Con Enzo Bianchi e papa Francesco, aggiornamenti, riflessioni, emozioni, sentimenti estivi
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- Categoria: Libri
- Pubblicato Domenica, 11 Agosto 2013 12:36
- Scritto da Silvano Magnelli
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Trieste - Sarà l’estate che favorisce il pensare, ma ho trovato molti motivi di riflessione in queste settimane. Provo a riassumere qualche forte sollecitazione, confortato dal pensiero di Papa Francesco, che spinge la Chiesa a sapersi fermare.
La riflessione è scaturita anche dalla lettura dell'ultimo libro di Enzo Bianchi, intitolato “Fede e fiducia” (Einaudi, Torino 2013 – euro 10,00).
Ma andiamo con ordine.
Dice il Papa: “La ricerca di ciò che è sempre più veloce attira l’uomo, internet, auto, aerei, rapporti veloci… tuttavia si avverte una disperata necessità di calma, vorrei dire di lentezza. La Chiesa sa ancora essere lenta? O anche la Chiesa è ormai travolta dalla frenesia dell’efficienza? Recuperiamo , cari fratelli, la calma di saper accorciare il passo, la capacità di essere sempre vicini per aprire un varco nel disincanto che c’è nei cuori”.
Non si può che cominciare da lui e dalla settimana brasiliana, da cui sono partiti messaggi chiarissimi su una Chiesa che deve recuperare vicinanza agli uomini, gioia, presenza sociale, fraternità autentica, spinta profetica.
Autore a suo tempo di un documento dei vescovi sudamericani scritto in Aparecida, il Card. Bergoglio insisteva assieme ai confratelli vescovi sul senso della fedeltà: “Per rimanere fedeli bisogna uscire. Rimanendo fedeli, si esce”.
Papa Francesco oggi insiste su una visione di Chiesa che si fa prossima, non regolatrice della fede, ma facilitatrice di essa, come una madre che esce per l’incontro: “La Chiesa famiglia si genera intorno ad una Madre, la quale conferisce anima e tenerezza alla convivenza famigliare. Questa visione mariana della Chiesa è il miglior antidoto contro la concezione di una Chiesa funzionale e burocratica”.
Per agire così occorre avere la formazione di personalità senza paura della tenerezza, aperte alla costruzione di coraggiosi ponti di amicizia e di fraternità, uomini e donne gioiosi, la gioia di aver veramente incontrato Cristo, non “tristi, impazienti e ansiosi”. Persone disponibili a “lasciare le sacrestie e andare per le strade”, a “parlare il linguaggio che la gente capisce fuori dalle formule liturgiche e teologiche”.
Papa Francesco è credibile nel suo dire, perché è sempre uscito incontro, sa che “Gesù non ha casa, perché la sua casa è la gente”, è da sempre ricco di contatti impregnati di passione umana, di partecipazione ai dolori e ai problemi di chi vive appunto alle periferie del mondo, sa che “ il vero potere è il servizio”.
I contatti vissuti nella settimana della GMG hanno confermato che solo così si costruisce una Chiesa rievangelizzata, non ripiegata su se stessa, non concentrata sui riti. Nel raduno finale tra l’altro ha detto: “La Chiesa romana ha spesso dimenticato di dire che non ci può essere pacificazione nella miseria e nell’ingiustizia”.
Parole che dagli anni della Teologia della liberazione e dei Vescovi come Helder Camara, non risuonavano con tanta forza.
I gesti di prossimità a chi sta male e la sua immersione nelle questioni umane più scottanti, gli stanno facendo guadagnare la fiducia di tutti, c’è insomma nel suo stile di rapportarsi un di più di umanità che assume in questo momento un valore speciale, inestimabile.
Si è detto che questa settimana è stata una “festa di umanità” e non c’è infatti alcun contrasto tra fede e umanizzazione della vita, anzi questa crescita di umanità è un compimento del Vangelo stesso. L’ammirazione arriva anche dagli ambienti non cattolici e da chi non crede, segnale di un’apertura che andava recuperata.
Un secondo motivo di riflessione mi è giunto dalla recente pubblicazione di un piccolo libro di Enzo Bianchi intitolato “Fede e fiducia”.
Se possibile, meglio averlo con sé…
Il libro è un inno alla comune ricerca di “fare fiducia”, un modo di essere che interessa tutti e che oggi si impone come necessaria alla vita sociale.
Diretto e intrigante, Bianchi si esprime con una comunicazione densa di suggestioni pratiche: “Le persone dopo averci incontrato, hanno più fiducia, hanno più fede nella vita e negli altri? Questa è la domanda decisiva da porsi per intraprendere qualunque discorso serio, anche quello sulla crisi o sulla precarietà della fede in Dio.”
Il suo focus è sul rispetto dei non credenti: “Spesso la tentazione dei credenti in Dio è ancora quella di condannare i non credenti, di non comprenderli e di giudicarli. (...)
Le frontiere talora passano non tra chi ha fede in Dio e chi non ce l’ha, ma tra chi ha una fede arrogante e chi ha una fede umile, tra chi crede nell’umanità e chi di essa dispera, tra chi è arroccato su posizioni del passato e chi aderisce al presente e così si apre al futuro, tra chi pensa di possedere la verità e chi si sente pellegrino verso di essa (...) perchè i non credenti non riconoscono il Dio che noi professiamo? Non dipenderà dal fatto che non ne offriamo sempre un’immagine veritiera, autentica, fedele? Siamo sicuri di non averne costruito nei secoli, e ancora oggi, immagini perverse, che anziché attirare e offrire salvezza raffigurano un Dio contro l’uomo? Un Dio che ci offre amore solo se meritato?”.
E poi prosegue con salutari elenchi provocatori: “Dovremmo dire che NON crediamo: in un Dio che si impone agli uomini, in un Dio che si vendica e castiga, in un Dio che ama la sofferenza, in un Dio che spia gli uomini come un ispettore, in un Dio che giustifica la violenza, in un Dio che è re al modo dei governanti umani, in un Dio che ama solo se è riamato, in un Dio che sta dalla parte degli uni contro gli altri, in un Dio totalitario che vuole essere tutto per noi”.
E infine mi è ricapitata sotto gli occhi una frase che ho trovato per caso qualche anno fa presso l’eremo di Spello dei Piccoli fratelli di Charles de Focauld, firmata da uno di loro, ma condivisa da tutti loro.
In questo tempo di fretta, di frenesia, di complicazioni relazionali e di tanto narcisismo ovunque diffuso, mi è parsa una luce di rara intensità e credo pienamente in linea con l’attuale stile pastorale di questo Papa, per cui vale veramente la pena di leggere questi loro pensieri:
"Ci rendiamo conto sempre più infatti che ciò che ci rende significativi come credenti non è nè un cristianesimo severo né il ritmo vertiginoso delle nostre attività sociali e pastorali, che, anche se necessarie, da sole non saranno mai esaustive".
"Ma è piuttosto lo spessore contemplativo, la capacità di cogliere i segni del Regno che si rivelano nel quotidiano, la compassione, il tratto umano, l’ecologia relazionale e controculturale che fa fiorire la nostra vita fraterna e tutta la nostra persona, compresi il nostro corpo e la nostra casa".