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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Cultura

"Quel giorno a Trieste” di Licio Bossi, alla Minerva.

" , edizione Mgs press. Sarà presente l'autore.

L'autoreLicio Bossi è nato a Muggia nel 1949. È stato collaboratore del quotidiano "Il Piccolo" dal ’73 al ’76 quando ha fondato il settimanale di cultura e politica sportiva "Trieste Sport". Ha diretto il periodico per vent’anni per poi occuparsi di marketing, eventi e pubblicità. Nel settore editoriale ha realizzato "Trieste 1900-1999, cent’anni di storia" una corposa opera in 12 volumi che racconta in modo cronologico il secolo scorso della città.

Alcune battute con l’autore per scoprire  alcune curiosità sul libro ma non solo.

"Quel giorno a Trieste" è il suo primo libro, nasce dal desiderio personale o professionale ?

Il libro nasce principalmente per una fase particolare della mia vita. Dopo un percorso stressante e trascorso a velocità pericolosa, dovuto alla mia attività lavorativa, ho editato e diretto per 20 anni il settimanale Trieste Sport, la mia vita ha subito un cambiamento rilevante e traumatico. 

Ti accorgi  del valore di altre cose. Cominci a guardarti attorno, al contesto a cui hai dato sempre poca importanza. Cominci finalmente ad osservare cose che mai avevi avuto tempo e voglia di vedere. Allora nasce la curiosità di sapere la storia della tua città in cui sei cresciuto e ti accorgi della smisurata ignoranza che hai sull'argomento.

A metà tra la finzione e la realtà il suo libro narra la storia di una famiglia, ci anticipa qualcosa?

Il romanzo è ambientato nel '700, il secolo dell'illuminismo. Trieste, come il resto dell'Europa, vive decenni di grandi trasformazioni. L'impero asburgico punta sul porto adriatico per sviluppare la sua economia mercantile e così, da piccolo borgo di pescatori diventa una città cosmopolita. In questa vorticosa trasformazione si intrecciano storie, drammi, successi e arricchimenti smisurati tra cui quella fantasiosa di Valerio, ufficiale della Marina asburgica, e di Matilde, giovane e bellissima ragazza triestina.

A chi lo dedica? A Luca e Matteo, i miei figli.

Ci racconti un  aneddoto del libro?

Ad un certo punto la storia si sposta in Ciceria.  E' un posto che non conoscevo e che ho deciso di visitare perchè ho saputo che Raspo, uno dei paesini sparsi su quell' altipiano, è abitato da una decina di persone tutte con lo stesso cognome: Bosich, che a Trieste è diventato...Bossi. La Ciceria mi ha affascinato e mi ha dato diversi spunti che credo hanno arricchito il romanzo.
A quale personaggio è più affezionato di quelli che racconta?

Matilde perché è un personaggio di cui sono stato innamorato.

In sintesi: Il libro"Quel giorno a Trieste" è il racconto in parte reale e in parte romanzato di una storia lunga quasi un secolo. Quando l’imperatore Carlo VI nel 1719 decreta il Porto franco, il piccolo borgo di pescatori conta poco più di cinquemila anime. Con l’avvento di Maria Teresa e fino al 1797, quando la città venne occupata dalle truppe di Napoleone, Trieste diventa una città cosmopolita e addirittura il secondo porto più importante del Mediterraneo. In questa vorticosa trasformazione si intrecciano storie, drammi, successi e arricchimenti smisurati di personaggi che con la loro intraprendenza contribuiscono a far diventare Trieste "la perla prediletta dell’Impero", come orgogliosamente la definiva l’imperatrice Maria Teresa.

 

 

"Consenso. La comunicazione politica tra strumenti e significati". Intervista all’autore Mario Rodriguez.

Trieste - Venerdì 4 ottobre alle 18, nella sala di lettura della Libreria Minerva di via san Nicolò 20 a Trieste, verrà presentato "Consenso. La comunicazione politica tra strumenti e significati"di Mario Rodriguez, pubblicato da Guerini e associati. Dialogando con l’autore, Mario Rodriguez, docente di comunicazione pubblica a Milano e comunicazione politica a Padova e presidente di MR&associati, ma fin da giovanissimo appassionato di politica  partecipando alla vita  dei movimenti studenteschi,  gli abbiamo  chiesto di illustrarci, con alcuni quesiti posti, il suo ultimo libro, per capire da dentro di cosa si tratti.

Questo libro nasce da un'esigenza personale per fare chiarezza nel mondo fluttuante della politica?

Sicuramente nasce da un desiderio personale che si combina con quello professionale. Ho 66 anni e dall’età di 16 ho combattuto per ideali civili, partecipando alle manifestazioni dell’epoca, mi piacerebbe si potesse ridare senso all’andare al voto e per farlo bisogna ricostruire i significati della politica, quella che mirava al bene comune, al bene della polis per l’appunto.

Insomma un libro per capire o per chiarire?

