora l'abisso mostra tutto il suo nome, un pozzo fondo 52 mt che viene interotto solo dalle scalette spostate prima a sinistra e poi a destra, poi cunicoli stretti e scivolosi e poi gli unici ricordi lasciati da Federico Lindner (lo scopritore della grotta), una carrucola e gli ultimi pozzi (fatti in legno) che portano alla grande cavità.

Gli ultimi 200mt sono una passeggiata sulla sabbia che scende fino ad un angolo dove un piatto color verde fa da specchio della grotta. è il Timavo, o meglio, il lago che si dovrebbe collegare al nostro fiume sotterraneo… siamo arrivati sul fondo dell'abisso di Trebiciano.

Giorgia spegne le luci e mi invita al silenzio, gocce d'acqua picchiano sulle rocce e nel tratto del lago, poi le stanche menbra si rilassano e la mente distesa comincia a sentire il Timavo che parla: è incredibile quello che sento, come delle voci lontane, distorte ma buone, mi arrivano alla testa senza violenza e lentamente mi appisolo.

Giorgia riapre le luci e rivedo la realtà della grotta, ampia e possente,faccio un "oh!" che rimbonba in tanti echi ben distinti e molto limpidi. L'ansia non c'è più e tiro fuori la fotocamera per le foto ricordo, nel buio scatto, Giorgia e poi io per ricordo che ero lì, poi la targa dedicata a Federico Lindner (un genio d'altri tempi) ,sono commosso per la sua impresa mai ricompensata e riconosciuta, un pensiero va anche ai suoi collaboratori che morirono in altri tentativi di trovare il fiume nascosto.

Ora dobbiamo risalire perché il tempo stringe e abbiamo consumato le provviste, sali come un bradipo (me lo disse il presidende della S.A.S. prima di scendere). Ad ogni cambio di pozzo colgo la risalita con la fotocamera e approfitto per rifiatare.

La stanchezza è in agguato e devo controllarla per non farmi sopraffare, rivedo la discesa all'incontrario e ne ricordo le difficoltà.

Ancora foto e lentemente ci avviciniamo alla superficie. Giorgia intuisce che qualcuno ci aspetta all'ingresso,chi mai potrà essere? che sorpresa! I miei figli e la loro mamma che sorridono appena appaio alla luce del sole. Che caldo! Da 12° a 35° in pochi metri! Sono completamente sudato, ma felice, ho toccato con mano un pezzo di storia della "mia Trieste". Ad attenderci ci sono anche Marco Restaino e Angela Spechar (entrambi speleologi della Sas)…., acqua fresca, anguria, la calura estiva mi fanno non persare alle 5 ore passate accanto ad una storia che non è ancora finita...

La Sas ha anche realizzato per il National Geographic Magazine un bel documentario, consultabile sul web ai seguenti indirizzi:

https://www.youtube.com/watch?v=ELrAe7QiMJA

https://www.youtube.com/watch?v=HH8ra9LGEQk

https://www.youtube.com/watch?v=7lQ_YelzDL0

(Credits: per le foto, Stefano Savini; per i filmati, Società Adriatica di Speleologia. Licenza Creative Commons: uso non commerciale, citare la fonte).

Incendi, con il caldo si riaccende il rischio. In fiamme il Carso presso Fernetti: le foto

Incendi boschivi: con il caldo si riaccende il rischio. In fiamme il Carso presso Fernetti

Trieste - Durante la tarda mattinata del 22 luglio, a causa di una scintilla originata dal passaggio di un treno, si è sprigionato un incendio nel tratto di altipiano carsico tra l'autoporto di Fernetti ed il raccordo autostradale.

Sul posto i Vigili del Fuoco della stazione di Opicina, che sono intervenuti tempestivamente assieme ai volontari della Protezione civile.

Le fiamme hanno avuto campo libero e si sono estese su 5 ettari. Vigili del Fuoco, volontari della Protezione Civile e Guardie Forestali sono riusciti ad evitare il propagarsi delle fiamme e permettere agli altri gruppi di appostarsi attorno al perimetro, circoscrivendo l'incendio.

L'arrivo dell'elicottero ha permesso ai vari gruppi di penetrare dentro la macchia per spegnere i vari focolai. La bonifica dell'area incendiata ha richiesto tutta la notte.

