Cultura
100 anni ma non li dimostra: lo scrittore Boris Pahor festeggia con la pubblicazione del libro di sua moglie
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- Pubblicato Mercoledì, 21 Agosto 2013 13:53
Trieste - Il prossimo 26 agosto Boris Pahor, lo scrittore sloveno ormai autore di una trentina di libri, scritti in sloveno e tradotti in dieci lingue, più volte candidato al Nobel, compirà 100 anni. Ha visto trascorrere un secolo Pahor, quel Novecento che ricorre in tutti i suoi libri, soprattutto la prima, drammatica metà, che l'ha visto protagonista e vittima sotto il gioco fascista e nazista.
Lo scrittore, che alla sua età prende ancora l'aereo da solo, ed è capace di fare due giorni a Parigi,
rientrare e in serata tenere un incontro di due ore parlando ininterrottamente con un accento
triestino dolce dolce, in contrasto con le parole sferzanti e a volte sarcastiche, è ancora nel fiore
della vita letteraria: diversi sono i lavori in cantiere, tra cui, di prossima uscita, proprio per festeggiare il suo compleanno, Un eroe in famiglia per Nuovadimensione editrice, il libro della moglie Radoslava Premrl, scomparsa quattro anni orsono.
Per lui quest'opera è il libro più importante, quello a cui è più legato. Gli ha dedicato una bellissima introduzione e ha voluto seguire personalmente tutte le fasi di produzione, compresi titolo e copertina, perché ci tiene particolarmente.
Il volume esce per la prima volta in Italia soltanto ora, in Slovenia è stato pubblicato vent'anni orsono. Racconta una storia delicata, la vicenda controversa di Janko Premrl, fratello di Rada, morto in circostanze "misteriose" sotto lo sguardo dei compagni partigiani.
Un eroe in famiglia è un libro contro tutte le dittature, i totalitarismi e le oppressioni dei più grandi sui più piccoli. Tradotto dalla traduttrice ormai "ufficiale" di Pahor Martina Clerici, uscirà in libreria il 5 settembre e sarà presentato in anteprima al Festivaletteratura di Mantova.
Radoslava Premrl, Un eroe in famiglia. Mio fratello Janko-Vojko, Nuovadimensione, pag.304, euro 17.00
Con Enzo Bianchi e papa Francesco, aggiornamenti, riflessioni, emozioni, sentimenti estivi
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- Pubblicato Domenica, 11 Agosto 2013 12:36
- Scritto da Silvano Magnelli
Trieste - Sarà l’estate che favorisce il pensare, ma ho trovato molti motivi di riflessione in queste settimane. Provo a riassumere qualche forte sollecitazione, confortato dal pensiero di Papa Francesco, che spinge la Chiesa a sapersi fermare.
La riflessione è scaturita anche dalla lettura dell'ultimo libro di Enzo Bianchi, intitolato “Fede e fiducia” (Einaudi, Torino 2013 – euro 10,00).
Ma andiamo con ordine.
Dice il Papa: “La ricerca di ciò che è sempre più veloce attira l’uomo, internet, auto, aerei, rapporti veloci… tuttavia si avverte una disperata necessità di calma, vorrei dire di lentezza. La Chiesa sa ancora essere lenta? O anche la Chiesa è ormai travolta dalla frenesia dell’efficienza? Recuperiamo , cari fratelli, la calma di saper accorciare il passo, la capacità di essere sempre vicini per aprire un varco nel disincanto che c’è nei cuori”.
Non si può che cominciare da lui e dalla settimana brasiliana, da cui sono partiti messaggi chiarissimi su una Chiesa che deve recuperare vicinanza agli uomini, gioia, presenza sociale, fraternità autentica, spinta profetica.
Autore a suo tempo di un documento dei vescovi sudamericani scritto in Aparecida, il Card. Bergoglio insisteva assieme ai confratelli vescovi sul senso della fedeltà: “Per rimanere fedeli bisogna uscire. Rimanendo fedeli, si esce”.