Forse un po’ l’uno, un po’ l’altro.  Capire che senza l’altro che entra in  relazione con noi e ci da fiducia e senza un autentico atteggiamento positivo  verso la persona a cui ci si rivolge, in questo caso l’elettore,  non si può pensare di riuscire a convincerlo a farlo votare qualcosa di diverso.  L’intento del libro è, anche, quello di fare chiarezza su come mai si voti in una direzione piuttosto che in un’altra.

Chi spera lo legga ... ?

C’è una dedica nel mio libro che dice “A chi ci crede ancora”. A tutti coloro che credono nella politica  e che credono la politica sia battersi per un bene comune, per l’interesse della comunità. Credere nella politica vuol dire vivere in relazione con l’altro.

Si rivolge ai giovani in questo libro?

La crisi che stiamo vivendo è epocale, ne usciremo con  scenari completamente diversi, e saranno anche loro costretti a prendere di nuovo in considerazione la politica. La vecchia cara Europa non è più al centro dell’universo e i nostri ragazzi dovranno fare i conti anche con questo, dovranno essere felici con molto meno. Devo dire che in questo periodo mi sto confrontando con varie associazioni di volontariato ed entro in contatto con molti giovani, e mi spiace dirlo ma i più generosi li trovo nel mondo del volontariato  cattolico, noto che il pensiero laico sta perdendo la sua forza.

Scendiamo più vicini al testo questo è un libro, professore, che parla di comunicazione,  in politica, spesso, sopravvalutata, demonizzata, sostanzialmente incompresa. Comunicazione che sembra  essere  ancora la protagonista della nuova fase della vita italiana che si è aperta con le elezioni del 2013, ci spiega meglio?

“È vero che la politica è diventata pop e si è trasformata in una campagna elettorale permanente, che il modo in cui si fanno le campagne è cambiato così sostanzialmente da avere effetti sul significato stesso che ha assunto la parola politica o candidato nel nostro tempo, ma alla base di tutto questo resta la necessità di costruire una polis, di trovare decisioni condivise, di scegliere persone da legittimare a svolgere ruoli di governo e anche, non secondariamente, di vedere soddisfatte le proprie umanissime ambizioni. Il problema, dunque, è offrire una chiave di costruzione di senso. Il leader che si affermerà in Italia non so bene chi potrà essere ma credo che se diventerà tale sarà perché riuscirà a costruire ponti non a scavare trincee più profonde e impenetrabili. Sarà leader perché riuscirà a raccogliere attorno a se un numero di seguaci superiore a quello della forza che lo ha espresso. La grandezza di un leader la determinano i seguaci: coloro che dandogli fiducia gli attribuiscono un ruolo essenziale a costruire un senso alla loro attività, alla loro vita.

Dalla comunicazione concepita soprattutto come strumento e tecnica di trasmissione si dovrà passare alla comunicazione vissuta come costruzione di significati, discorso motivante all’agire, processo cognitivo, creazione di identità, questo è quello che sostiene e di cui è profondamente convinto, ci aiuta a capire di più?
Occuparsi di comunicazione anche in politica significa cercare di spiegare come e perché le persone pensano quello che pensano e quindi votano quello che votano. E soprattutto come si fa a far cambiare opinione, come si governa la capacità di generare sentimenti che motivano. Che il sistema mediatico influisca su cosa pensa la gente e sulle scelte di voto è indubbio ma non esaurisce il problema di come e perché le persone votano quello che votano. Bisogna andare oltre la descrizione dell’influenza della tv, ieri, e del web, oggi. Bisogna ripartire dalle parole che le persone si scambiano al lavoro, prendendo il caffè, vivendo le cose di tutti i giorni.

A dialogare con l’autore alla Minerva  saranno Aureo Muzzi, consigliere comunale del Pd, Ketty Tabakov e Roberto Weber, esperti di comunicazione e ricerche demoscopiche, e Francesco Russo, senatore del pd.

È morto a 83 anni lo scrittore Carlo Castellaneta. Milanese, viveva a Palmanova

È morto a 83 anni lo scrittore Carlo Castellaneta. Milanese, viveva a Palmanova

Palmanova - Lo scrittore Carlo Castellaneta è morto nella notte del 27 settembre a Palmanova. Ne ha dato notizia la famiglia. Castellaneta, 83 anni, milanese, viveva in Friuli Venezia Giulia da una decina d'anni. È deceduto in ospedale per una complicazione sopraggiunta durante una polmonite.

L'annuncio della morte è stato dato dai figli, Dario e Paola, e dalla seconda moglie, Caterina.

Il romanzo d’esordio, “Viaggio col padre”, fu pubblicato nel 1958 per volere di Elio Vittorini da Mondadori: Castellaneta lavorava presso la della casa editrice come correttore di bozze.

Iniziò così una carriera prolifica e fortunata, con diverse opere tradotte in inglese, francese, spagnolo e tedesco: tra le più note, “Notti e nebbie”, da cui è stata tratta una serie televisiva firmata da Marco Tullio Giordana, “L’età del desiderio” e “Gridando: avanti Savoia”, l’ultimo romanzo uscito nelle librerie nel 2007.

A Milano si dedicò anche all’attività giornalistica, collaborando con il Corriere della Sera e Storia Illustrata. È stato anche presidente del Museo Teatrale della Scala.

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