Per questa operazione sono stati impiegati una quarantina tra volontari, Guardie forestali e Vigili del Fuoco.

Di seguito la galleria fotografica di Stefano Savini, sul posto tra i volontari della Protezione Civile:

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Ricordiamo che 17 luglio scorso la Regione Friuli Venezia Giulia, con Decreto del Presidente della Regione n°128 del 17.07.2013 aveva dichiarato lo stato di grave pericolosità per gli incendi boschivi fino al 31 agosto 2013.

Si ricorda che qualora si avvisti un incendio boschivo è necessario chiamare immediatamente il numero verde 800500300 per far partire le misure antincendio nel tempo più breve possibile.

Le condizioni meteo fanno sì che gli incendi si propaghino con velocità fulminea. L'unico modo per evitare danni enormi è la tempestività dell'intervento.

La dichiarazione di grave pericolosità ha valenza nelle zone comprese nel Piano regionale di difesa del patrimonio forestale dagli incendi ed in tutte le zone boscate della regione.

Essa prevede, tra le altre cose, il divieto di gettare fiammiferi accesi e sigarette non spente, il divieto di far brillare mine salvo specifica autorizzazione rilasciata dal competente Ispettorato dell' agricoltura e foreste, il divieto di eseguire qualsiasi operazione che possa creare pericolo immediato o mediato di incendi.

Le infrazioni ai suddetti divieti sono severamente punite.

Don Mario Vatta, fondatore della comunità di San Martino al Campo di Trieste, festeggia il 50° di sacerdozio. Le foto

Don Mario Vatta, fondatore della comunità di San Martino al Campo di Trieste, festeggia il 50°

Trieste - La voce rotta dall'emozione nel ricordare quello che monsignor Santin 50 anni fa in questa stessa chiesa, quella del popolare quartiere di Roiano, gli aveva detto: "ricordatevi di amare".

Don Mario Vatta, fondatore della Comunità di San Martino al Campo di Trieste, fu ordinato sacerdote nel 1963 presso la chiesa dei Santi Ermacora e Fortunato dall'allora vescovo di Trieste Antonio Santin. Il 29 giugno ha festeggiato la ricorrenza.
E quelle parole in questi 50 anni Don Mario sì che se le è ricordate.

Anzi ha fatto di più, ha aperto le porte al disagio sociale, quello scomodo, quello che allora si definiva spacciato, irreparabile, senza nessuna possibilità di recupero.  

La strada è stata dura e in salita. "Mario" non ha niente altro che un pugno di amici e il suo sax, e tanta voglia di seguire l'esempio di Gesù.

Bussa alle porte come San Francesco, non per il pane, ma per qualcosa di altrettanto vitale: combatte per la dignità di persone che hanno diritto di essere al mondo, di avere dei diritti anche se la vita gli è girata contro e l'ingiustizia è lì pronta a colpirli senza pietà.          
E' un mondo che "puzza",ma anche là, per don Mario, c'è Dio immerso nella sofferenza di sbagli umani che cercano aiuto in un sistema di cose che macina l'uomo come olive.

Quattro muri ridipinti in via Rota cominciarono a scaldare qualche disperso, e c'è sempre qualcuno che tornerà a disperdersi appena fuori.

La croce adesso sì che pesa, eccome se pesa, non basta una casa per risolvere la piaga della fame e con uno dei primi "ospiti", Germano, morto fra le braccia, Mario capisce che deve andare oltre, bussare ancora di più e lasciar perdere il sax  per cercare lavoro.

Perché se non hai lavoro non hai casa e nemmeno la vita e così quattro soci fanno più danni che altro, ma intanto vivono e quelle parole, diventate seme, mettono radici nella terra a Trieste fino a diventare una struttura solida in grado di affrontare con forza il mondo.

I pochi amici ora sono tanti e pronti ad affiancare  don Mario nel far crescere quella piantina chiamata amore.  Mi permetto queste parole perché conosco direttamente Don Mario Vatta e ho assistito al suo cammino, partecipando ai "suoi" disegni in una strada che lentamente fa intravedere, nonostante le forti crisi del mondo, una speranza, che dia alle persone serenità e pace e spazio per tutti.   
Di seguito la galleria fotografica della ricorrenza

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Stefano Savini

Credits: Stefano Savini. Licenza Creative Commons: uso non commerciale, citare la fonte.

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