Papa Francesco oggi insiste su una visione di Chiesa che si fa prossima, non regolatrice della fede, ma facilitatrice di essa, come una madre che esce per l’incontro: “La Chiesa famiglia si genera intorno ad una Madre, la quale conferisce anima e tenerezza alla convivenza famigliare. Questa visione mariana della Chiesa è il miglior antidoto contro la concezione di una Chiesa funzionale e burocratica”.
Per agire così occorre avere la formazione di personalità senza paura della tenerezza, aperte alla costruzione di coraggiosi ponti di amicizia e di fraternità, uomini e donne gioiosi, la gioia di aver veramente incontrato Cristo, non “tristi, impazienti e ansiosi”. Persone disponibili a “lasciare le sacrestie e andare per le strade”, a “parlare il linguaggio che la gente capisce fuori dalle formule liturgiche e teologiche”.
Papa Francesco è credibile nel suo dire, perché è sempre uscito incontro, sa che “Gesù non ha casa, perché la sua casa è la gente”, è da sempre ricco di contatti impregnati di passione umana, di partecipazione ai dolori e ai problemi di chi vive appunto alle periferie del mondo, sa che “ il vero potere è il servizio”.
I contatti vissuti nella settimana della GMG hanno confermato che solo così si costruisce una Chiesa rievangelizzata, non ripiegata su se stessa, non concentrata sui riti. Nel raduno finale tra l’altro ha detto: “La Chiesa romana ha spesso dimenticato di dire che non ci può essere pacificazione nella miseria e nell’ingiustizia”.
Parole che dagli anni della Teologia della liberazione e dei Vescovi come Helder Camara, non risuonavano con tanta forza.
I gesti di prossimità a chi sta male e la sua immersione nelle questioni umane più scottanti, gli stanno facendo guadagnare la fiducia di tutti, c’è insomma nel suo stile di rapportarsi un di più di umanità che assume in questo momento un valore speciale, inestimabile.
Si è detto che questa settimana è stata una “festa di umanità” e non c’è infatti alcun contrasto tra fede e umanizzazione della vita, anzi questa crescita di umanità è un compimento del Vangelo stesso. L’ammirazione arriva anche dagli ambienti non cattolici e da chi non crede, segnale di un’apertura che andava recuperata.
Un secondo motivo di riflessione mi è giunto dalla recente pubblicazione di un piccolo libro di Enzo Bianchi intitolato “Fede e fiducia”.
Se possibile, meglio averlo con sé…
Il libro è un inno alla comune ricerca di “fare fiducia”, un modo di essere che interessa tutti e che oggi si impone come necessaria alla vita sociale.
Diretto e intrigante, Bianchi si esprime con una comunicazione densa di suggestioni pratiche: “Le persone dopo averci incontrato, hanno più fiducia, hanno più fede nella vita e negli altri? Questa è la domanda decisiva da porsi per intraprendere qualunque discorso serio, anche quello sulla crisi o sulla precarietà della fede in Dio.”
Il suo focus è sul rispetto dei non credenti: “Spesso la tentazione dei credenti in Dio è ancora quella di condannare i non credenti, di non comprenderli e di giudicarli. (...)
Le frontiere talora passano non tra chi ha fede in Dio e chi non ce l’ha, ma tra chi ha una fede arrogante e chi ha una fede umile, tra chi crede nell’umanità e chi di essa dispera, tra chi è arroccato su posizioni del passato e chi aderisce al presente e così si apre al futuro, tra chi pensa di possedere la verità e chi si sente pellegrino verso di essa (...) perchè i non credenti non riconoscono il Dio che noi professiamo? Non dipenderà dal fatto che non ne offriamo sempre un’immagine veritiera, autentica, fedele? Siamo sicuri di non averne costruito nei secoli, e ancora oggi, immagini perverse, che anziché attirare e offrire salvezza raffigurano un Dio contro l’uomo? Un Dio che ci offre amore solo se meritato?”.
E poi prosegue con salutari elenchi provocatori: “Dovremmo dire che NON crediamo: in un Dio che si impone agli uomini, in un Dio che si vendica e castiga, in un Dio che ama la sofferenza, in un Dio che spia gli uomini come un ispettore, in un Dio che giustifica la violenza, in un Dio che è re al modo dei governanti umani, in un Dio che ama solo se è riamato, in un Dio che sta dalla parte degli uni contro gli altri, in un Dio totalitario che vuole essere tutto per noi”.
E infine mi è ricapitata sotto gli occhi una frase che ho trovato per caso qualche anno fa presso l’eremo di Spello dei Piccoli fratelli di Charles de Focauld, firmata da uno di loro, ma condivisa da tutti loro.
In questo tempo di fretta, di frenesia, di complicazioni relazionali e di tanto narcisismo ovunque diffuso, mi è parsa una luce di rara intensità e credo pienamente in linea con l’attuale stile pastorale di questo Papa, per cui vale veramente la pena di leggere questi loro pensieri:
"Ci rendiamo conto sempre più infatti che ciò che ci rende significativi come credenti non è nè un cristianesimo severo né il ritmo vertiginoso delle nostre attività sociali e pastorali, che, anche se necessarie, da sole non saranno mai esaustive".
"Ma è piuttosto lo spessore contemplativo, la capacità di cogliere i segni del Regno che si rivelano nel quotidiano, la compassione, il tratto umano, l’ecologia relazionale e controculturale che fa fiorire la nostra vita fraterna e tutta la nostra persona, compresi il nostro corpo e la nostra casa".
"Amore chiama amore risponde" primo romanzo della giornalista Cristiana Della Zonca
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- Pubblicato Mercoledì, 03 Luglio 2013 10:58
Udine – Dopo la tappa nel capoluogo giuliano, che ha visto una numerosa affluenza di pubblico, continua nella nostra regione la presentazione del libro “Amore chiama amore risponde” di Cristiana Della Zonca (Giunti Editore), con l’appuntamento di venerdì 5 luglio alle ore 18 alla libreria Feltrinelli a Udine.
Interverranno con l’autrice Cristiana Della Zonca, il giornalista de Il Messaggero Veneto Gian Paolo Polesini accompagnato dalle letture dell’attrice Laura Bussani.
“Amore chiama amore risponde” parla di una famiglia allegra, vera, imperfetta. Straordinaria nella sua normalità. Parla di un posto dove tornare. Perché a volte, accecati dall’apparente libertà della vita di chi non ha legami, ci dimentichiamo della solitudine che questo comporta, dell’incertezza che crea non avere qualcuno da cui tornare.
Uno stralcio tratto dal libro: “Capita, nella vita delle donne, di solito intorno ai quarant’anni, di fare un bilancio: guardando indietro si vede e valuta il tratto di strada percorso chiedendosi se è proprio quello il tragitto che volevamo fare. È un momento in cui ci si guarda allo specchio e magari non ci si riconosce più oppure ci si rende conto di essere rimaste incastrate: quel lavoro accettato ma solo per un periodo che poi si è prolungato non si sa bene come, la rinuncia temporanea in nome della maternità, un rapporto insoddisfacente ma stabile, l’occuparsi magari solo per un po’ di un genitore anziano e così via, sono diventati da impegni temporanei alla normalità di un quotidiano di cui si è insoddisfatte e da cui non si riesce a uscire. Quando esattamente la nostra vita sia diventata così non lo sappiamo neppure più. E allora si tende a buttare via tutto, il bambino con l’acqua sporca come si usa dire, con l’idea che solo una rivoluzione radicale possa restituirci i sogni e le soddisfazioni perdute. Ma potrebbe essere un modo di vedere le cose errato, magari basta cambiare la prospettiva, o aggiustare un pezzettino, perché tutto si risolva. La protagonista del libro, ad esempio, si trova a vivere uno spaesamento causato da un’amnesia e grazie a questo evento traumatico ritrova la vera se stessa senza per questo perdere l’affetto dei suoi cari. Amore chiama amore risponde mostra come i problemi si possano risolvere anche dall’interno, con l’aiuto di chi si ama e che ci ha accompagnato fino a qui, perché cambiare strada è possibile anche senza distruggere tutto quello che nel bene o nel male abbiamo costruito. L’importante è provarci. Sempre.”
Il libro verrà presentato alla libreria Giunti al Punto a Pordenone, giovedì 18 luglio alle ore 21 modererà l'incontro la giornalista Francesca Pessotto.
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